Le creste e la luna sopra l'Alpe Devero

Le creste e la luna sopra l’Alpe Devero

Alpe Devero, val d’Ossola, 7-12 ottobre 2012

Domenica sera. Giunto all’Alpe Devero, in Val d’Ossola, mi accolgono, in questa sera della domenica, i primi caldi colori autunnali: numerosi larici sono sparsi tutt’intorno all’alpe. Mentre lassù, sulle alte crode, già si è deposta la prima neve, caduta stamattina.

mm_alpe devero_06Lunedì. Chi avrei potuto incontrare, dopo quindici minuti di cammino, se non un mio amico?
Lesto, sale sul larice, che già comincia a biondeggiare. Poi lo scoiattolo si nasconde, iniziando l’antico gioco.
In alto, troneggia il cielo azzurro, con qualche nube, birichina ma innocente: fa compagnia all’immensa volta celeste. Non fa bene essere troppo soli.
In basso, boschi interi di larici, alcuni già indorati: gli altri miei amici dei boschi.
Intendo raggiungere il Passo d’Arbola: così incontro gli svizzeri. Per fare a pugni?
La Svizzera, “stato neutrale”: così ci è sempre stato detto. Stato “senza esercito”. Sarà vero?
Cosa significa essere neutrali? E come si fa ad essere, davvero, senza esercito?
E se uno stato – come la Svizzera – è una delle principali riserve del capitalismo finanziario sporco, dove passano milioni di transazioni che hanno a che fare con il commercio delle armi (e della droga, che vi è connesso), si può dire che è uno stato neutrale e senza esercito,… quasi nonviolento?

Sul confine, sul limite ognuno di noi termina e viene determinato,
acquista la sua forma,
accetta il suo essere limitato da qualcosa d’altro
che ovviamente è anch’esso limitato da noi.
(Franco Cassano, 1996)

In questi termini, si può parlare dello stesso Costarica (altro Stato che era “un mito” per noi, quarant’anni fa)? Me lo chiedevo già quel giorno, quando l’aereo su cui ero salito a Città del Guatemala, faceva scalo a San José, prima di spiccare il grande volo atlantico di ritorno. Era il 1989.
I numerosi cespugli dei mirtilli, degli pseudo mirtilli e dei rododendri, rosseggiano, mentre le cortecce sbrecciate dei larici fanno loro da specchio.
Il rosso, insieme al verde rimasto dalla stagione estiva e al giallo del primo autunno, compongono una straordinaria tavolozza di colori.
È il periodo più bello, per me, per andare in montagna, insieme all’inverno, quando la bianca neve spegnerà i colori ma rifletterà l’azzurro del cielo limpido, creando un paesaggio fiabesco.
Mi nutro di qualche mirtillo, ma non solo: di silenzio e di solitudine. Ciò di cui ho più bisogno.
Cammino sotto un tiepido sole, un po’ velato. Giunto sotto al vallone che sale al Passo di confine, una serie di nuvole grigie minacciano di coprire il paesaggio che, da lassù, potrei vedere, e, forse, mi annunciano un po’ di pioggia.
Rinuncio, e mi avvio a fare il giro dello stupendo Lago Devero (o Codelago). Così, intanto, prendo conoscenza con questa zona dell’Alpe.

