Con l’arrivo dell’estate, e questa sembra volerci picchiare veramente, da più parte si danno consigli su libri da leggere assolutamente e, di nuovo assolutamente, avere nella valigia quando si partirà per le vacanze. Noi vogliamo presentarvi cinque libri (in due puntate) di montagna[i] con nessun obbligo alla lettura. Speriamo però sollevare un poco di curiosità a chi, come noi, muove almeno due terzi della propria vita in funzione di questa molla antica.
Attenzione! Non è una classifica, il primo che presentiamo non è il primo di qualchesia classifica. È solo il primo che togliamo dallo scaffale.

1 – PAURA IN MONTAGNA

Charles Ferdinand Ramuz, scrittore in lingua romanda, vincitore nel 1937 del Premio Schiller, fu uno dei più  importanti scrittori svizzeri riconosciuto in tutta Europa come colui che, per primo, ha saputo allontanarsi da Rousseau e dai romantici (forse per questo che ci piace ancora oggi), da quelli che “vantando familiarità con la montagna vengono da lontano, la vedono da fuori”. Fatto scoprire da Giuseppe Zoppi che, forse, si pentì in quanto Ramuz è uno scrittore in qualche modo completamente disteso sull’altro lato della montagna descritta dal ticinese. Ramuz scrive con un ritmo e una drammaticità che dà allergia a chi non è ben disposto usando una lingua volutamente grezza, paesana, lontana dal francese accademico, usata per sottolineare come la montagna sia il teatro dove si possa rappresentare le sorti dell’intera umanità.
PAURA IN MONTAGNA pubblicato in Italia nella prima metà degli anni ’30 è certamente un buon inizio e il libro giusto per decidere se, come molti, non si vuole accettare le crudezze che navigano nei romanzi di Ramuz o, come altrettanti, si danno a queste il valore forte che accomuna scrittore, personaggi e lettore.
In questo libro, il primo che venne tradotto in Italia[ii], Ramuz narra di una montagna magica, non quella di Settembrini e Castorp, una montagna veramente paurosa dove nemmeno l’amore di Giuseppe, il protagonista, per la sua fidanzata potrà fermare l’apocalisse in arrivo. Con quasi un secolo di anticipo il baffone svizzero aveva già capito tutto: basta un Sindaco con la memoria corta e con qualche parente di troppo, una modernità che non sa che farne della saggezza dei vecchi e la disgrazia arriva puntuale ma non casuale. Ramuz è stato recentemente ripubblicato[iii] quindi non parliamo certo di un autore dimenticato ma trovare PAURA IN MONTAGNA nelle librerie è già una bella avventura.

Dicono: «E Giuseppe?»
– Non lo si è mai visto più.
Dicono: «E il Chiodo?»
– Non si è più sentito parlare di lui.
– E il padrone dell’alpe?
– Morto
– E suo nipote?
– Morto
– Bartolemeo?
– Morto
– E quello del mulo?
– Morto
– Ed Ernestino?
– Morto
– E il Sindaco?
– Morto
– E Compondu?
– Morto[iv]

Sono in una biblioteca, il caldo e i rumori sono fuori. Nello scaffale dedicato alla montagne, sulle copertine dei libri, ci sono grandi faccione barbute e i titoli si ricorrono assomigliando ad una parate di sfide ed assalti all’ultimo respiro (quantunque sottile). Anche in questo libro si parla di sfida alla montagna, di salite che forse non avranno discesa e, sorpresa, di oceano, barattoli di marmellata e di una adolescentre speciale che si muove con le stampelle.

2 – IL ROSSO VIVO DEL RABARBARO

IL ROSSO VIVO DEL RABARBARO è dell’autrice islandese Audur Ava Olafsdóttir, pubblicato quest’anno (ma scritto quasi vent’anni prima) dopo una buona serie di romanzi con protagoniste singolari, rappresenta bene lo stile tra il magico e il bizzarro di questa penna. Un romanzo al femminile ma non rosa. