La cresta integrale Est-sud-est che parte dal Colle Zemu, sulla sinistra

La cresta integrale Est-sud-est che parte dal Colle Zemu, sulla sinistra

capitolo . 5

Osservando la continua discesa del barometro il capospedizione Bruno Brunelt pensò: «C’è del brutto tempo in giro». Questo fu esattamente il suo pensiero. Egli aveva fatto esperienza di tempo relativamente brutto – la parola brutto riferita al tempo essendo per l’alpinista causa solo di un relativo disturbo. Se un’autorità indiscutibile l’avesse informato che la fine del mondo sarebbe avvenuta per uno spaventoso sconvolgimento atmosferico, egli avrebbe connesso l’avviso alla semplice idea del tempo brutto, e a nient’altro, perché non aveva alcuna esperienza di cataclismi, e credere non vuol dire necessariamente comprendere. La saggezza del Club Alpino Italiano, dove si era formato, aveva stabilito che egli prima di esser giudicato idoneo a guidare una spedizione avrebbe dovuto superare certe prove fondamentali sulle Alpi, con bivacchi, tormente, bufere; ed evidentemente aveva saputo superarle, poiché ora si trovava al comando della spedizione Thanglha sulle montagne del Tibet, a ridosso della stagione dei monsoni. Ma anche se allora aveva saputo rispondere adesso non ricordava più nulla. Comunque, avvertiva un senso di malessere per quella nebbia appiccicosa. Uscì dal limite del Campo Base, senza provar alcun sollievo da quella oppressione. L’aria sembrava densa. Ansimava come un alce, e cominciò a credere di essere seriamente indisposto.

Il gruppo di portatori d’alta quota della spedizione Thanglha tracciava un solco evanescente sul fianco della montagna la cui distesa di ghiacci brillava come un lembo di seta grigia increspata. Il sole, pallido e senza raggi, effondeva in una strana luce smorta una nebbia plumbea, e i portatori d’alta quota nepalesi giacevano prostrati lungo il percorso. Coi volti infiammati, tirati, rossi, parevano tanti ammalati di pellagra. Con il binocolo, durante gli squarci, il capospedizione ne notò in particolare due, stesi supini nei pressi della tenda del Campo 2. Con le membra stese sembravano morti. Verso il Campo 1 altri tre invece procedevano lentamente; e un pezzo d’individuo, dalle spalle erculee e mezzo svestito, s’appoggiava fiacco a una piccozza; un altro, qui in basso, seduto al sicuro al Campo Base, con le ginocchia in su e la testa piegata da un lato in atteggiamento femminile, s’intrecciava il codino e da tutta la sua persona e perfino dagli stessi movimenti delle dita spirava un grande languore. A stento il gruppo procedeva verso l’ultimo campo installato, dove doveva depositare il materiale prima dell’assalto finale degli alpinisti di punta, e le nuvole, invece di perdersi via, si spandevano come una coltre infernale, graveolente di zolfo, ad annunciare qualcosa di inimmaginabile agli uomini sicuri al Campo Base.

– Che diavolo fai, Ettore? – chiese il capospedizione Bruno Brunelt.

Questo insolito modo di chiamarlo, sebbene più che chiaramente detto fosse appena mormorato, fece saltare su Ettore come punto da una vespa. Seduto sopra uno cassa bassa che si era fatto portare  fuori dalla tenda mensa, con una fila di ramponi stesi per terra e un appoggio di legno sulle ginocchia, lavorava energicamente con una grossa lima da fabbro. Alzò gli occhi, e la sorpresa diede al suo sguardo un’espressione d’innocente franchezza.

– Niente, sto solo affilando questa nuova fornitura di ramponi utilizzata nell’ultima spedizione dai portatori pakistani, – rispose garbatamente – ci serviranno per i campi alti.

– E gli altri dove sono andati a finire?

– Ma, naturalmente si sono consumati, padre.

