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COSA HO FATTO OGGI? HO ARRAMPICATO. Sto rientrando contento da una giornata trascorsa nella bella falesia di Andraz nell’alto agordino e guardo fuori dal finestrino: da un lato le montagne si tingono dei colori del crepuscolo e dall’altro le ombre si allungano dalle pareti verso le valli. Mentre assecondo dolcemente i tornanti della strada, provo a seguire un pensiero…
Perché nonostante la stanchezza mi sento così bene? Come mai sono così soddisfatto dopo una giornata spesa a fare su e giù, appeso a una paretina di roccia attraverso tiri decisamente abbordabili?
Esistono diversi modi di intendere e praticare l’arrampicata: l’arrampicata classica in montagna, l’arrampicata sportiva in falesia, il boulder, ecc. E cosa hanno in comune queste diverse discipline: l’ambiente, l’attrezzatura, la tecnica, la compagnia? A volte sì, ma più spesso è il gesto e forse è proprio il movimento che ci procura quella sensazione di piacere e gioia che ci fa dire: “Perché arrampico? Perché è bello!”

L’IMPORTANZA DEL MOVIMENTO IN SÉ E PER SÉ. Spesso l’arrampicata viene identificata con l’imponenza della cima raggiunta, il grado della via percorsa, il gesto atletico al limite e per questo motivo vengono creati allenamenti sempre più specifici ed efficaci che consentono di spingere il proprio livello sempre un po’ più in là; d’altronde la forza di braccia e dita è necessaria per affrontare certe difficoltà. Ma in tutta questa preparazione si rischia di non dare la giusta importanza al movimento in sé e per sé: allenarsi significa anche rendere relativamente più facili e godibili i movimenti che facciamo mentre arrampichiamo, acquisire nuovi schemi motori che permettano di leggere e risolvere con maggiore velocità e continuità un determinato passaggio.
Più diventiamo bravi, più sappiamo sfruttare il nostro corpo e la nostra forza per interpretare al meglio il movimento che la parete e le prese ci suggeriscono.
Più diventiamo bravi, più il movimento che si viene a creare sembra essere un piacevole fluire di sensazioni che non vorremo mai interrompere.
Il movimento oltre allo “stringi e spingi” può diventare elegante quasi come una danza, mentre giochiamo con l’equilibrio e ci bilanciamo tra una posizione e l’altra: l’incrocio, l’accoppio, la spallata, il tallonaggio, il ribaltamento sono tanti termini con cui possiamo chiamare i passi di questa danza.
Certo, talvolta bisogna trascendere un po’ lo sforzo e la fatica, ma anche il passaggio di forza può essere a suo modo piacevole e diventare addirittura più facile se sappiamo sentire e sfruttare il movimento corretto. Sicuramente molti già lo fanno, ma forse non tutti ne sono pienamente consapevoli e traggono gioia dal solo movimento, al di là della prestazione fatta: già mentre seguiamo i movimenti uno dopo l’altro ci possiamo sentire felici come se tutti i pezzi di un puzzle andassero al loro posto, ancora prima di aver chiuso il tiro o essere volati.

LA MANO, UN MICROCOSMO DI SENSAZIONI. Ma non solo il movimento del corpo tutto ci può dare piacere, anche la mano ha in se un microcosmo di sensazioni che va oltre al dire questa presa è bella e quest’altra meno: dapprima vediamo l’appiglio e la mano si predispone alla presa che riteniamo più conveniente; poi entra in contatto e si modella sulla roccia in un turbinio di stimoli.
La mano ne verifica la forma (se è una tasca, una manetta, una tacca o una svasa), ne apprezza la superficie (se è liscia, porosa, tagliente), ne sente la temperatura (se è calda, fredda, umida) e noi sfruttiamo al meglio tutte queste caratteristiche per riuscire a sostare quell’attimo necessario a proseguire la nostra salita attraverso il movimento successivo. Molti sono i modi che ha una mano di stare sulla roccia: c’è chi l’accarezza quasi fosse una dolce amante, chi la stritola come se ne dipendesse la sua vita; in ogni caso la presa trasmetterà una sensazione o un sentimento a chi saprà farci attenzione.

