La croce di vetta della Schiara nel 1973 (2565 m)

La croce di vetta della Schiara nel 1973 (2565 m)

Pur trovandosi alle porte della città di Belluno, la Schiara non è montagna “facile” da raggiungere.

Le vie di accesso sono diverse, da tutti i punti cardinali, e anche la più breve e frequentata (da sud) comporta comunque tempi lunghi per l’avvicinamento.
La conosco bene per averla battuta a tappeto agli inizi degli anni ’70, nei panni di un giovane studente di belle speranze. Qui ho conosciuto gente meravigliosa, vissuto esperienze di montagna indimenticabili ed irripetibili, almeno così credevo fino a poco tempo fa.
Nel marzo dello scorso anno, sfogliando il mio vecchio e consunto diario di campagna, l’attenzione si è soffermata su una pagina datata “25 settembre 1973” e con la seguente didascalia “Serie stratigrafica della Val di Piero, dalla Stanga al rifugio 7° Alpini, attraverso la forcella di Oderz – segnavia Cai 502”.
«Allora nel 2013 ricorre il 40° anniversario. Ma è anche il 150° dalla fondazione del Cai» mi son detto. Perché non pensare di ripetere questo fantastico itinerario per celebrare degnamente entrambe le ricorrenze ed inserire la Schiara nella iniziativa della nostra Sezione di Ferrara, denominata “150 Cime per i 150 anni del Cai”?
Così a settembre di quest’anno, preventivamente trovati due validi compagni di avventura (Alberto e Francesco) e fissata la data, il 27-28 settembre, alle ore 7,55 eccoci sulla statale agordina, davanti alla Stanga, zaino in spalla.
I ricordi di allora sulla Val di Piero sono stati pienamente riconfermati anche in questa circostanza. E’ una delle vie di accesso alla Schiara, più lunga e faticosa, sicuramente la più aspra e selvaggia che incute un certo timore reverenziale nell’affrontare certi tratti molto esposti su zolle erbose (le famose “loppe” dei viaz dei Camorz e Camorzier).
Il sentiero, scarsamente frequentato e battuto (per veri cultori della wilderness) è sconsigliato a chi soffre di vertigini. Alcuni passaggi delicati ora sono stati attrezzati, così come il tratto finale che porta sulla forcella Oderz.
Verso la testata della valle, laddove sentiero e torrente si intersecano, appare imponente ed impressionante la parete S-W del Burel dove pochi alpinisti eletti hanno inciso i loro nomi.
Nonostante le previsioni, la fortuna ci assiste. Solo nuvole basse che, di tanto in tanto, lasciano spazio a squarci di azzurro, ma niente pioggia sino al rifugio 7° Alpini, dove arriviamo verso le 13, l’ora giusta per rosegar un bocon.

Foto di gruppo al rifugio 7° Alpini con gli amici di Agordo e Cencenighe

Foto di gruppo al rifugio 7° Alpini con gli amici di Agordo e Cencenighe

La tregua meteo si interrompe verso le 17, con tuoni e lampi sul Pelf,
seguiti da un violento scroscio di pioggia. La regola che dice di partire presto è sempre valida.
Consultando il libro del rifugio, possiamo constatare che da giugno a settembre, solo altri due escursionisti sono saliti dalla Val di Piero; la maggior parte ha scelto l’itinerario classico da Case Bortot (che comunque comporta sempre 3 ore di cammino e 750 metri di dislivello). Troviamo anche le firme di altri 5 soci della nostra Sezione (presidente in testa), arrivati qui, alla fine di agosto, dalla Caiada-Pelf-Marmol.
Verso le 18 arrivano altri tre escursionisti, saliti anche loro dalla Val di Piero (così in un solo giorno la percorrenza di questo itinerario triplica quella dei quattro mesi precedenti), bagnati fradici. Sono di Agordo e Cencenighe, quindi giocano in casa. Per motivi di lavoro sono partiti dalla Stanga verso le 14 e hanno fatto l’ultima parte del percorso praticamente a mollo. Davanti al fuoco di una stufa a legna e an ombra de rosso, facciamo subito amicizia con Alberto, Ilio e Valentino.
Anche loro domani saliranno in vetta, però attraverso il sentiero attrezzato Sperti. Dovendo ripercorrere lo stesso itinerario di 40 anni fa, noi invece faremo la ferrata Zacchi, più corta ma un po’ più impegnativa. Conclusa la cena con un brindisi a base di ottima grappa veneta, tutti a letto, con appuntamento in cima alla Schiara, per la foto di gruppo.

