SOLO DI CORDATA_Davide riva_01

Intervista di Simonetta Radice a Davide Riva, scrittore e videomaker milanese,
regista del film “Solo di Cordata” premiato al Trento Film Festival 2016 come miglior film italiano.

Nonostante – o forse proprio perché – di lui si sia parlato relativamente poco, Renato Casarotto non è mai un argomento facile da affrontare. Troppo grandi le sue imprese, troppo low profile l’uomo. Troppo piccolo l’eco mediatico della sua carriera alpinistica, smisurato l’immaginario – come direbbe Alberto Peruffo – che questo fuoriclasse della montagna ci ha lasciato.
E se non è facile trovare le parole, figuriamoci le immagini. Eppure “Solo di Cordata”, il film del regista milanese Davide Riva, premiato a Trento come miglior film italiano 2016, riesce nell’impresa non facile di creare un “ritratto filmico” di Casarotto “in punta di piedi”, grazie a un linguaggio sobrio e privo di retorica che riflette perfettamente la persona.
Renato Casarotto pubblicò un solo libro ma scrisse molto: diari, registrazioni, appunti: cronache dal mondo fuori ma anche dal mondo “dentro”, perché la sua esplorazione fu in qualche modo lo strumento principe per portare l’introspezione a un nuovo livello. Il film racconta così Casarotto attraverso le sue stesse parole e le parole delle persone che gli sono state più vicine. Dosa sapientemente le immagini rispettando l’indole di un alpinista molto poco propenso ai riflettori e apre infine a una riflessione generale sull’ambito del possibile e sul senso del limite.
Ho intervistato Davide Riva per lasciare che fosse lui a parlare del suo film, delle scelte stilistiche che l’hanno guidato nel realizzare questo lungometraggio e del valore che rappresenta per lui la figura di Renato Casarotto.

Davide, come ti sei avvicinato alla figura di Renato Casarotto e che cosa ti ha colpito di più?
Mi sono avvicinato a Renato Casarotto frequentando qualche anno fa un corso di alpinismo. Parlarono di lui proprio durante l’ultima lezione: io avevo letto qualcosa di Bonatti e di Gervasutti, ma il fatto che Casarotto venisse liquidato così in fretta mi mise molto a disagio. Così, cercai innanzi tutto di recuperare il suo libro “Oltre i venti del Nord”, nonché quelli pubblicati postumi dalla moglie, scritti mettendo insieme gli stralci dei diari e di altri appunti presi qua e là. La figura di Renato Casarotto mi ha colpito molto, sia come appassionato di montagna sia come regista, perché capivo che la sua figura e la sua storia erano molto poco conosciute e anche dal punto di vista visivo mi interessava mettermi alla prova per capire come poter interpretare il suo mondo in maniera autentica. In particolare, mi interessava mostrare che cosa succede all’animo dell’uomo quando si trova per tanto tempo da solo nella natura. Per me Renato rappresenta una sorta di esperimento umano: con lui non era mai una questione di uno o due giorni, il suo alpinismo è pura avventura che sconfina nell’esplorazione geografica da una parte, e dall’altra nell’introspezione più profonda. Salire “fuori”, per poter scendere “dentro”. Che cosa succede all’anima dell’uomo quando si trova per tanto tempo da solo negli spazi selvaggi? Quello che accade è che in condizioni di estremo isolamento decadono tutte le strutture mentali che ci guidano nel quotidiano, per riuscire finalmente a vedere l’essenziale, le cose importanti che rendono la vita degna di essere vissuta.

Casarotto è un protagonista della storia dell’alpinismo di cui si è parlato molto meno di quanto le sue imprese meritassero, perché secondo te?
Quando un fenomeno è troppo grande, si verifica un meccanismo tale per cui la mente umana richiede del tempo per elaborare ciò che si trova davanti. E pensando alle imprese di Casarotto, quello che lui ha fatto era davvero troppo per poter essere recepito in quel tempo – e non solo in quel tempo – in tutta la sua pienezza. Poi, più semplicemente, entrano in gioco altri elementi come attitudine e sensibilità: Renato era una persona molto umile, che non alzò mai la propria voce cercando visibilità sugli altri e che faceva le cose che faceva solo perché le sentiva come sue, ma mai in ottica commerciale. Peraltro, sono state diverse le imprese considerevoli che fece prima di riuscire a vivere di alpinismo. Basti pensare alla solitaria invernale al Pelmo, cosa che nello stesso inverno era stata tentata senza successo dai fratelli Messner, o la salita all’Huascarn, che pure fece senza essere sponsorizzato e che constò di 17 giorni di arrampicata solitaria. Ma anche quando iniziò ad attirare l’interesse degli sponsor, Casarotto fu sempre un personaggio molto poco mediatico, focalizzato sui propri progetti e di attitudine estremamente riservata. E del resto se dovessimo considerare ciò che ha fatto come pietra di paragone per l’alpinismo non solo dei suoi tempi, ma anche di oggi, oscurerebbe sicuramente le imprese di molti, dal trittico del Bianco alle nuove aperture fatte sugli Ottomila, senza ossigeno e attrezzandosi la via da solo.
Credo che il film si riproponga di raccontare proprio questo tratto fondamentale del carattere di Renato che è l’umiltà. E in una personalità umile come la sua – non dedita alla ricerca del grado e della gloria – l’incontro con l’alpinismo va oltre il semplice raggiungimento di una performance, ma porta a schiudere una dimensione emotiva che l’uomo ha dentro di sé ma che solo certi ambienti riescono a riportare in superficie.

