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Quante sono le dimensioni dello scialpinismo? Ne abbiamo individuate tre. La dimensione individuale, la dimensione sportiva e la “terza dimensione”: raduni o incontri di scialpinismo, senza pettorali e imbraghi, dichiaratamente aperti a tutti.

Lo scialpinismo, per tante ragioni, da una decina di anni è in forte crescita e anche la stagione ormai quasi conclusa ha segnato trend positivi nelle vendite e nel numero di appassionati.
Sempre più sciatori tradizionali passano o praticano anche lo sci alpinismo e persone che fino ad oggi non erano sciatori si avvicinano alla montagna attraverso questa disciplina o attraverso le ciaspole. Una recente indagine effettuata dalla Guardia Forestale nella Provincia Autonoma di Bolzano ha registrato in una giornata di fine settimana, circa 6.000 persone in Provincia di Bolzano che praticavano scialpinismo.
In Europa i praticanti sono stimati in oltre 5 milioni, con oltre 100.000 atleti agonisti, la Germania la fa da padrona con gli oltre due milioni di sportivi.
Oltre alla pratica scialpinistica individuale sono aumentate in modo esponenziale soprattutto le competizioni sportive (in Italia gli agonisti tesserati alla FISI sono circa 15.000, 70 le gare riconosciute dalla Federazione, 300.000 i praticanti stimati) (1) diffuse praticamente su tutto l’arco alpino e a decine in ogni fine settimana. C’è però una “terza dimensione” dello scialpinismo — poco presente nei canali social delle aziende produttrici di materiali sportivi e sulle pagine delle poche riviste di settore ancora in vita — e riguarda le escursioni scialpinistiche, senza pettorali e imbraghi, dichiaratamente aperte a tutti. A nostro avviso il modo più bello per condividere la fatica e il piacere dello scialpinismo.
Il testo che segue di Silvia Tessa è una efficace testimonianza.
— Redazione altitudini.it

“E‘ una manifestazione storica, una roba turistica, una passeggiata”.
Con queste parole ti convince e ti iscrivi alla decima edizione della Traversèe des rois mages, una escursione scialpinistica organizzata ogni anno, dall’olimpico 2006 sino ad oggi, dal CAI di Bardonecchia e dal CAF di Modane Valfrejùs. L’intenzione è quella di commemorare una traversata alpinistica storica. Le prime edizioni sono state agonistiche, con tanto di pettorali, imbrago e salita alla vetta del Thabor (3178 m). Le ultime sono diventate più turistiche, o per lo meno senza pettorali e imbraghi, dichiaratamente aperte a tutti.

re magi_03Si fa a turno: un anno si attraversa il confine in una direzione, un anno in un’altra. Quest’anno si parte dalla Francia, da Valfrejùs e si arriva a Bardonecchia. Tocca quindi a noi italiani svegliarci prima per andare in bus dagli amici d’oltralpe. L’appuntamento è a Pian del Colle alle 6.30, che poi sono le 5.30 perchè abbiamo anche il cambio dell’ora. E’ buio, parecchio. Tu sai infilarti gli scarponi al buio? No, ma non serve: il furgone parcheggiato vicino ti offre subito il suo invidiabile impianto di illuminazione. Bene, i partecipanti sembrano simpatici.

Quando arriva il pullman si accendono le luci e si inizia a vedere che faccia hanno gli altri: tutti alti, magri, fisicati e marchiati con teste di leopardo da testa a piedi. L’attrezzatura non fa lo scialpinista? Forse, ma il fisico sì. Una sensazione di ansia e disagio ti pervade, inizi a chiederti che ci fai tu, bassa e cicciotta, in mezzo a tutti questi.  Sarà una giornata intensa.

Dopo l’arrivo a Valfrejus, e mentre si registrano le iscrizioni, si consuma una colazione a pain de chocolate che ti mette il buon umore, senza però toglierti l’ansia. Qualche faccia è conosciuta, qualcuna lo diventerà. Si parte con le pelli? Si parte in discesa? Si parte all’insegna dell’arrangiarsi. Poche le raccomandazioni: “La traccia è segnata, ci sono bandierine verdi e rosse, seguitele e fate dei piccoli gruppi”.

