Habbas il contrabbandiere

K2 EXPEDITION

Khorburtse (Pakistan), 11 luglio 2014 — Nel vecchio zaino Halil portava molte bottiglie, quelle di plastica che un tempo contenevano bibite gassate e che ora avevano perso etichette e trasparenza a furia di essere usate e riusate per decine di volte.

Camminava a passo veloce, sentiva la tipica mancanza d’ossigeno dell’alta quota ed aveva la gola ed il naso secchi. Il peso gli schiacciava la schiena, ma ciò che lo svuotava di energia era il freddo: ai piedi soltanto due vecchie scarpe cinesi di gommaccia senza calze, indosso solo un maglione bisunto troppo corto che lasciava mano libera all’artiglio subdolo del gelo invernale, che s’infilava nel lembo di pelle scoperto in fondo alla schiena e da lì prendeva possesso di tutto il corpo, come un esercito di ghiaccio che sfondava una cruciale postazione nemica.
Ma Halil non poteva capitolare, doveva tenere duro. C’era ancora poca strada da fare prima di raggiungere il passo Muztagh, poi sarebbe finalmente entrato in territorio cinese. Una volta giunto a valle avrebbe poi incontrato i compratori, si sarebbe finalmente disfatto del pesante fardello ed avrebbe potuto tornare indietro con i quattro soldi che sarebbero bastati fino al prossimo viaggio.

Ormai era quasi buio, una sosta era necessaria, sarebbe stato troppo pericoloso affrontare il ghiaccio e i ripidi canaloni in quelle condizioni, in più iniziava a nevicare e il già minuscolo sentiero sarebbe diventato del tutto invisibile. Sapeva di essere seguito, ma non c’era alternativa, d’altronde anche il capitano Al Taqui dell’Esercito Regolare Pakistano avrebbe incontrato le stesse difficoltà, ed anche lui sarebbe stato costretto a bivaccare.
Halil si sistemò alla meglio in un piccolo anfratto, prese una bottiglia dal sacco e fece una lunga sorsata. Fuoco. Fiamme infernali quelle che si sviluppavano nel suo esofago mentre il liquido scendeva, per poi esplodere come una bomba nella dilatazione dello stomaco.
Un caldo effimero trapassò come un’onda d’urto il suo corpo, come uno schiaffo energico che ti fa sobbalzare.

Halil contrabbandava la gloriosa – e quindi proibita – Hunza Water, che a dispetto del nome conteneva tutto tranne l’acqua, essendo un intruglio alcolico fabbricato segretamente dai contadini della regione da cui il liquore prendeva il nome, utilizzando tutto ciò che fermentava.
Forse più per l’aurea mitica che circondava questa bevanda che per l’autentica bontà era diventata molto ambita dai vicini cinesi, disposti a sborsare svariati dollari americani per procurarsi dei prodigiosi mal di testa.
Halil non avrebbe mai voluto fare il contrabbandiere, era una vita terribile, fatta di fame, freddo e paura della prigione. Lì non si andava molto per il sottile, per un bicchiere di birra rischiavi fino a due anni, figuriamoci per uno zaino pieno di quella roba. Ma non aveva avuto scelta.

Quando chiuse gli occhi per cercare di dormire ricordò ancora quando fu cacciato dalla sua famiglia perché si era scordato di chiudere l’unica loro vacca nella casupola, era sopraggiunta la notte e la povera era morta di freddo.
Lui sapeva che la dimenticanza era dovuta alla sciocchezza adolescenziale di aver perduto la testa per una ragazzina del villaggio, ma per suo padre era stata una mancanza così grande da non voler ammettere ragioni, così fu costretto a fare il fagotto e fuggire cercando di sopravvivere, giacchè l’unico sostentamento per la famiglia era presto divenuto un mucchio d’ossa.
Si addormentò, ma appena le vampate dell’alcool si esaurirono si trovò di nuovo solo nel buio, col vento sempre più forte. Non poteva dormire, ed aprendo gli occhi scorse distintamente un puntino rosso, che aumentava d’intensitàad intervalli regolari.

Ecco, è la fine, pensò. Quella era la sigaretta del capitano Al Taqui, e lui aveva fatto male i suoi calcoli. Quel cane era così vicino che l’avrebbe senz’altro braccato.
Maledetta quell’inutile guerra che aveva portato lì i soldati: da quando, nel 1947, la colonia inglese era stata divisa in Pakistan ed India quegli zotici litigavano costantemente per accaparrarsi il Kashmir, ancora oggi le ostilità erano formalmente aperte e c’erano avamposti d’alta quota lungo tutto il confine.
Le casette dell’esercito pakistano erano ovetti in vetroresina appoggiati sul ghiacciaio, e quando Halil le vedeva dall’alto le paragonava sempre a fetide uova di mosca depositate sulla carne marcia. Ed ora una larva uscita da quelle uova era proprio alle sue calcagna. A volte avrebbe quasi preferito la prigione, almeno sarebbe stato al caldo. Ma no, la forza della libertàera così forte che superava ogni ostacolo, gelo, solitudine o paura che fosse.

Si mosse lentamente. In qualche modo sentiva che il capitano lo osservava, e lo seguiva mantenendo la stessa distanza. Raccolse tutte le forze, e con un altro sorso di “Acqua” prese il coraggio a due mani e si lanciò verso il passo.
Impiegò tutta la notte, e sempre sentiva o vedeva il capitano a qualche centinaio di metri. Poi riuscì ad arrivare al valico, fece un passo ed era in Cina: lì nessuno avrebbe potuto arrestarlo.
Si voltò e per un istante i suoi occhi incrociarono quelli del capitano. Dietro al fumo della sigaretta gli sembrò quasi di scorgere un sorriso, poi si girò e si buttò a correre giù per il pendio innevato.

Gli pareva strano, essere riuscito a fuggire, per l’ennesima volta, a quella zecca in mimetica, ma non se ne curò, per il prossimo mese non avrebbe più avuto pensieri.
Dentro di se il capitano Al Taqui si fece una piccola risata. Se non ci fosse stato quel vecchio citrullo di Halil a dargli ogni mese qualche distrazione ci sarebbe marcito lui, di noia, in quelle fetide uova di mosca.

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Matteo Zanga autore del post

Matteo Zanga | Sono un fotografo a tutto tondo. Sono nato e vivo in montagna, per cui è abbastanza naturale che molti dei miei lavori siano svolti in questo ambiente. Sono molto fortunato ad essere riuscito a trasformare le mie passioni in un lavoro. Non amo molto le fotografie di paesaggio, preferisco azioni o situazioni in cui ci siano la presenza e la forza dell’uomo. Adoro i ritratti.

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