La Rossa

La Rossa

Martedì. La Rossa si nasconde: folate di nubi, sospinte qua e là, ne coprono la Punta.
Qui, invece, sul sentiero che sale al Passo, è arrivato il sole, mentre il torrente smorza le parole, se mai si dovrebbero dire.
Camminare in silenzio, in montagna, è la cosa migliore: si osserva di più, si ascolta di più, si annusa di più. Solo in questi casi, ad esempio, io scopro quasi tutti gli animali che passano (e che gli altri, in genere, non vedono). Quando mi allontano un po’ dagli amici che chiacchierano, e che tengono il muso rivolto verso terra, li vedo, e poi li indico agli altri. Qualcuno mi ha detto che ho “una calamita”, ma si tratta solo di affinare (o lasciare spazio) all’ascolto, in tutte le sue dimensioni e in tutti i suoi aspetti.
Ora la Rossa è completamente libera – il vento ha fatto la sua parte – e lo spigolo, adatto ai rocciatori, è bene in evidenza.
Quattro pernici, sorprese, e un po’ spaventate, dal mio passo – non certo dalle mie parole, che son mute – si alzano velocemente in volo dal nido dov’erano rifugiate.
Troppo veloci per uno scatto fotografico, con la camera nello zaino. Ma non per lo “scatto” che posso fare con gli occhi e che imprime il ricordo nella mia memoria visiva.
Sto percorrendo un sentiero storico, battuto, nel passato, soprattutto dai contrabbandieri. “Cristallieri, bracconieri, contrabbandieri, se dovessimo cercare le ascendenze più antiche del mestiere di guida dovremmo cercarle in quelle categorie di montanari” (Erminio Ferrari, Mi ricordo la Rossa, Tararà, Verbania 2009, p. 44).
Raggiungo la Bocchetta della Rossa, al confine con la Svizzera  anche qui, e poi il Passo di Campriolo, osservando da lontano le bellissime montagne elvetiche, con più ghiacciai delle nostre, ormai denudate.
Comincio ad essere stanco e penso di aver fatto il più: mi resta solo la discesa al Lago Devero. Ed invece…: adesso viene il bello!
Una pietraia infinita e insidiosa – lo sarebbe ancor di più in caso di nebbia o di pioggia – mi attende. Richiede tutta la mia attenzione e la mia forza muscolare, perché non bisogna sbagliare a mettere il piede sui massi, talora spigolosi e qualcuno instabile. Ho la tentazione, per un tratto, di scendere lungo un nevaio che vedo di fianco alle esili tracce del sentiero “per esperti” che sto percorrendo, ma vengo scoraggiato quando vedo dei buchi pericolosi che si aprono tra la neve e i massi. Non devo fare errori. Sono ancora in alto, e sono solo. Non c’è anima viva in giro. Non ho visto alcuno, da stamattina. E comincia a fare freddo, qui tutto il vallone è all’ombra. Devo scendere festina lente, come dicevano gli antichi romani. Non posso attardarmi e, nello stesso tempo, non devo cadere, prendermi una storta o perdere le deboli tracce che trovo, talvolta con fatica, indicate.
Pazienza e costanza, fiducia in se stessi e resistenza, serenità e determinazione: ottimi esercizi spirituali. Non sono qui per questo?
Non dimentico – giunto finalmente sul sentiero di terra battuta, ritornato al sole, che pur essendo nel tardo pomeriggio ancora illumina d’incanto i larici dorati, riposatomi e ristoratomi un po’ – che oggi è il due ottobre, anniversario della nascita del Mahatma Gandhi, Giornata Internazionale della Nonviolenza.
Il pensiero corre, con partecipe distacco – così come si conviene a giorni di “ritiro” – alle nostre battaglie contro l’installazione della nuova base militare americana a Vicenza. Non ci sono occorsi (e ancora ci occorrono, poiché la lotta non finisce con la sconfitta “fisica”) le stesse capacità, le medesime disposizioni e gli identici strumenti che mi hanno aiutato in questa discesa?

Il lago Devero

Il lago Devero

Mercoledì. A zonzo per i monti, tenendo la direzione. Soprattutto, inseguendo il bramito dei cervi. Poiché tra le solite montagne di casa non ci sono, non conoscevo il loro potente richiamo, ma una locandina, posta all’ingresso di questo Parco Naturale di Veglia e Devero, mi aveva avvertito della loro presenza. Il periodo autunnale, per loro, a differenza della maggior parte degli animali, è il periodo dell’amore.
Così, ad una “corte” (ossia ad una zona alta di alpeggio, come le chiamano nell’ossolano), punto di riferimento per eventuali ritirate, abbandono il sentiero segnato e mi dedico alla caccia. Fotografica, ovviamente. Uditiva e visiva.
Prima li sento di qua, nel bosco. Poi, di là, in alto, sopra un pianoro. Cerco di inseguirli, percorrendo i loro stessi sentieri: ogni tanto vedo le loro impronte e i loro escrementi. Attraverso, zigzagando e salendo su fino ad un crinale, ampie distese di mirtilli e di altri cespugli.  Forse i larici fitti mi impediscono di vederli passare. Mentre io non sarò invisibile a loro, ma, soprattutto, non sfuggirò al loro odorato, che, per gli animali, è il senso più acuto e quello più  usato… dovrei cospargermi di sterco di cavallo o di pecora per procedere più sicuro. Sta di fatto che non li vedo. Ma quando mi metto a cercare una traccia di discesa verso la corte, evitando scarpate troppo umide e scivolose, un ungulato, discosto da me di una trentina di metri, mi sfugge, saltando nel folto a grandi passi. L’ho visto da dietro: era un camoscio o un cervo? Sarà per la prossima volta.
Riprendo i segni bianchi e rossi, che danno sicurezza, ma che talora è bello tralasciare per cercare angoli non frequentati, percorsi non battuti, ma non pericolosi. Quante volte, proprio il fatto di aver deviato, mi ha permesso di incontrare un fiore mai visto in quel giorno, una pietra con particolari colori, un animale che di certo non avrei incontrato se fossi rimasto sulla traccia indicata!
Uscire dal seminato, per trovare altri “semi”: poiché lo spirito è come il vento, non si sa da dove venga e dove vada, diceva qualcuno. Andare al di là del consueto e, quindi, del conosciuto. Aprirsi all’ignoto, al futuro “imprevisto”: anche per me. Su quella questione, su quella vicenda. Ma anche sulle altre, in generale. Come disposizione di fondo. Come abitus.
Altro esercizio. Fondamentale per essere, sempre, “in cammino”.
Raggiungo il Lago Nero, e, poi, l’Alpe Buscaglia, mitico paesaggio per i frequentatori di queste zone. Voglio gustarmelo, sdraiandomi sui prati. Riposo, leggo, osservo, fino a che non ho freddo e debbo rialzarmi.
Ritorno per Piedimonte, contrada ai margini estremi della piana di Devero; sotto, come dice il nome, le montagne e i sentieri che salgono agli alpeggi più alti, alle corti.