Parte il primo gruppetto, due o tre persone che ti sembrano sfocate, tanto son veloci. Parte il secondo gruppetto che non è da meno. Partono tutti gli altri: un unico gruppetto da cinquanta persone, una mandria. E trascinata dalla mandria, fai la prima salita. Al cambio d’assetto, c’è chi si toglie le pelli senza neanche togliere gli sci e chi invece le infiocchetta e le ripone nello zaino. Opti per la via di mezzo: le stacchi e le infili sotto la giacca. Senti quella sana sensazione di umido sullo stomaco che tanto bene non fa. La discesa è caotica, nessuna difficoltà tecnica effettiva se non schivare gli altri, che scendono come meteore impazzite. Una passeggiata turistica? Questi corrono! Ma chi te l’ha fatto fare di buttarti in questo caos? Ma una bella gita tra pochi amici, no?

Si ripresenta la salita, per fortuna. Pian piano, il gruppo si trasforma da mandria al pascolo a processionaria in fila, il sole splende, il vento tira, la calca non c’è più. Trovi la tua dimensione: hai parecchie persone davanti, parecchie dietro, puoi andar serena. Non importa se siete uno o cinquanta, adesso quel panorama è tutto tuo, e nonostante la fatica, o forse proprio per la fatica, lo trovi bellissimo.

Il sole se la gioca con il vento per regalarti degli splendidi scorci: sei in un corridoio bellissimo, dietro casa. Il fascino della traversata è anche questo: gli occhi non puntano alla vetta, all’arrivo, non sono chiusi in una valle, galleggiano su tante valli. A chi ti sorpassa dichiarando Il n’est pas froid, rispondi con un bel gnanca na frisa (in piemontese, neanche un briciolo ndr), anche se hai la pelle d’oca sotto le maniche corte. Qualcuno, nonostante la testa di leopardo in fronte, ti si affianca e fa due chiacchiere: “La prima volta? In questa direzione è bella, ma nell’altra come sciabilità è migliore, ci vediamo l’anno prossimo”. Certo, perché oggi mica riesci a stargli dietro. Ma va bene così.

I tre re, Gasparre, Melchiorre ed il più alto Baldassarre (3156 m), sono lì vicino a te ma mica li riconosci, non sei fisionomista con le persone, figurati con le montagne. Riconosci il Rifugio del Thabor però, dove qualcuno ti urla: “Vai che c’è una torta buonissima!”. Beh, c’era: perché quando arrivi tu è rimasto solo il te con la frutta secca. Poco importa, ora si scende. Via le pelli per l’ultima volta e giù, parlando italiano con i francesi, e francese con gli italiani, confondendo la fatica con il divertimento, il sudore con l’allegria.

Arrivi ai rifugi della Valle Stretta, dove ti attende l’ultima fatica: il pranzo. Nell’attesa, ecco una coppia di turisti, italiani. Lui urla a lei: “Cosa vuoi che ci diano da mangiare qui, con sto branco di c…i che fa casino!”.Il branco, siamo noi. Informiamo la malcapitata che c’è una manifestazione scialpinistica qui, e magari all’altro rifugio ci sono meno c…i. Lei arrossisce e si scusa: “Scusatelo, è arrabbiato perché l’ho fatto salire a piedi, a lui piace il mare, a me la montagna…”. Ma cara figliola, butta un occhio sul ben di dio di uomini del branco, davvero vuoi tenerti quell’uomo da mare? L’amour a l’è nen pulenta. Ma che pulenta, ottima conclusione di una divertente esperienza. Il prossimo anno? Si rifà, certo. Complimenti agli organizzatori: per l’agilità nei trasporti, la qualità dei ristori, la costanza che ci mettono tutti gli anni.

— Silvia, che per il 2016 tiene d’occhio il sito ufficiale traverseedesroismages.hautetfort.com

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(1) I dati elencati sono pubblicati dalla fiera di Bolzano Prowinter.

Silvia Tessa autore del post

Silvia Tessa |Vagavo per il mondo. Sorridevo e scrivevo. Adesso vago ancora, per montagne però. Sorrido e scrivo. Sicuramente sudo di più. Un amico mi scrive “Ti ringrazio perchè sei l’unica che su facebook non mette solo foto di gatti e bambini. Peccato che la montagna mi faccia due palle così”.

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