Il capospedizione Bruno Brunelt squadrò con aria indecisa il figlio, l’alpinista di punta fermo ancora al Campo Base, poi manifestò la malinconica e scettica convinzione che più della metà era andata persa durante il trekking di avvicinamento: – Si sapesse almeno la verità, – e si ritirò all’altra estremità della tenda mensa. Ettore, esasperato da quell’attacco ingiustificato, dopo due decise passate di lima, perse l’attrezzo, e smettendo di lavorare si alzò e borbottò contro il freddo con un’imprecazione violenta.

I pali della tenda materiali battevano con furia; in alto, i tre portatori in difficoltà avevano raggiunto il Campo 2, e quello che prima s’intrecciava il codino si abbracciava ora le ginocchia e guardava stralunato con un’aria avvilita la grande montagna. Il sole livido proiettava tra le nebbie delle ombre fioche e appena distinte. Le nuvole in quota si seguivano sempre più alte e frequenti, e i propositi della spedizione vacillavano d’un colpo contro le pareti lisce e verticali del monte.

– Vorrei sapere di dove arriva questo maledetto vento gelido, – disse ad alta voce Ettore, mantenendo l’equilibrio controvento.

– Da nord-est, – grugnì dall’altro lato della tenda mensa Bruno Brunelt, che prendeva tutto alla lettera. – Dev’esserci del brutto tempo in giro. Andate a vedere il barometro.

Quando Ettore uscì dalla tenda mensa il suo aspetto aveva preso un’aria di preoccupazione e di ansia. Afferrandosi al tirante principale della tenda scrutò fisso sull’avanti.

Una rara foto del Kanchenzonga Sud e dello Zemu Peak salendo dalle gole del Talung (ph. Anindya Mukherjee, marzo 2011)

Una rara foto del Kanchenzonga Sud e dello Zemu Peak salendo dalle gole del Talung (ph. Anindya Mukherjee, marzo 2011)

La temperatura era scesa a meno 5 gradi al Campo Base. Dall’interno della tenda materiali e dall’apertura delle tende dei portatori salivano voci spaventate con un cinguettio aspro e risonante, misto a imprecazioni furiose e a terrigni raschiamenti, come se in quei luoghi altercassero uomini dalle membra di yak e dalla gola di falco. Il vice-capo dei portatori d’alta quota inveiva contro i semplici portatori che lasciavano andar al vento le masserizie. Aveva delle poderose braccia da taglialegna, ed era temuto da tutti; ma quel pomeriggio i portatori gli rispondevano coraggiosamente, e correvano dietro alle cose con la furia della disperazione. Poi, d’improvviso, il baccano cessò, dalla tenda materiali emerse il vice-capo dei portatori striato di sudiciume e impolverato come un pastore che esce da una stalla. Appena messa fuori dalla cerniera della tenda cominciò a inveire contro Ettore perché non s’era preoccupato di dare ordini sul picchettaggio delle tende; e in risposta Ettore per calmarlo faceva con le mani gesti di rammarico come per dire: – «Non c’è terra per i picchetti – niente da fare – lo vedete voi stesso». Ma l’altro non voleva ascoltar ragioni. I denti gli brillavano irosamente sulla faccia sporca. Si sentiva ben capace, disse, di prendere a pugni quei rammolliti di dentro, dannazione a lui, ma quei dannati di fuori credevano forse che si poteva tener sotto copertura le cose in quelle tende dimenticate da Dio semplicemente prendendo a pugni quei rammolliti di portatori? No, perdiana! Ci voleva pure un po’ di tiraggio, di tensione nei tiranti – e se no che lo confondessero in eterno per un testone di alpinista di punta! E suo padre, pure lui, che da mezzogiorno s’agitava davanti al palo principale della tenda e andava su e giù come un pazzo per l’accampamento. Che cosa credeva di stare lì a fare Ettore, se non era capace di mandare una delle sue pappemolli di alpinisti patentati a regolare la tensione dei tiranti?

