“Gruppo della Schiara” così si intitolava il libro che di frodo avevo inserito nel mucchio

di testi per la prima superiore, ordinati in libreria, dopo il diploma di terza media. La prima guida di Piero Rossi, edizioni Tamari, 1967.
Ero un ragazzo di 15 anni, cresciuto in città, ma curioso della natura, del torrente, del fiume che ad appena dieci minuti da casa, riservava ambienti ed atmosfere salgariane.
Con altri ragazzi, avevamo a noia l’oratorio e il campo da calcio ed eravamo curiosi di scoprire le sorgenti dell’Ardo, che avevamo risalito fino alla forra di Bolzano e che immaginavamo scaturisse dalla Schiara con un’unica fonte, come da una conduttura.
La guida ci chiarì le idee, anzi diventò la nostra Bibbia, di cui sapevamo recitare i passaggi ordinari “indi per facili roccette facilmente alla cima” oppure quelli pittoreschi “fin che’l fiol de me pare pissa per davant, l’Adriano no passa pì da ste bande”.
Armati di buone gambe e della descrizione dei sentieri CAI della guida ,affrontammo le prime escursioni, come seguendo un catalogo: il Serva (517), il rifugio 7° Alpini (501), Caiada (505), poi sempre più arditi il Troi dei Scalet (519), la Val de Piero (502).
A questo punto il gruppo della Schiara ci si poneva davanti, o avevamo il coraggio di affrontare le ferrate, oppure avremmo dovuto aggirarlo, per iniziare l’Alta Via n.1, che da poco concepita e segnalata ci affascinava.

Dallo studio del testo sacro programmammo

per l’anno seguente il passaggio a est del Pelf, senza perdere quota, nonostante gli avvertimenti di Piero Rossi: “itinerari su terreni impervi, da percorrere con molta attenzione…”. Nella prima esplorazione partimmo da Caiada per la conca di Caneva a forcella Col Torond (517) alla ricerca della Cengia dei Soldi, per arrivare al Circo del Fontanon.
L’avvicinamento lungo e faticoso, senza segnaletica ci aveva già provati. Dalla conca di Pescòrs, il colle con il grande albero segnati nella guida, non erano visibili per la nebbia sopraggiunta; ormai ci pareva di essere alla fine del mondo conosciuto,ritornammo sui nostri passi.
La volta dopo tentammo la ricerca del passaggio da nord: saliti da Val Cordevole a Pian dei Gat e dormito a casera La Varetta, la mattina scavalcammo Forcella Nerville e sulle tracce descritte come sent. 518, iniziammo la discesa per il Valon de Nerville, sotto le propaggini del Pelf, che lì assumono forma di un costone roccioso: il Coston de la Nona.
Sempre guardano a sud, cerchiamo una traccia descritta, che dovrebbe giungere dal Circo del Fontanon. Una banca erbosa in salita sembra l’unico varco, la percorriamo tremebondi ed ecco che termina in un baratro irto di mughi. Tra i rami in basso si intravede il cielo, ma è impossibile passare di qua… eppure la guida…

Delusi riprendiamo la discesa, che non è facile.

Nessun segno, coste boscose ripide, salti di roccia, alla fine usciamo al fondo della Val del Grisol e la percorriamo a piedi fino a Soffranco, dove la sera telefoniamo a casa dall’osteria ai genitori preoccupati.
L’estate dopo percorriamo le ferrate della Schiara senza patemi d’animo e senza autoassicurazione, ancora non era nella cultura, ma il passaggio a est è rimasto latente in qualche anfratto della mente.

Il passaggio sul Coston della Nona, dal Circo del Fontanon

Il passaggio sul Coston della Nona, dal Circo del Fontanon

Quarant’anni dopo leggo sulle Alpi Venete

che il passaggio è stato ripercorso e descritto da Piero Sommavilla e Giuseppe Nart. Conoscendoli: non è un itinerario dei soliti.
Chiedo a Bepi di accompagnarmi e accetta. Mi avvio con lui dalla Val del Grisol a Pescòrs per il 517 da poco segnalato e restaurato. In Pescòrs mi ritorna l’immagine che avevo in  memoria e ripercorro la salita al colle prima della Cengia dei Soldi come in una sovrapposizione di fotogrammi. La successiva parte, per me nuova, è un’ emozionante traversata, quasi come una via in orizzontale, ma anche il compimento di una promessa antica. La cengia è facile, poi qualche tratto su lastronate ghiaiose e un po’ esposte. Si giunge al Fontanon per comoda traccia, con il circo di crode che incombe. Quando si cerca un passaggio verso nord, si intuisce che per non scendere a valle, l’unica è tentare per dei verdi prati molto pendenti che attraversano il Coston de la Nona, tra un risalto più a monte; la Nona Alta e uno più in basso, la Nona Bassa.
Traversata che più che su terreni impervi direi infrequentabili. Prima bisogna attaccarsi a fragili roccette poi a ciuffi d’erba, poi ai mughi, sempre con l’azzurro che spunta da sotto.

L'amico Bepi sul passaggio

L’amico Bepi sul passaggio

Bepi mi precede e mi assicura in qualche tratto

se no non me la sentirei. Probabilmente i camosci percorrono la parte iniziale, per risalire il crinale fino al Pelf, ma per proseguire tra i mughi c’è voluto lo spirito intraprendente di qualche cacciatore, che poi ne ha parlato con Antonio Berti che cita il passaggio nella sua guida del 1928 e che Rossi riprende.
Girato il costone mi sono ritrovato su una comoda banca erbosa in discesa e ho tirato un sospiro di sollievo. Giunto al largo vallone che scende da Nerville, ho rivisto l’altro fotogramma in memoria che si sovrapponeva.
Missione compiuta dopo un pezzo di vita: conclusione operativa, non è passaggio che può essere alternativo all’Alta Via.
E mi sia permessa una considerazione banale: senza i libri, le guide e gli articoli di montagna quanto più limitati sarebbero i nostri giri, i nostri programmi i nostri sogni?

L'attacco per nulla invogliante del Coston

L’attacco per nulla invogliante del Coston

Alberto Simiele autore del post

Alberto Simiele | Medico di famiglia a Belluno. Fa parte del team che lavora all'Ambulatorio De Marchi in Nepal. Alpinista, appassionato di itinerari selvaggi nelle Dolomiti Bellunesi, ha partecipato anche a spedizioni all'estero, in Patagonia, in Caucaso, in Canada.

2 commento/i dai lettori

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  1. Luigi Roccon il1 settembre 2013

    Mi è piaciuto questo racconto. Alla fine (se ci si crede veramente) i veri sogni si realizzano!

  2. lucaZ il26 agosto 2013

    bellissimo racconto, quel bel camminare che riscopre il gusto dell’avventura in luoghi tanto vicini quanto selvaggi e lontani dalla “civiltà” di ogni giorno..inoltre qui entra in gioco il lato “romantico” di ripercorrere i sentieri di cacciatori, carbonai e boscaioli, io immagino che quando uno percorre certi “troi” pensa alla fatica di queste persone che ogni giorno salivano quelle pale per guadagnare una misera paga da mantenere la famiglia giù in valle..bravo!

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