rs_Pubblicità Alto Adige_01
Mentre è in corso una sorta di battaglia dei paesaggi italiani negli spot, una pubblicità trasforma l’ambiente invernale dolomitico in uno spazio senza nostalgia e senza speranze.

Come negarlo? Ogni volta che negli spot televisivi compare una montagna da noi amata ci sfiora il sospetto che possa trattarsi di una profanazione o, a voler essere ottimisti, di una banalizzazione. Non è questo il caso del “carosello” di un’industria dolciaria in cui una coppia di scalatori, sullo sfondo delle Tre Cime di Lavaredo, si scambia una tavoletta di cioccolato. Svizzero? No, italiano assicura uno dei due. Italiano, si deve aggiungere, di Novi Ligure che non è proprio a due passi, ma che importa? Le Tre Cime sono lì a testimoniare il piacere di scalare nel Bel Paese e per di più nelle Dolomiti patrimonio dell’Unesco.

Un’autorizzazione per sfruttare il territorio?
C’è però un risvolto della medaglia, secondo un servizio pubblicato domenica 1° dicembre dal quotidiano La Repubblica. Sempre più la pubblicità va a caccia di bellezze naturali sul territorio e alcuni sindaci a corto di risorse economiche cominciano a pensare che chi sfrutta il territorio per vendere di più debba non solo chiedere l’autorizzazione ma anche versare un contributo per poterlo fare. Un esempio? A San Quirico, nella campagna senese, il sindaco si è stancato di vedere la collina con i “suoi” cipressi abbinati ai prodotti più disparati, dai salumi alle acque minerali.
La battaglia dei paesaggi italiani negli spot, se di questo si tratta, dovrebbe avere come presupposto il fatto che tutto ciò che è patrimonio culturale vada inteso come oggetto di un diritto di ciascun essere umano, nonché come patrimonio fondamentale per l’intera umanità. Da qui, il crescente impegno nel produrre e applicare strumenti giuridici internazionali il cui obiettivo è la tutela del patrimonio culturale.

rs_Grappa Bocchino_1976_01Attenti ai persuasori occulti!
Di banalizzazioni o di tentate banalizzazioni hanno non di rado sofferto le terre alte, basti accennare alle Tofane illuminate a giorno in occasione dell’Anno delle Montagne o al tentativo sventato di illuminare il Monviso in occasione dei Giochi del 2006. Pochi poi sono disposti a perdonare a Mike Buongiorno l’attentato al Cervino compiuto nel 1976 con lo spot di una grappa. E non si è guadagnato troppe simpatie nemmeno Reinhold Messner inneggiando negli anni Novanta, tra i ghiacci eterni, alla purezza di un’acqua minerale. Ma per saperne di più occorre sfogliare il cahier contrassegnato dal numero 71 del Museo nazionale della montagna dedicato alle “Montagne della pubblicità” che ripercorre con sorridente indulgenza più di un secolo di immagini, slogan e parole.
La verità è che quando ci accorgiamo che i “persuasori occulti” (termine inventato da Vance Packard nel libro omonimo, Einaudi, 1958) delle agenzie pubblicitarie cercano di influenzare il nostro comportamento adescandoci con rappresentazioni di paesaggi incontaminati, è come se un nervo scoperto ci venisse toccato.

Non luoghi e paesaggi originari
Ciò dipende dal fatto che sempre più, per dirla con  Eugenio Pesci (La terra parlante, CDA& Vivalda, 2004), “non luoghi” stanno diventando, oltre a quelli indicati da Marc Augé (aeroporti, catene alberghiere, autostrade, ecc.) anche quegli ambienti naturali, alpestri e marini che l’umanità ha sempre identificato come paesaggi originari.
Le funivie, con i relativi servizi di ristoro in quota, appaiono ad esempio come meri luoghi di transito alpestre, vuoti di razionalità, senza memoria storica. E’ l’impressione che si ricava osservando in questi giorni sui giornali certi paginoni pubblicitari dell’Alto Adige, con lo sciatore che imbocca un pistone appena ripassato dalle macchine, con la neve che appare come una superficie artificiale e inerte, con le Dolomiti ammonticchiate sullo sfondo secondo i criteri dettati dal photo shop. E con uno slogan che trasforma definitivamente questo paesaggio in uno spazio senza nostalgia e senza speranze: “L’Alto Adige vi invita a prendere questa superstrada”.

Roberto Serafin autore del post

Roberto Serafin | Giornalista professionista, redattore per un quarto di secolo del notiziario del CAI Lo Scarpone. Ha curato a Milano la mostra “Alpi, spazi e memorie” e il relativo catalogo, ha partecipato con il Museo della Montagna “Duca degli Abruzzi” all’allestimento della mostra “Picchi, piccozze e altezze reali”. E’ autore di numerosi libri di montagna, tra cui l’ultimo “Walter Bonatti, l’uomo, il mito“. Con il figlio Matteo ha pubblicato il volume “Scarpone e moschetto”. Da alcuni anni di dedica quotidianamente alla sua creatura editoriale www.mountcity.it

9 commento/i dai lettori

Partecipa alla discussione
  1. marcello cominetti il29 settembre 2014

    secondo me, succede spesso, in alto adige o nel più corretto suedtirol, che la scarsa dimestichezza con la lingua italiana fa fare errori come questo.
    sono certo che nelle intenzioni del “creativo” di questo slogan (si poteva di certo sforzare un po’ di più…) ci fosse qualcosa di meno volgare, ignorante e scontato, ma alla fine il risultato è quello che è.