QUESTO È PIACERE DEL MOVIMENTO. Non so se vi è mai capitato: trovarvi alla base della parete in ombra con l’aria umida, cominciare a salire sui primi metri facili, mentre le mani accarezzano una roccia fredda ancora addormentata; in breve aumenta la verticalità e le mani devono afferrare più saldamente l’appiglio, il corpo ruota attorno a quell’appiglio e il piede va a cercare quell’appoggio che avevamo visto poco prima; la gamba ci spinge verso l’alto e l’altro braccio si allunga in fuori a cercare una buona presa verso quello spigolo promettente; la roccia un po’ tagliente comincia a essere calda e ci trasmette una sensazione di fiducia, azzardiamo un incrocio con la gamba, alziamo il piede portandoci sopra poco a poco tutto il peso e mentre giriamo su noi stessi un’aria tiepida ci accarezza; l’altra gamba ondeggia libera nel vuoto e va a cercare un punto di equilibrio; ora riusciamo a vedere oltre la mano e oltre lo spigolo le punte degli alberi e il profilo delle montagne che la parete ci nascondeva; sostiamo un momento sorpresi, poi continuiamo verso l’alto… questa è armonia, questo è piacere del movimento.

Ormai sono arrivato a destinazione: il cielo è ancora chiaro, ma la valle è completamente in ombra e gli ultimi raggi di sole abbandonano la punta delle cime. Scendo dall’auto forse un po’ più consapevole di quanto ricco e bello sia quel semplice gesto chiamato arrampicata.

Andrea Perini autore del post

Andrea Perini | Sono nato a Venezia il 02/02/1984, lavoro come fisioterapista a Mestre, semplicemente appassionato di montagna. Da piccolo ho frequentato la montagna trascorrendo i mesi di vacanza estivi coi nonni nella casa di Col di Rocca Pietore (BL), percorrendo facili passeggiate ai rifugi della zona coi genitori e poi sperimentando l’escursionismo solitario che poco a poco mi ha portato a percorrere tutte e otto le Alte Vie delle Dolomiti. Da qui ho cominciato una esplorazione sistematica soprattutto della zona dolomitica, spingendomi poi anche in altre regioni per affrontare alcuni trekking di più giorni; la quantità di progetti sulla scrivania è ancora numerosa. Appassionato di foto, pratico discretamente l’arrampicata sportiva e frequento la montagna in ogni stagione d’estate con gli scarponi e d’inverno con gli sci.

10 commento/i dai lettori

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  1. Luigino il15 novembre 2015

    Ciao Andrea , mi piace il tuo punto di vista, mi fa’ immaginare la mano che legge la roccia come fosse una pagina scritta in Braille. Poi il resto del corpo la segue come in una danza. Poi sai … ci sono ballerini e ballerini …
    Luigino

    • Andrea Perini
      Andrea Perini Autore il15 novembre 2015

      Ehh già ;-) Conoscere i passi sarebbe già una gran cosa, ma sentire e seguire la musica … quella è un’altra storia (parlo per esperienza personale) :-D

  2. Serena il15 novembre 2015

    Credo che in ogni nostro gesto e movimento in parete ci sia parte di noi, del nostro stato d’animo e di come affrontiamo la vita. Spesso mi accorgo di salire senza far caso agli appigli, quasi in apnea verso la catena, non ricordando una volta scesa quali fossero i movimenti appena compiuti, e subito pronta a slegarmi per passare alla prossima via. Quando succede questo, mi sento di aver stuprato la bellezza che ogni giorno si presenta ai nostri occhi in maniera così semplice e gratuita; è questo forse, il risultato della vita frenetica che facciamo, che non lascia spazio alla riflessione, e che punta tutto all’arrivare…ma arrivare dove?
    Altre volte fortunatamente sembra di salire una via che ti appartiene, in ogni movimento, e in ogni respiro, e diventa come dici te una danza, un prolungamento dei nostri arti, e quando scendi è come leggere l’ultima pagina di un meraviglioso libro che vorresti non finisse.
    Conoscendoti Andrea, so che questa bellezza tu la sai cogliere, e sai far di meglio, la sai anche condividere attraverso questi articoli, che uno dopo l’altro ci regalano le immagini di come la montagna dovrebbe esser vista da ognuno.
    Grazie come sempre.

    • Andrea Perini
      Andrea Perini Autore il15 novembre 2015

      Grazie per il tuo arguto e bel commento che condivide la tua esperienza e aggiunge ulteriori spunti di riflessione … speriamo di avere ancora tanti “libri” da leggere con calma e da terminare con senso di compiutezza e soddisfazione.