L’indomani, alla partenza, una cappa nuvolosa avvolge il rifugio,
negandoci la visione della imponente parete sud della Schiara. Solo un fugace squarcio ben presto svanito, giusto il tempo per una foto! Sarà così sino all’attacco della Zacchi, di fianco al Porton (caratteristico arco naturale, formatosi in epoca quaternaria per distacco e crollo di un piccolo pezzo di parete rocciosa).
Per fortuna, anche per oggi “lassù qualcuno ci ama”. Così, arrivati sul pulpito che porta alla famosa diagonale Zacchi (il tratto più impegnativo della ferrata), dopo due giorni rivediamo finalmente il sole. Sotto di noi un mare bianco ed ovattato di nuvole dal quale emergono come isole le cime più elevate dei monti circostanti (Serva, Col Nudo, Cavallo, Pizzocco). Sento i compagni urlare di gioia e gli otturatori delle macchine fotografiche crepitare a raffica come se fossero le tristemente famose (non si inceppavano mai) M7/Schwarzlose, mitragliatrici austriache usate in montagna durante la 1° Guerra Mondiale.
Lo spettacolo ci infonde ulteriore entusiasmo ed energia per continuare la nostra grande e faticosa traversata. Oggi ci attendono 1650 metri in salita e più di 2500 in discesa.

Dalla Zacchi verso Sud, spunta la cima del Serva

Dalla Zacchi verso Sud, spunta la cima del Serva

Le nuvole, riscaldate da un tiepido sole, cominciano a risalire
la parete sud della Schiara e per non essere riavvolti, dobbiamo affrettarci. Così, lasciati gli zaini al bivacco Dalla Bernardina, subito via per la seconda ferrata di giornata, la Berti (ad onor del vero è una semi-ferrata, per la metà si arrampica in libera, con facili passaggi di 1° e 2°, ma con esposizione sempre marcata), che porta direttamente in vetta a quota 2565 metri. Fortunatamente le nubi, o per raggiunto equilibrio termodinamico e per clemenza nei nostri confronti, si sono fermate alla base della Gusela, dove scorgiamo due puntini che si stanno rapidamente spostando nella nostra direzione. Neppure il tempo di estrarre il gagliardetto delle “150 Cime” che ecco materializzarsi dietro noi quei due puntini. Sono Ilio e Valentino (Alberto è rimasto al bivacco), venuti su di corsa come due camosci, proprio per la foto di vetta con noi. Ancora una volta “La Montagna unisce” ed è testimone di nuove amicizie, oggi come allora.
Nel settembre del 1973 ho conosciuto in questi luoghi, Franco Miotto, grande alpinista bellunese con un passato da bracconiere pentito (per necessità), personaggio di rara umanità; proprio a lui rivolgo il mio primo pensiero raggiunta la cima e, se non fosse per le nuvole, con il binocolo potrei vederlo intento a curare il suo orto nella bella casa di Limana.

Vetta della Schiara nel 2013. Della croce è rimasto solo un "relitto", ma è spuntato un "ometto"

Vetta della Schiara nel 2013. Della croce è rimasto solo un “relitto”, ma è spuntato un “ometto”

Quassù non è più come 40 anni fa.
Della grande croce in ferro è rimasto solo il basamento in cemento dal quale spuntano 4 tirafondi filettati ed arrugginiti; del libro di vetta nessuna traccia. Anche la scritta in vernice rossa “Schiara 2565 m”, consunta e sbiadita, si legge a mala pena. L’unico riferimento della cima rimane un inutile ometto di pietre a forma piramidale.

Basta con i ricordi e la nostalgia, è tempo di ripiegare
perché altri sgraditi ospiti stanno salendo. Sono le nuvole che sempre più leggere cominciano a muoversi velocemente.
Allora via, a ritroso per la Berti sino al bivacco, vero nido d’aquila sospeso fra cielo e roccia, a riprendere gli zaini e giù per il sentiero alpinistico 503.
Attraverso il grandioso Van de la Schiara, sul versante settentrionale, la cui origine affonda nella notte dei tempi, in poco più di due ore arriviamo a Pian dei Gat (nuvole basse stagnanti, in bellunese) dove sorge il rifugio Bianchet. Proprio qui, alla fine di marzo dello scorso anno, sono salito in mountain bike e, vedendo la mole slanciata della Gusela, ho maturato l’idea di ripercorrere la mia prima traversata del gruppo, a 40 anni di distanza.

