“Attaccare presso lo sbiadito bollo giallastro posto su una grande lama staccata”.

Così riportano le guide. E già qui, scrutando ossessivamente la roccia alla ricerca (vana!) di questo fantomatico punto giallo (che poi è lo stesso colore dei licheni che si aggrappano alla roccia del Medale…), ti rendi conto che, forse, non sei proprio in uno tra “i circuiti” della parete più frequentati.
Eppure la ripetutissima e celeberrima Cassin è subito lì, a una trentina di metri. E ancor più vicina corre invece la Rotta di Poseidone, che, aperta soltanto meno di dieci anni dopo, se confrontata con la via Formica sembra uscire da un altro mondo, i due itinerari di fatto hanno in comune solo il fatto di passare a pochi metri l’una dall’altro.
Infatti agli ultimi metri prima della nostra S5 mi incrocio con un ragazzo di un’altra cordata di ventenni come noi, impegnato sul loro settimo tiro (6c!), sia io che lui diretti verso l’unica nicchia di sosta di quel muro aggettante. Quella scena era straordinariamente significativa: io, mentre spostavo il mio fifi e le mie staffe da un chiodo all’altro, che guardavo ammirato le micro tacche a cui si aggrappava, lui viceversa, che guardava inorridito, dall’alto dei suoi luccicanti spit inox, quei grumi di ruggine su cui ero appeso e mi chiedeva cosa diavolo fossero quegli strani aggeggi con cui passavo da un chiodo all’altro, come due mondi in antitesi che si confrontano.

Tracciato Formica più Bianchi

Tracciato Formica più Bianchi

3-4 dicembre 1977, gli istruttori CAI

Luigi Ballabio, Maurizio Riva e Dario Tonioli, dopo un lungo lavoro di attrezzatura concludono la via. Nel mondo alpinistico lecchese è un momento di transizione: a scuotere la stasi degli anni precedenti predicando il “verbo della libera” sono arrivati i vari Ivan Guerini, Marco Ballerini e “i ragazzi del don Butturini”, tuttavia i monotiri a spit aspettano gli anni ’80 per dare la definitiva spallata alla tradizione.
La Formica comunque rimane nel solco dell’arrampica mista di stampo classico, aperta, a quanto mi risulta, con ai piedi i “vecchi” scarponi. Marco Anghileri, riportandomi i ricordi del padre Aldo, mi narrò che durante i giorni di apertura i tre tirarono addirittura una corda fissa fino alla cengia di bivacco della Cassin.
L’idea di provare questa via nasce per scherzo, da un lato scovando, guida alla mano, gli itinerari di cui meno senti parlare (che, in genere, è inversamente proporzionale al peso di attrezzatura che ti dovrai portare, oltre che al tempo di percorrenza) dall’altro sentendo la notizia della prima solitaria di Valseschini.

Già la prima solitaria, nella fretta del crepuscolo

incombente, Raffo all’ottavo tiro non aveva avuto il tempo, sfogliando il libro di via, di separare pazientemente i fogli (incollati fra loro dall’umidità), giusto il tempo di aprirlo e leggere, forse, sull’ultima pagina aperta: “17-18 aprile 2007 Fabio Valseschini solo”. Poi il brivido di tracciare “idealmente” la data con i nostri nomi, che nessuno leggerà visto che la penna scorrendo ha lasciato bianca la carta… e poi, via di corsa verso l’uscita. La cronaca della solitaria racconta di due voli di Fabio, di cui uno a causa della rottura di un chiodo.

L'occhiello del chiodo rimastoci in mano durante la salita

L’occhiello del chiodo rimastoci in mano durante la salita

Anche noi ci siamo portati a casa, in assenza di

fotografie, un piccolo ricordo della via: un occhiello di un chiodo arrugginito rimastomi in mano mentre raggiungevo Raffo in sosta; il mistero rimane come e perché quel chiodo abbia evitato al mio compagno un pericoloso volo da primo concedendo, fortunatamente solo a me, secondo di cordata, l’ebbrezza della sorpresa.
Sempre citando la guida: “Questa via [sopra la S9] risulta pressoché dimenticata sia a causa dell’arrampicata prevalentemente artificiale su chiodi a pressione talora mancanti sia perché poco lineare”. Alla S9 per noi la scelta è obbligata: il sole sta tramontando e proseguire sulla Formica significherebbe altri 5 tiri pieni d’insidie, così, dopo aver valutato troppo complesso il miraggio di un traverso verso i rassicuranti fix dell’Anniversario (che vediamo a una ventina di metri in linea d’aria) ci lanciamo a passo di corsa, aiutati poco dopo dalle frontali, sugli ultimi, facili (e ahimè friabili e vegetati) tiri della Bianchi.

Usciti dall’ultimo canalino di rovi

ci ritroviamo su una piazzola erbosa, con il vuoto delle luci di Lecco da un lato e il repulsivo buio del bosco di discesa dall’altro. Siamo fuori.
Mi sarebbe piaciuto molto ascoltare il racconto di uno degli apritori della via, chiedergli altri dettagli che mi avevano incuriosito durante la salita (ad esempio il nano da giardino incontrato nel sesto tiro!); e così avevo trovato una persona che mi avrebbe messo in contatto con Luigi Ballabio, guida alpina emerita comasca. Purtroppo pochi giorni fa ho avuto notizie della sua morte. Possano queste righe essere un omaggio alla sua impresa.

P.S.: Poco tempo dopo la nostra ripetizione, su un topic del forum planetmountain.com mi imbatto in questo post: http://www.forum.planetmountain.com/phpBB2/viewtopic.php?t=43746Leggere queste righe mi ha reso molto felice, perchè so che in questo modo la via Formica e con lei l’impresa di Dario Tonoli, Luigi Ballabio e Maurizio Riva non verrà dimenticata. Sono certo che Fabio, nella sua opera di “ri-creazione” (come scriveva Alessandro Gogna in Cento Nuovi Mattini) abbia saputo essere corretto e leale nei confronti dell’opera di questi alpinisti.

Il mio interesse per vie con passaggi di arrampicata artificiale non rende facile trovare compagni con cui percorrerle

Il mio interesse per vie con passaggi di arrampicata artificiale non rende facile trovare compagni con cui percorrerle

Paolo Grisa autore del post

Paolo Grisa | appassionatosi all'alpinismo quasi casualmente, grazie a dei libri prestati dallo zio, continua ad affiancare all’attività in montagna la passione per la lettura. A 17 anni legge "100 nuovi mattini" di Gogna, vera e propria bibbia spirituale del suo arrampicare. Sceglie i propri itinerari non in base alla pura difficoltà quanto alle esperienze che gli sanno regalare. Considera l'arrampicata e l'alpinismo secondari rispetto al fine: notti sotto le stelle in compagnia degli amici, condivisione di un pasto caldo sotto un masso attendendo la fine di un temporale, il momento di incertezza con il compagno tra il decidere se proseguire o ritirarsi. Vivo a Bergamo.

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