Valdadige 2014_01

Bursi: padre e figlio

Ultima scalata dell’anno, aspettando la neve. Non potevo non accorgermi di quanto fosse bella questa giornata, questa cordata familiare, questa parete, questa placca grigia e la vita in generale.

E’ il giorno di Santo Stefano, una volta si andava a sciare ma ora il meteo è impazzito e siamo ancora in attesa della neve. Attendiamo con pazienza la neve e ci divertiamo scalando.
Giornata fredda e serena mentre io e mio figlio Paolo saliamo lungo un sentierino nel bosco della amata Valdadige verso gli spalti del Cimo. Il sole illumina le Pale Alte mentre noi saliamo ancora nell’ombroso freddo del primo mattino con temperatura inferiore allo zero.
Ogni tanto guardo la magnifica verdoniana placca finale e penso… più che altro cerco di fermarmi a riposare: Paolo sale invece senza tregua con il passo dello skyrunner.
All’attacco ci prepariamo con calma aspettando il sole che puntuale arriva in questa splendida e tersa giornata invernale.
Paolo parte e dopo un po’ si ghiaccia le mani, glielo avevo detto di aspettare ma è giovane e deve ancora fare esperienza. Quando invece parto io la roccia ha una fantastica temperatura ma il mio corpo è ancora legnoso.
Il muro iniziale di 6a mi coglie impreparato ed in affanno: dopo pochi metri sento un colpo secco e doloroso all’avambraccio sinistro: vecchiaia, mancanza di streching o legno secco… non lo so! proseguo perché so che con “il mestiere” posso supplire a queste piccole noie.
Poi alzandomi dal bosco, la roccia, ora grigia ora gialla, con piccole gocce ma sempre rugosa, mi da grandi soddisfazioni e penso che l’ultima roccia della mia vita che vorrei toccare è questa, quella di Brentino: chi la conosce l’apprezza e chi non ha mai arrampicato fatica a capire cosa significa quando le tue scarpette fanno aderenza anche su appoggi inesistenti e quando le mani trovano appigli anche nel poco.

Lo so che sono rigido come un vecchio scarpone
Paolo riparte affrontando un passaggio più difficile del previsto, dalla relazione dovrebbe essere invece facile, ma Paolo non lo vede neppure, avendo alle spalle un allenamento costante che gli garantisce sicurezza anche dove io nemmeno riesco ad immaginare.
Si gira a sinistra di uno spigolo strapiombante e prosegue.
Io sono in sosta in una nicchia sotto un grande strapiombo e guardo un leccio dall’alto, i lecci sono veramente alberi resistenti al caldo, al vento e al freddo. Di solito non bado ai lecci, ma qui in Valle i lecci sono piante che apprezzo. Mi guardo attorno: è tutto stupendo, tutto perfetto a parte il mio livello di allenamento.
Quando sento la corda tirare, non riusciamo infatti a sentirci a voce, parto e mi godo una piacevole arrampicata fino ad uno strapiombo di boulder di 6b dove proprio non riesco ad alzare la mia gamba sinistra all’altezza del petto.
Lo so che sono rigido come un vecchio scarpone e lo so che non mi piace fare esercizi di allungamento, Chiara me lo ripete in continuazione. Ora qui su questo fottutissimo strapiombo pago tutto con gli interessi, tra l’altro l’avambraccio sinistro, fuori uso, oramai tiene poco.

Mi viene in mente la “old school”
Ecco mi viene in mente la “old school” e Paolo mi lancia giù un cordino kevlar che uso come staffa: sbuffando come un orso e con uno stile efficace ma certamente risibile esco dalle grandi difficoltà ed affronto un diedro assai delicato e sempre strapiombante che ha fatto penare anche Paolo.
Anni di diedri e di letture alpinistiche mi vengono in aiuto e arrivo quindi in sosta senza aiuti artificiali.
Paolo riparte per una placca compatta, verticale o leggermente inclinata, con rigole marmoladiane o del Verdon. Noi siamo qui per questa placca e la nostra via sale proprio al centro della stessa. Paolo sale bene ma facendo alcuni numeri pur di passare in libera e pulito, sale sicuro e lo sento contento della salita e della roccia perfetta. Penso a quello che mi aspetta. Non sono tranquillissimo. Anzi sono proprio agitato poiché sono difficoltà oltre alla mia portata. So che passerò ma non so come: al diavolo lo stile.

Valdadige 2014_02Con l’amico Nazatreno quasi trent’anni fa
Eppure questa via l’ho ripetuto con l’amico Nazatreno quasi trent’anni fa: ovviamente non ricordo nulla e non ricordo fosse difficile… era una via che ci era capitata nella lista e che velocemente avevamo salito. Sapevamo che era stata aperta in solitaria da Sergio Coltri e ci eravamo riproposti di effettuare una delle prime ripetizioni. Non ricordo altro. Paolo non era ancora nato.
Sebbene la mia salita sulla placca sia stata penosa: acchiappare i chiodi non vicini, fare dei passaggi più eleganti possibile da uno spit al successivo: “Paolo tieni la corda tesa! Dai Massimo usa tutte le tecniche di sopravvivenza magari un po’ da coniglio che hai appreso in tanti anni di arrampicataAccidenti qui questa volta ci pianto un bel volo e mi dovrò tirare di peso sulla corda… No dai vedi che ce la fai! Si ce la puoi fare!”
Sebbene ci fossero tutte queste paure, sebbene fossi in lotta con i demoni di me stesso… non potevo non accorgermi di quanto fosse bella questa giornata, questa cordata familiare, questa parete, questa placca grigia e la vita in generale…

Finchè dura, finchè riesco a salire, finchè lui non si stufa
Quando la placca si appoggia comincio a rilassarmi e a divertirmi pure, ma arrivo in sosta che sono l’ombra di me stesso. So quale è la cura per rimediare a tutto questo e parto subito come capocordata superando alcuni passaggi di aderenza. E’ un tiro facile.
In sosta penso che è bello arrampicare con mio figlio Paolo, finchè dura, finchè riesco a salire, finchè lui non si stufa.
Poi attrezziamo le doppie con la solita cura maniacale e ci riguardiamo la bella placca che sta già andando in ombra: d’inverno qui il sole arriva tardi e dura sole poche ore. Si alza un vento freddo che porterà una perturbazione artica… ma noi intanto siamo già fuori dalle grandi difficoltà e con quattro doppie siamo di nuovo alla base.
Sulla sinistra vediamo una via che supera al centro un bel tetto di sette metri: potrebbe essere la prossima via a patto di trovare le staffe da amici del secolo scorso: è tutta roba da “old school” ma perché no?

Oggi: nevica e mi riguardo le mani rovinate dalla roccia tagliente del Cimo e mi sembra incredibile di essere riuscito a prendere l’ultima giornata possibile dell’anno, siamo stati fortunati. E’ stato come prendere l’ultimo aereo al volo!
Domani: ho ancora tanti progetti in mente anche se non so quanto potranno durare ancora queste avventure, ma non mi pongo il problema, le vivo e me le godo in pace.

Massimo Bursi autore del post

Massimo Bursi | Trentennale scalatore di crode dolomitiche, appassionato di montagne in tutte le stagioni, di storia dell’alpinismo, ama scrivere racconti di montagna (secondo classificato al Blogger Contest.2012), abita in provincia di Verona.

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