I rapporti tra i «portatori» e gli «alpinisti» della spedizione Thanglha erano, come s’è visto, fraterni; perciò Ettore sporgendosi in fuori pregò l’altro con tono moderato di non rendersi ridicolo in maniera così disgustosa: c’era il capospedizione dall’altra parte della tenda mensa. Ma il portatore, con spirito sedizioso, dichiarò che non gli importava un fico secco di chi si trovava dall’altra parte della tenda; allora Ettore, passando d’un tratto dal tono di dignitoso rimprovero a uno stato di esaltazione, lo invitò in termini non certo carezzevoli a venir sul terreno e a piantare come voleva lui quei dannati cosi, e a tendere i tiranti il più non posso che solo un imbecille par suo sarebbe stato capace di mettere in tensione. Il portatore raccolse la sfida. Si precipitò sul tirante di sinistra come se l’avesse voluto inabissare tra le viscere della montagna. Con un enorme dispendio di energia riuscì appena appena a far entrare di qualche centimetro il picchetto, sembrando esaurito dallo sforzo. S’appoggiò alla parte posteriore della cassa strumenti radio, ed Ettore gli andò vicino.

– Santi numi – mormorò con un filo di voce il vice-capo dei portatori. Alzò gli occhi al cielo, e poi abbassò lo sguardo vitreo fino a incontrare l’orizzonte che, sollevatosi di un angolo di quaranta gradi, per un istante sembrò rimanere inclinato e quindi ritornò lentamente a posto. – Santo cielo! Uff! Che succede?

Ettore, allargando a mo’ di compasso le sue lunghe gambe, disse con aria di superiorità: – Stavolta siamo in ballo. Il barometro scende a rotta di collo, Lapka. E voi cercate di piantare una bega così stupida…

La parola «barometro» sembrò risvegliare la folle animosità del vice-capo dei portatori. Raccogliendo di nuovo tutte le sue energie, a voce bassa invitò brutalmente Ettore a ficcarsi quell’innominabile strumento nella sua dannata tenda. Chi se ne fregava di quello sporco barometro? Erano le tende – le tende – che andavano giù; e tra i portatori che diventavano fiacchi e il capo che diventava imbecille, la sua era peggio che una vita da cani; e non gli importava un cavolo se tutta la baracca andava in malora. Pareva sul punto di avere una crisi di pianto, ma ripreso fiato mormorò sordo – Li concio io per le feste, –  e corse via. Si fermò sulla cerniera della tenda materiali tanto da levare il pugno contro quello strana nebbia accecante, e scomparve nell’involucro nero emettendo un urlo.

Quando Ettore si voltò, lo sguardo gli cadde sulla schiena possente e sui rossi orecchioni del capospedizione Bruno Brunelt, che era sopraggiunto. Il padre non lo guardava, ma a un tratto disse: – Quel vice-capo è un uomo assai violento.

– È un capo in gamba, però, – grugnì Ettore. – Non riescono a tener giù le tende, – aggiunse, rapidamente, afferrandosi al tirante della tenda in vista di una forte raffica di vento.

Il capospedizione Bruno Brunelt invece non se l’aspettava, fece un sobbalzo e con uno scossone si aggrappò al gancio di una lampada a gas.

– Uno sboccato, – aggiunse ostinatamente. – Se continua così dovrò farlo retrocedere alla prima occasione.

– È il freddo, – disse Ettore. – È un tempaccio orribile. Farebbe bestemmiare un santo. Anche a stare qui fuori mi sento proprio come avessi la testa avvolta in una corona di ghiaccio.

Il capospedizione Bruno Brunelt alzò gli occhi. – Vuoi dire, Ettore, che hai avuto qualche volta la testa avvolta in una corona? Come mai?

– È un modo di dire, papà, – disse Ettore imperturbabile.

– Che maniere avete voialtri! Che volete dire coi santi che bestemmiano? Vorrei che non parlaste così a vanvera. Che razza di santo sarebbe uno che bestemmiasse? Non più santo di te, mi pare. E che centra una corona con tutto questo, o anche il tempo… Forse che il freddo mi fa bestemmiare – no? È la collera. Ecco che cos’è. Che ci guadagnate a parlare in questo modo?