SOLO DI CORDATA_Davide riva_02Renato Casarotto ha scritto un solo libro (Oltre i venti del Nord) ma ha scritto e registrato diari per tutta la vita. Qual è stato secondo te il suo rapporto con la scrittura e com’è stato il percorso di tradurre in immagini le sue parole?
L’idea di ricorrere al suo materiale originale – dal suo libro “Oltre i venti del Nord” agli stralci del diario, alle registrazioni e a tutto il materiale raccolto da sua moglie Goretta – e di studiarlo approfonditamente mi ha permesso di realizzare e proporre quello che io chiamo “un ritratto filmico” che spero sia il più possibile autentico, mentre grazie alle interviste agli amici ho potuto indagare da vicino il suo universo affettivo. A livello di regia, ho cercato di non limitarmi a offrire una biografia dell’alpinista o una cronistoria asettica della sua vicenda, ma di riflettere nelle immagini la personalità dell’uomo, così che fosse il linguaggio cinematografico stesso a raccontarla. Ho scelto così, per esempio, di non far mai vedere il suo volto, se non alla fine del capitolo riguardante il rapporto con la moglie Goretta. Ho fatto questa scelta proprio per mostrare e dare rilievo all’universalità dell’esperimento umano di Renato, che diventa così una sorta di archetipo, e la sua avventura una rappresentazione di quello che succede e del livello di profondità che raggiunge un uomo solo, per molto tempo a contatto con la natura selvaggia.

Una delle frasi più citate di Renato Casarotto parla di “strettoie del linguaggio, completamente inadeguato a tradurre in simboli i concetti e la totalità dell’esperienza vissuta”, per concludere poi che “alla base di tutto, di ogni azione che l’uomo compie, dev’esserci sempre Amore”. Qual è secondo te il messaggio di Renato Casarotto agli alpinisti di oggi?
Devo dire che, di questa frase, la cosa che mi ha colpito di più è, nella sua semplicità, la precisione: è una frase che probabilmente ti aspetti più da un letterato che da un alpinista, ed è stata quella che mi ha fatto decidere di fare il film. E credo che rappresenti in qualche modo il suo testamento, il suo messaggio: tanti cercano il motivo per cui vanno in montagna oppure fanno quello che fanno, ma se consideriamo questa frase come una sorta di lente con cui guardare la vita allora tante cose si chiariscono.
Naturalmente la scrittura di montagna, la sua qualità dipende anche dalla sensibilità di ognuno ma probabilmente la capacità di tradurre in parole dipende anche e soprattutto da quanto si è vissuta la propria esperienza in maniera autentica; credo che per un’anima pura e aperta a registrare ciò che sente sia poi più facile esprimere la sua esperienza in parole. Credo che in un’epoca di vanagloria come quella attuale una figura come quella di Renato possa dire tanto: se il motore che muove tutto ciò che ha fatto è l’amore, si capiscono molti aspetti della sua personalità: il suo non bisogno di apparire, la sua continua ricerca di spostare il limite. C’è anche un’altra frase di Casarotto che amo molto e dice che le persone che hanno smesso di sognare hanno anche smesso di vivere. Credo che la sua avventura umana ci ricordi che se amiamo davvero quello che facciamo, allora possiamo trovare dentro e fuori di noi i mezzi per avverare i nostri sogni.


Versione Streaming Online o DVD del film “Solo di Cordata”:  www.solodicordata.it
Per saperne di più su Davide Riva: davideriva.net


Simonetta Radice autore del post

Simonetta Radice | Giornalista pubblicista, addetta comunicazione. Da sempre amo la montagna e tutto ciò che ha a che fare con essa. La libertà è un poco al di là delle tue paure. Vivo tra Milano e Gignese (VB) e questo è il mio blog http://estateindiana.wordpress.com/

Il post non ha ancora nessun commento. Scrivi tu per primo.

Lascia un commento