Quando, parlando di incidenti in montagna, diciamo “Facciamo tesoro dei nostri errori”, significa mettere in guardia da quelli che i manuali chiamano pericoli soggettivi, cioè dipendenti da chi sta compiendo una certa azione in un dato luogo montano e dobbiamo considerare che in alcune particolari situazioni pericoli ed errori diventano termini coincidenti.
Coincidono perché è il soggetto che compiendo un errore o una distrazione fa insorgere il pericolo che può diventare anche mortale in funzione del luogo nel quale si trova.
Non c’è cosa di cui si possa dire “questo a me non può succedere”; bisogna dire, ma soprattutto pensare, “questo a me non deve mai succedere.
Non è mia intenzione avviare disquisizioni in merito, vorrei soltanto portare una testimonianza personale per proseguire nell’interessante confronto nato sulle pagine elettroniche di altitudini.it, quindi riprendo uno dei commenti là dove diceva:
[Il problema, nessuno me ne voglia, è la presupponenza: “Io sono INA, a me non capita”, “Io sono esperto, a me non capita”, ecc. ecc. Esattamente quello che poi, ahimè, uccide. – Marco Vegetti, 8 gennaio 2013].
Presunzione e distrazione
La presupponenza, spiega il vocabolario, è il “comportamento ingiustificato di una persona che si ritiene superiore”, e ha sinonimi come alterigia, tracotanza, altezzosità, sussiego.
Non credo di offendere nessuno se affermo che in alcuni “incidenti” mortali riferiti nelle cronache alpinistiche degli ultimi anni si possono individuare comportamenti di evidente sopravvalutazione di se stessi che hanno portato alle più tragiche conseguenze.
Diversa è la presunzione che vorrei distinguere in “buona” e “cattiva”: buona là dove uno “presume”, anche a ragione e in perfetta buona fede, ovvero ritiene di detenere le conoscenze sufficienti ad affrontare una certa situazione, anche di potenziale pericolo; “cattiva” là dove significa nutrire eccessiva fiducia nelle proprie capacità, o pretendere di poter fare qualcosa.
Nel suo commento Vegetti fa riferimento a una specifica figura di titolato del CAI, ma io non credo che una persona sia presupponente, o lo possa diventare, in quanto “titolato”; credo piuttosto che possa ritenere di essere diventato sufficientemente esperto per affrontare certe situazioni, ovvero presumere di essere al riparo da possibili pericoli legati all’attività in cui è esperto, in quanto “formato”, abilitato con un titolo specifico e verificato periodicamente.
Per venire alla mia esperienza personale, devo dire che, in quanto IA (Istruttore di Alpinismo) dopo vari anni di attività ed esperienza ero diventato presuntuoso a mia volta e, almeno per certe situazioni prettamente “tecniche”, ritenevo di essere al riparo da possibili rischi e pericoli, sicuro al punto (e mi tocca di ammetterlo) da diventare presupponente, forse senza nemmeno rendermene conto.
A volte capita, se si ha fortuna, di imparare più dall’esperienza diretta che dallo studio dei manuali e spero che le note, riprese dal mio diario di arrampicata, possano spiegare attraverso il racconto di un’esperienza vissuta, cosa intendo dire.
Monte Cimo, Val d’Adige – Via Spigolo del IV sole (gennaio 2003)
[La notte prima dell’arrampicata avevo sognato che stavo preparando il materiale occorrente alla scalata e qualcuno che era lì presente, osservava e mi metteva in guardia dalla pericolosità delle corde doppie.
Non conoscevo il mio interlocutore ma intuivo non fosse esperto di arrampicata per cui lo tranquillizzavo dicendogli che online casino conoscevo bene la manovra della corda doppia, anzi gliene illustrai ogni fase della preparazione ed esecuzione. Ricordo che eseguivo tutte le operazioni, passo passo, e così facendo tranquillizzavo non solo lui ma anche me stesso perché mi dicevo:
«No! Non è possibile che io possa sbagliare una corda doppia!»
Alla fine quel qualcuno aveva preso atto della mia capacità, ciò non di meno, aveva ripetuto ancora una volta, insistente:
«Ho visto che sai fare la manovra, ma stai attento ugualmente alle corde doppie, non dare niente per scontato!»
Il mattino ricordavo tutto in ogni dettaglio ma, come già avevo fatto nel sogno, mi ero ripetuto che non avrei potuto sbagliare in nessun modo la manovra di discesa in corda doppia e con tranquillità andai all’appuntamento con Francesco e Alberto.
Quel giorno mi proposero di salire la via dello “spigolo del IV sole” in Val d’Adige; la giornata era molto bella e la temperatura gradevole, nonostante fosse neanche la fine di gennaio. Oltretutto saremmo scesi per sentiero e non a corde doppie per cui allontanai il pensiero del sogno e mi abbandonai alla gradevole compagnia dei due amici, contento che mi avessero invitato con loro pur consapevoli del maggior disagio e della lentezza dell’arrampicare in tre.
Francesco fu molto bravo in testa alla cordata, mentre io e Alberto lo seguivamo al meglio delle nostre possibilità anche se non eravamo molto allenati tanto che, arrivati al quinto tiro, ci fu un conciliabolo che portò alla rinuncia e alla decisione di scendere, tutto sommato abbastanza agevolmente con solo due corde doppie lungo la via “Superjolly”, la prima da trenta e la seconda da cinquanta metri.