Rifugio Bianchet al Pian dei Gat con la Padrona di casa

Rifugio Bianchet al Pian dei Gat con la Padrona di casa

C’è un gran fermento al Bianchet, per i preparativi della gara di corsa in salita da la Muda prevista domani con arrivo proprio al rifugio. Ultimi scampoli di un’altra stagione che volge al termine, come ci conferma la gentile e simpatica giovane signora che lo gestisce.
Con un po’ di tristezza d’animo, che pesa più della stanchezza fisica, assieme a tutti gli altri lascio Pian dei Gat. Prima di immettermi sulla lunga forestale di val Vescovà, che in 8 km ci porterà sulla statale agordina, al limite del bosco misto mi giro a guardare la “mia montagna” per l’ultima volta, nell’ora del tramonto ormai prossima.
Mi chiedo se sarà veramente l’ultima o se l’affetto che mi lega a questi luoghi sarà più forte dell’avanzare degli anni e degli acciacchi conseguenti.
Non trovo una risposta, penso solo che d’ora in poi dovrò vivere alla giornata, senza programmi, obiettivi o mete da raggiungere, con la speranza che la Schiara non resti solo un bellissimo e prezioso ricordo, custodito in quella grande cassaforte donataci dal Padre Eterno, che si chiama “cuore”.
Montium semper memor

Fabrizio Ardizzoni autore del post

Fabrizio Ardizzoni | Geologo in pensione. Ho fatto la tesi di laurea sulle Dolomiti Bellunesi (Schiara-Pelf-Talvena), dove ho conosciuto Piero Rossi e Franco Miotto. Appassionato di montagna dalla nascita (Ferrara, 1948). Pratico a livello amatoriale sci di fondo (in inverno vivo sull'Altopiano di Asiago) e ciclismo (strada e mtb). Consigliere della sezione Cai di Ferrara, nonché componente delle commissioni "escursionismo" e "attività culturali". Volontario della Protezione Civile.

15 commento/i dai lettori

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  1. Bubi il7 ottobre 2014

    Ciao Fabrizio, scopro per puro caso questo post e mi accorgo che quell’Ilio nella foto con voi è Ilio De Biasio morto il 9 aprile di quest’anno per un incidente durante una scialpinistica.
    Su planetmountain hanno lasciato un ricordo di Ilio http://www.planetmountain.com/News/shownews1.lasso?l=1&keyid=41783 che era un fortissimo alpinista.
    Mi spiace darti questa brutta notizia, però la montagna è anche questo…

  2. Emanuele il19 novembre 2013

    Per quanto riguarda la vetta della Schiara e lo dico da appassionato naturalista, “l’inutile” ometto (al posto della croce metallica) mi sembra il miglior indicatore di vetta, fatto di frammenti di roccia, di quella dolomia tanto amata da noi geologi ed alpinisti e che diviene un invito ad un miglior rispetto della Montagna, non ti pare?

    • Fabrizio Ardizzoni
      Fabrizio Ardizzoni Autore il19 novembre 2013

      Hai ragione Emanuele, il termine “inutile” non è appropriato. Tutto ciò che è materia naturale non è inutile. Però la delusione, dopo 40 anni, di non vedere più la grande croce di vetta è stata troppo forte. Potevano almeno completare l’opera togliendo anche il basamento con quei quattro monconi di ferro arrugginito!

  3. Walter il9 novembre 2013

    Grazie Fabrizio di avermi fatto rivivere quei bei momenti di qualche anno fa (hai detto 37?). Il ricordo è ancora vivo e manca solo qualche piccolo particolare. Ad esempio tu riesci a spiegarmi come, dopo le scintille sui picchetti, abbiamo fatto ad entrare contemporaneamente in tre per la stessa porta della 600? Non l’ho mai capito! E grazie ancora perchè col tuo racconto mi ci hai fatto tornare una seconda volta e con un’atmosfera diversa.