  2. Roberto Serafin
    Roberto Serafin il8 gennaio 2014

    Alla pubblicità, certo, non si può chiedere di mostrare l’altra faccia di ciò che ci affascina e ci attira. E, del resto, naturale e artificiale convivono da sempre in montagna, specie se quest’ultima si presenta fortemente antropizzata come lo sono le nostre Alpi, ora a quanto pare destinate a far parte di un’unica macroregione. Ciò che disturba è l’uso disinvolto che si continua a fare dell’immagine della wilderness alpina, specie quando viene manipolata o addirittura occultata. A un convegno sulla “montagna assassina” (sic) organizzato nel 2010 a Sondrio dal Cai, ho ascoltato un imprenditore scagliarsi in un clima di generale compiacimento contro i bollettini meteo pubblicati dai giornali, semplicemente perché possono indurre i turisti a rinunce inammissibili per chi mira all’efficienza degli impianti e si limita a ragionare in termini di “utenze”. E concludo con un episodio che mi sembra pertinente. In piazza del Duomo a Milano l’abete natalizio era un tempo trasportato di peso dalle nostre vallate senza aggiunte e orpelli. Era un poetico richiamo alle montagne tanto care a chi è costretto a vivere nelle mefitiche aree metropolitane. Ora, a quanto si è visto, l’abete raggiunge artificiosamente dimensioni gigantesche ed è addobbato nella sua fasullaggine con scatoloni e scatoline gialle, il colore sociale dello sponsor. Capisco che, con la crisi che morde e sette milioni di disoccupati, le ragioni del budget finiscano per prevalere su quelle estetiche.

  3. Annamaria Vicini il18 dicembre 2013

    La pubblicità raramente è educativa, a meno che non si tratti della cosiddetta Pubblicità Progresso. Ciò detto, trovo la pubblicità dell’Alto Adige qui riprodotta veramente brutta e poco efficace. Associare una pista da sci a una superstrada non mi sembra molto attrattivo , la pubblicità se vuole raggiungere il suo scopo non dovrebbe rispecchiare la realtà (e le piste da sci sono in effetti delle “autostrade”!) ma dovrebbe far sognare.

    • paolo il18 dicembre 2013

      Questa pubblicità è brutta? E’ un’opinione da rispettare; è poco efficace? penso sia prematuro affermarlo e forse è meglio attendere la fine della stagione. Ma quello che non capisco è perchè la pubblicità debba essere anche educativa; non è sufficiente che raggiunga lo scopo per cui è stata creata, attirare turismo e quindi muovere il sistema che crea divertimento, sport, lavoro e quindi anche risorse da impiegare sul territorio? Per l’educazione ci sono altre strutture preposte a farlo, non pretendiamo la perfezione da tutto!

  4. ser.lorenzo il15 dicembre 2013

    “Gli iconemi, le unità elementari di percezione, i quadri singoli che cogliamo nel paesaggio, perdono identità., subiscono sovrapposizioni, incastri, obliterazioni, smarriscono il loro preciso carico segnico dentro un contesto incoerente” (Eugenio Turri – Semiologia del paesaggio italiano).
    Aggiungerei, sempre sulla falsa riga del geografo Turri, che la nostra percezione delle trasformazioni e la nostra capacità di adattarci rapidamente ad esse ci impedisce di coglierne la portata… A mio avviso questo tipo di marketing territoriale non è che il cascame di un più generale e inarrestabile meccanismo di alterazione sistematica e istituzionalizzata alla grandezza e straordinaria varietà del paesaggio… anche quello alpino

  5. paolo il15 dicembre 2013

    Non vedo che male ci sia nel fare uno spot pubblicitario con un paesaggio montano costruito col photoshop; si potranno attirare più turisti che si accorgeranno come sia meglio il paesaggio naturale di quello della locandina. Chiamarli persuasori occulti? Il loro lavoro consiste nell’attirare turisti e come altri lavori è da rispettare; e perchè non chiamare persuasori occulti quelli che hanno la pretesa di educarci a come rispettare la natura e salvaguardare il paesaggio, tacendo ad esempio, sul costo dell’apparato burocratico che si è creato per considerare le “Dolomiti Patrimonio dell’Umanità” ?

    • chiarofiume il15 dicembre 2013

      Il Marketing del Territorio è diseducativo; serve solo a tenere in vita l’Economia di Mercato e a ritardare l’evoluzione verso un’Economia della Conoscenza.
      La domanda da porsi mi sembra dovrebbe essere: un Territorio è un Bene di Consumo o un Bene Comune?

      • paolo il15 dicembre 2013

        Ecco un altro maestrino che ci vuole insegnare cos’è educativo o diseducativo (educazione che evidentemente manca solo agli altri) e ci impone concetti vuoti e privi di senso come “economia della conoscenza”. E perché il territorio deve necessariamente essere o “Bene di consumo” o “Bene comune”? Non può essere entrambi? E le regole servono per disciplinare la fruizione che deve essere libera a tutti e a tutte le attività.

        • chiarofiume il15 dicembre 2013

          A 73 anni suonati, più che un maestrino, mi considero uno che vorrebbe dare una mano a salvare il salvabile.
          Non ho scritto cosa io ritengo che il territorio debba essere.
          Ho scritto una domanda che “mi sembra” ci dovremmo fare.
          Finché sono solo io a farmela … puoi dormire sonni tranquilli.

Lascia un commento