Era un peccato perché mancavano solo tre tiri all’uscita ed il più difficile lo avevamo fatto, ma le corde furono lanciate verso il basso e Alberto scese per primo, seguito rapidamente da me.
«Libera» gridai a Francesco non appena arrivato sul terrazzino e dopo aver tolto il discensore dalle corde.
Il sole ci scaldava e io ne sentivo la piacevole sensazione di tepore sul corpo, poi notai lo sguardo prima stupito, poi serio e preoccupato di Alberto.
«Ma che fai, perché non ti sei assicurato?»
Guardai istintivamente verso il basso e come in un film vidi il mio corpo precipitare veloce e schiantarsi sui ghiaioni basali e rimanere inerte e scomposto.
Eravamo su di un esiguo terrazzino a cinquanta metri da terra e non appena fosse arrivato Francesco, un passo per fargli posto o un piccolo urto involontario, avrebbero potuto provocare una mia caduta irreparabile. Guardai istintivamente verso il basso e come in un film vidi il mio corpo precipitare veloce e schiantarsi sui ghiaioni basali e rimanere inerte e scomposto.
Pensai allo strazio dei miei familiari, vidi il titolo dei giornali “Rocciatore precipita dalla parete. Forse una distrazione all’origine dell’incidente”, immaginai una bara, tanti fiori…”.
Sfumò il sorriso dalle mie labbra, mentre subito mi disposi per assicurarmi ai chiodi del terrazzino e, nello stesso momento, come in un rewind, vidi il mio corpo spiccicato a terra risalire verso l’alto e ritornare al terrazzino e quando sentii il clack della leva del moschettone richiudersi ebbi la sensazione che la vita fosse ritornata dentro di me: avevo vissuto la mia possibile morte, ma ero potuto ritornare da quel viaggio breve e angosciante.
Arrivò Francesco e predisponemmo le corde per la seconda doppia che ci scaricò a terra e rientrammo all’auto. Prima di lasciarci ringraziai Alberto per la sua attenzione nei miei confronti e mi chiesi come avessi potuto omettere una manovra essenziale come quella di assicurarmi ai chiodi del terrazzino.
Durante il viaggio di ritorno ebbi modo di ripensare a quel sogno premonitore rimasto inascoltato e rividi più volte la persona che ripetutamente mi aveva avvertito del pericolo:
«Ho visto che sai fare la manovra, ma stai attento ugualmente alle corde doppie, non dare niente per scontato!»
Era stato un consiglio vano perché la mia presunzione di conoscere la manovra a menadito mi aveva fatto dimenticare che nessuna abilità può prescindere dall’attenzione e dalla concentrazione su ciò che si sta facendo e io avevo commesso una distrazione che mi aveva messo in pericolo di vita.]
Quel giorno avevo commesso una distrazione
Sono sempre stato un meticoloso di natura, a volte fino alla pignoleria, eppure quel giorno avevo commesso una distrazione.
Quell’esperienza mi ha svestito della presupponenza di essere al riparo dai pericoli in quanto esperto di alcune manovre fondamentali dell’arrampicata, condizione non sufficiente se la conoscenza tecnica non è accompagnata da una serie di norme comportamentali che, come nel caso specifico, devono essere attente alla massima cura dell’autoassicurazione.
Sono sempre stato un meticoloso di natura, a volte fino alla pignoleria, eppure quel giorno avevo commesso una distrazione e bisogna essere coscienti che può succedere anche a noi.
Posso ben capire allora il rigore di Massimo Bursi, là dove commenta:
[… a noi interessa evidenziare che l’errore di distrazione possa avvenire anche alla persona più esperta, alla persona che ha fatto e rifatto la stessa manovra per migliaia e migliaia di volte. John Long ha affermato che era stanco dopo tutta la giornata di lavoro e che si è trattato solamente di un errore di distrazione dovuto al fatto che finché faceva il nodo stava parlando con un compagno. Qualcuno ha affermato che questo errore può capitare a chiunque, cosa non assolutamente vera, poiché se uno scalatore si fa il nodo concentrato e senza parlare con nessuno e terminato il nodo chiede al compagno di controllare il nodo mentre contemporaneamente lui controlla come il compagno si sta apprestando a fare sicura (double check control), le probabilità che l’errore si ripresenti sono pressoché nulle.]
Io quel giorno non avevo richiesto al mio compagno Alberto il double check control ma lui lo aveva fatto ugualmente, richiamandomi prontamente e io ho potuto rimediare alla mia grave distrazione.
Quell’esperienza mi ha insegnato che non c’è cosa di cui si possa dire “questo a me non può succedere”; bisogna dire, ma soprattutto pensare, “questo a me non deve mai succedere” e attivare tutte le procedure, le attenzioni, le conoscenze perché ciò diventi “l’abito mentale” con il quale affrontare, sempre e comunque, la nostra attività in montagna con il maggior margine di sicurezza possibile.
1 commento/i dai lettori
Partecipa alla discussioneUn (ormai vecchio) Accademico del CAI ripeteva sempre: “… e ricordeve, fjoi, che la montagna la magna carne de cojon!”
Osservazione cruda ma, ahimé, in molti casi assai vera. Con tutto il rispetto per i defunti, naturalmente.