Così il capospedizione Bruno Brunelt faceva le sue rimostranze contro l’abitudine del parlar figurato, e alla fine fece restar di stucco Ettore, sbuffando sdegnato, e facendo seguire vivaci espressioni di risentimento: – Per tutti i diavoli! Lo sbatto fuori dalla spedizione se non fa attenzione.

Ed Ettore, incorreggibile, pensò: «Dio mio! M’hanno cambiato il vecchio. Questa è collera, mi pare. Naturalmente è il tempo; che altro? Farebbe uscire dai gangheri gli angeli, altro che i santi».

Fuori dalle tende i portatori sembravano esalare l’ultimo respiro. (continua…)

Dispaccio K2014/03 | da quota 3700 m, congiunzione ghiacciai Talung e Tonghsiong | partito con staffetta il 24/04, arrivato il 27/04 – 7:56

Dispaccio scritto dal Campo Base operativo a circa 3700 metri di quota posto tra la congiunzione dei ghiacciai Talung e Tonghsiong.
Dopo 6 difficili giorni nella foresta, gli ultimi 4 davvero al limite, con continui saliscendi per evitare le vorticose acque delle Gole del Talung, aprendoci la strada tra magnolie e rododendri giganti, piante e felci di ogni tipo, percorrendo decine e decine di chilometri, siamo arrivati tutti in ottima forma al Campo Base operativo, do dove dopodomani inizierà l’esplorazione del Tonghsiong Glacier e dintorni, con l’installazione del Campo Base Avanzato a 4440 m. 
Forse potremo mandare solo un altro dispaccio tra 10 giorni, quando arriverà il secondo carico di materiale e qualcuno dei portatori scenderà. Andare e tornare per la foresta è davvero un’impresa troppo impegnativa per essere affrontata per più volte da una staffetta. Se non sentirete altro vi aggiorneremo al nostro ritorno.
Alberto

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SNOWSTORM — Reportage di un’assenza dalla rete — Spedizione k2014.it (clicca per aprire)

K2014.it | East HimalayaTeam | Intervista ad Alberto Peruffo |

SNOWSTORM // L’ULTIMA SPEDIZIONE DI BRUNO BRUNELT
Un romanzo di situazione scritto da Joseph Conrad, Ugo Mursia e Alberto Peruffo
1000 e più variazioni sopra un manoscritto di Joseph Conrad, egregiamente tradotto da Ugo Mursia, ri–situazionato da Alberto Peruffo

Joseph-Conrad_01Joseph Conrad (1857-1924), nato in Ucraina, ma rimasto ben presto orfano di entrambi i genitori, fu affidato alla tutela di uno zio e, appena diciassettenne, partí per Marsiglia spinto da un’irresistibile vocazione per la navigazione. Per vent’anni viaggiò in quasi tutti i mari. L’attenzione suscitata dal suo primo romanzo lo indusse a lasciare la Marina e a stabilirsi in Inghilterra (aveva ottenuto nel frattempo la cittadinanza inglese) per dedicarsi all’attività letteraria. Della sua opera, Einaudi ha pubblicato: Heart of Darkness. Cuore di tenebra («ET Classici»); The Shadow-Line. La Linea d’ombra (serie bilingue); Vittoria; Typhoon. Typhon. Tifone (serie trilingue ed «Einaudi Tascabili»). Racconti di mare e di costa, La freccia d’oro e Vittoria. Un racconto delle isole.