Il lago di Poiala

Il lago di Poiala

Giovedì. La solitudine, in montagna, è più profonda quando si cammina, d’autunno, tra la nebbia; e i nuvoloni certamente creano quell’atmosfera che per qualcuno è fonte di malinconia e tristezza, per altri, come me, invito al raccoglimento e alla gratitudine, e, quindi, sorgente di gioia profonda, seppur trattenuta: la più necessaria, e durevole.
Oggi, tra l’Alpe e i Laghi Sangiotto e Poiala, è così.
Nel primo pomeriggio inizia a piovere. Dolcemente, però. Gocce sottili, che mantengono l’atmosfera. Potenti bramiti di cervi, valicato il passo di Poiala, mi fanno deviare ancora dal percorso segnalato. Niente, non li vedo. Certo, non è l’ora più adatta. Ma loro continuano a farsi sentire. E poi, non mi sono diretto “ai corsi d’acqua”, memore del Salmo? Non è là che “la cerva anela”?
Sugli aneliti del nostro cuore, oltre che dei nostri sensi, si sono costruite le religioni, ma anche le illusioni (e, spesso, purtroppo, le cose hanno coinciso).
L’amore è sempre “discendente”.
E quanto più si discende, tanto più ci si innalza.
È, in qualche modo, ciò che ci insegna lo stesso andare in montagna: Non è vero che si può dire di avere fatto la cima solo quando si è discesi da essa?
Le marmotte si godono, nonostante le nubi che coprono il sole e la pioggerellina che scende, l’ultimo tepore di queste giornate d’autunno.
E ancora pernici, che passano, improvvise. Un frullo d’ali vicino a me (… pensavo, un po’ spaventato, fossero degli elicotteri in arrivo): e via, diritte! Maurizio, perché, talora, te ne vai storto?

La prima neve sulle creste di confine

La prima neve sulle creste di confine

Venerdì. “Il larice in autunno ingiallisce ed è l’unica aghifoglia europea a perdere le foglie. Questa caratteristica permette di affrontare al meglio le condizioni estreme invernali”: così leggo in un tabellone, tra quelli sparsi nel Parco, sotto un bel larice.
È l’ultimo giorno del mio Ritiro. Ultimo giorno di silenzio, solitudine e preghiera.
L’uno premessa necessaria all’altro.
Senza silenzio, in senso interiore oltre che fisico, non si può conoscere la vera, salutare, solitudine, che non è isolamento, ma presa di coscienza di sé  (e, quindi, anche dei propri legami con gli altri e con la realtà tutta).
E senza solitudine non vi può essere autentica preghiera. Solo preghiere, di poco conto.
Oggi raggiungo la Bocchetta d’Arbola, che intendevo valicare nel primo giorno. In territorio svizzero, poco distante dalla Bocchetta, un Rifugio è ancora aperto e sventola la bandiera rossa con la croce bianca in mezzo. Mi fermo al Passo, battuto dal vento. Poi, mi avvio, lentamente, verso il ritorno.
È il momento di raccogliere gli ultimi pensieri e le ultime immagini, di unificare i sentimenti e le emozioni, di confermare le scelte e le decisioni, di ripartire con la carica acquisita in questi giorni di grazia e di gioia pura.

Maurizio Mazzetto autore del post

Maurizio Mazzetto | Vicentino, ha collaborato attivamente ad iniziative che legano gli aspetti delle memorie alpine (in particolare della Prima Guerra mondiale) con quelli sociali e artistici di attualità (si veda il sito: http://www.antersass.it/wandering_cemetery). Appassionato di montagna e di letteratura, ha pubblicato regolarmente dei post nel blog alpinistico e di cultura: http://www.iborderline.net.

3 commento/i dai lettori

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  1. Luca Visentini il24 novembre 2013

    Grazie Maurizio, pensa che ho apena letto questa tua storia sullo stampato che mi avevi dato a Longarone. Così sono ventu qua sul blog. Sono legato a quei posti, Veglia e Devero, mi sono accampato più volte al Piamboglio e al Bocareccio: le riflessioni che ti hanno suggerito non sono dissmili dalle mie, l’atmosfera è quella. Grazie ancora, Luca.

  2. Gian Paolo Bogoni il2 novembre 2013

    La descrizione dell’incanto del creato fa trasparire l’amore ed il rispetto verso lo stesso.
    Stride con quanto l’uomo con la sua ricerca del profitto a tutti i costi ed in nome del “progresso” contribuisce a distruggere non accorgendosi o ostinatamente a non voler prendere atto dei danni irreparabili che procura a se stesso ed alle future generazioni.

  3. Ivana Bizzotto
    Ivana Bizzotto il1 novembre 2013

    Davvero piacevole la lettura di questo post. Ho apprezzato molto le considerazioni scaturite nell’andare al di là del consueto e i “gli ottimi esercizi spirituali” che, a tutti i livelli con i quali ci si avvicini alla montagna, sono davvero un gran regalo per vivere compiutamente. Grazie !

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