  3. Enrico il14 novembre 2015

    Ciao Andrea, grande appassionato di montagna e grande amico!
    Ho letto con piacere questa tua ultima “fatica” letteraria, che riflette -colorandola di sensazioni soggettive- una fatica fisica che si percepisce ti appassiona molto, spingendoti a migliorare sempre di più la tecnica e godere dell’appagamento che deriva dal padroneggiare quest’ultima.
    I nostri due approcci di vivere la montagna sono indubbiamente diversi (io non mi sono mai “spinto” così in là nel viverla, prediligo le escursioni tranquille e non sono così attento come te nella ricerca del mio limite personale), ma da ciò che scrivi traspare l’entusiasmo e la passione nel migliorarsi sempre traendo gioia dal percorso, caratteristica questa che condivido con te e che ammiro moltissimo, nella montagna come in generale nella vita.
    Ci vediamo presto!

    • Andrea Perini
      Andrea Perini Autore il15 novembre 2015

      Hai ragione, bisogna sapere valorizzare il viaggio oltre che la meta, anche se non è cosa sempre facile. La fatica in montagna è una presenza costante sia nella passeggiata tranquilla che nella ricerca del limite; allenamento e tecnica possono servire per controllare questa percezione e poter concentrarsi sul sentire altre cose. Beh, in quanto a me, se paragonato a chi fa sul serio, sono più un bimbo che sale un piccolo masso in un prato, ma che trae gioia da quella piccola avventura :-) Grazie Henry

  4. Maddalena il13 novembre 2015

    “Quando uomini e montagne si incontrano, grandi cose accadono.”
    Lo diceva William Blake e tu ne sei la prova vivente: danzi su una parete rocciosa e poi trasformi tutto in poesia suscitando in chi ti legge il desiderio di poter provare le sensazioni che descrivi!

    • Andrea Perini
      Andrea Perini Autore il13 novembre 2015

      Davvero troppa grazia :-) Sensazioni ed emozioni che comunque puoi provare anche tu, nulla ti è precluso! Grazie.

  5. Riccardo il12 novembre 2015

    Eh, caro Andrea, per commentare questo articolo bisognerebbe essere di quelli che hanno l’importante dote -temo non sempre così diffusa- di saper ascoltare sé stessi. La mano che si modella e prova un turbinio di sensazioni, il fluire del movimento un passaggio dopo l’altro, la danza sulla parete … sono tutte percezioni che non mi appartengono.
    Io da me stesso ascolto solo le imprescindibili urgenze, poi lascio me stesso a sé stesso e che si arrangi, come e se può: della mano sento solo quando le dita si aprono e mi fanno cadere (fin qui mi è sempre andata bene perché o c’era il materasso, o c’era il topass, o, in montagna, c’era il caro Antenore che tirava da primo), del danzare del corpo (a proposito: non sono proprio capace di danzare) sento solo quando non sono capace di fare il passaggio o il tiro e se tutto diventa troppo difficile ecco che me stesso prende a recalcitrare e indice la situazione che tu hai ben descritto qualche settimana fa in palestra, definendola “sciopero e va in m..a” (temo che il termine esteso il moderatore non me lo passi). Così è capitato quando il caro Mauro mi ha messo a fare certe cose che per me erano impossibili … o che io avevo definito ex ante matematicamente impossibili, quindi sono risultate tali anche ex post … per forza, com’è ovvio.
    Che ne esce da questo guazzabuglio di pensieri? Che fai bene tu ad avere riguardo per te stesso. Ma anche questa non è una cosa che viene tanto facilmente … occorre essere ben disposti e avere anche un po’ di allenamento … come per fare bene i passaggi più difficili. Un abbraccio.

    • Andrea Perini
      Andrea Perini Autore il12 novembre 2015

      Caro Riccardo, per me il tuo commento è molto più bello di quanto pensi. Forse già le situazioni che descrivi (la mano che si apre, il passaggio che non viene) possono essere un punto di partenza per sviluppare una maggiore coscienza del proprio movimento; così come ci alleniamo per aumentare forza e tenuta, ci possiamo allenare per migliorare la nostra sensibilità e, perché no, godere ancora di più di quel che riusciamo a fare. E vero che “siamo mica qui per divertirci” ma non c’è niente di male ogni tanto a giocare l’arrampicata lasciando fluire qualcosa di diverso. E se poi qualche volta le cose non vengono e parte un “va in m..a” cosa c’è di più liberatorio e salutare? Un abbracio.

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