Ugo_Mursia_01Ugo Mursia (1916-1982) è stato uno dei maggiori editori italiani, uomo di lettere e impegno civile, fondatore dell’omonima casa editrice. La sua personale passione per il mare e la navigazione lo spinge verso Joseph Conrad. Sin dagli anni giovanili colleziona edizioni originali e di letteratura critica sull’autore, ma soprattutto intraprende traduzioni e studi. I suoi articoli, pubblicati principalmente su riviste scientifiche e letterarie, italiane e straniere, sono stati raccolti in Ugo Mursia, Scritti conradiani, a cura di Mario Curreli, Mursia, Milano, 1983. Oltre alle traduzioni di Typhoon (1959), Le sorelle. Romanzo incompiuto (1968) e Cuore di tenebra (1978), l’attività di Mursia come esperto conradiano culmina nell’edizione critica dell’intera opera del romanziere anglo-polacco, uscita in cinque volumi tra il 1967 e il 1982 per i tipi della sua stessa casa editrice. A Mursia si deve anche la traduzione italiana della biografia di Joseph Conrad scritta da Jocelyn Baines (1960) e la pubblicazione dell’edizione italiana della rivista statunitense Conradiana. A journal of Joseph Conrad studies, fondata nel 1968. La passione per Conrad lo porta a raccogliere cimeli, documenti, prime edizioni e a finanziare una spedizione in Tasmania per recuperare la prua dell’Otago, il brigantino comandato dallo scrittore che era affondato in quelle acque.

alberto_peruffo_01

Alberto Peruffo (1967), fondatore nel 1999 del progetto culturale Intraisass – Rivista di letteratura, alpinismo e arti visive, il più antico progetto di letteratura di alpinismo comparso in Rete, è il capospedizione di K2014 CAI-150, spedizione esplorativa nell’area Zemu del Kanchenzonga per i 150 anni del Club Alpino Italiano. Per scelta personale ha deciso di “uscire dalla Rete attiva” nel 2012 in preparazione della nuova spedizione e di architettare per l’occasione un “Reportage di un’assenza dalla Rete” come progetto di comunicazione. A causa del divieto dell’uso di apparecchiature satellitari nell’area esplorativa del Kanchenzonga, sotto giurisdizione indiana, saranno inviati come aggiornamento dei “dispacci” tramite staffette (amici e gente del luogo al seguito della spedizione), senza la certezza che arriveranno a destinazione. Se arriveranno, saranno pubblicati prontamente da altitudini.it nel corso della pubblicazione del Romanzo di Situazione, provocatorio sostituto del diario classico di spedizione e della moltitudine di messaggi e di informazioni che caretterizzano l’epoca dei social network. Ricordiamo che Alberto fu tra i primi sperimentatori in assoluto delle comunicazioni satellitari dai campi base, tra cui la memorabile Spedizione Chiantar 2000 nell’Hindu Kusk pakistano, Premio Paolo Consiglio CAAI 2001. Leggi qui l’intervista che introduce l’esperimento. Storyboard visuale dei più importanti progetti e interventi culturali di Alberto.

ABSTRACT
Himalaya orientale. Un uragano di neve e valanghe mai visto prima da occhi umani si scaraventa sul Campo Base e sui fianchi della montagna più alta del mondo ancora da scalare, meta di un’ambiziosa spedizione internazionale. Gli strumenti digitali moderni si scontrano con l’esperienza del vecchio capospedizione. Su ai campi alti gli scalatori non hanno vie di fuga. Al Campo Base accade l’impensabile: alpinisti e portatori sono travolti dalla calamità naturale e dall’impasse sociale che ne consegue, fatti inimmaginabili anche al più esperto degli esploratori. Sarà l’ultima avventura del mitico capospedizione Bruno Brunelt e del figlio Ettore?
Niente di meglio di un cambio radicale di situazione dimostra l’efficacia e la maestria delle parole di un grandissimo scrittore e del suo traduttore. Un romanzo insuperato – «Il più alto esempio di letteratura di mare» scriveva André Gidé subito dopo aver letto Tifone di Joseph Conrad – sulla soglia della più straordinaria prova, accattivante anche per il più insensibile dei lettori: il cambio di situazione.

Dal mare alla montagna una delle più audaci prove di letteratura per noi concepibile.
Tra i personaggi alcuni dei grandi protagonisti poco conosciuti della storia dell’alpinismo mondiale.

«… Si chiamano bufere di neve ad alta tensione. SNOWSTORM… Ad Ettore pareva non andasse… Non si vedono nelle immagini del satellite… Non potevo permettere…»

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