    • Fabrizio Ardizzoni
      Fabrizio Ardizzoni Autore il10 novembre 2013

      Ciao Walter, già la 600. La nostra gabbia di Faraday di allora!Ma anche quella volta il giorno dopo il tempo volse al bello e fu un grande giro. Se hai delle foto rispolverale, io farò altrettanto e la stessa cosa chiederò a Gabriele. Poi , se riusciamo le riuniamo tutte per farne un album. Fammi sapere se l’idea è fattibile.

  4. Gabriele Villa
    Gabriele Villa il9 novembre 2013

    Bel racconto Fabrizio, amico mio, compagno di classe negli anni dell’Istituto Tecnico Industriale di Ferrara e ora qui, nell’aula virtuale di altitudini.it. Un pò di nostalgia ma senza indulgere troppo al passato, e lo sguardo ancora aperto al futuro pur se, come scrivi, “da vivere alla giornata, senza programmi…”. Conosco bene la tua passione per la Schiara alla quale hai accompagnato anche me per il giro completo delle ferrate; era il 1976 e me ne è rimasto un ricordo molto intenso e una foto in bianco e nero che ci vede in piedi sulla grande croce di vetta. Trentassette anni fa ma siamo ancora qui (e speriamo di continuare) a scrivere di montagna e di una passione che spesso ha portato luce ed entusiasmo nelle nostre vite di “pianuricoli”.

    • Fabrizio Ardizzoni
      Fabrizio Ardizzoni Autore il9 novembre 2013

      Ciao grande Gabri, inpossibile dimenticare quella esperienza. C’era anche Valter . Mentre si piantavano i picchetti della tenda a case Bortot, il martello e il filo spinato delle staccionate attorno cominciarono a scintillare e crepitare. Era il fenomeno chiamato fuoco di S.Elmo ovvero segno premonitore di un fulmine che dissipa la propria carica elettrica in modo diffuso e non concentrato su una determinata area. Ci andò “purasà” bene. Ricordo anche che tanti anni dopo lo hai magistralmente (come ti è consono fare) raccontato su “Intraisass”.Speriamo di far passare ancora tanta acqua sotto i ponti prima di appendere gli scarponi al chiodo!

  5. antonella il8 novembre 2013

    Bellisimo e molto umano questo racconto. E’ vero: la montagna unisce: basta ritrovarsi su un identico percorso con persone sconosciute che già si inizia a parlare, a scambiarsi idee, itinerari fatti e sognati, cosa che non succede mai in città o in altri luoghi. E’ anche questa la magia della montagna!

    • Fabrizio Ardizzoni
      Fabrizo il8 novembre 2013

      Grazie Antonella. Hai colto appieno lo spirito con cui ho scritto il racconto. Non è stata solo una evocazione di qualcosa accaduto tanti anni fa, ma la voglia di esternare il sentimento che mi porto dentro da sempre. Lassù siamo tutti eguali

  6. maria antonietta il30 ottobre 2013

    E’ bellissimo per una cadorina come me, che vive e lavora a Milano leggere queste pagine di splendide esperienze in montagna che non si dimenticano mai. Mi sembra di essere lì con voi e la nostalgia delle montagne diventa sempre più forte. Grazie per queste pagine, i montanari sono meravigliosi

    • Fabrizio Ardizzoni
      Fabrizo il8 novembre 2013

      Concordo Antonietta, i Montanari sono meravigliosi come le loro Montagne e se poi queste si chiamano Dolomiti (Bellunesi), ancor di più! Io purtroppo abito sotto il livello del mare.

  7. PAOLA il29 ottobre 2013

    Al Carissimo Amico Fabrizio un forte abbraccio e un grande grazie per avermi trasmesso ancora una volta leggendo i Tuoi racconti profonde emozioni montane oltre che una forte sensazione di libertà. Montium semper memor.

    • Fabrizio Ardizzoni
      Fabrizo il8 novembre 2013

      Grazie Paola, so che preferisci le località marine, ma non sai cosa Ti perdi!

  8. dario il29 ottobre 2013

    bellisima narazzione,,immagino che sia stata veramente una grande emozione dopo tanti anni.bravo Fabrizio. che il tempo ti sia ancora amico,e che ti possa permetterti di fare ancora tante esperienze uguali

    • Fabrizio Ardizzoni
      Fabrizio il8 novembre 2013

      Ciao Dario, grazie per il graditissimo augurio con la speranza di riuscire a portare anche te su queste stupende Montagne “ad multos annos”

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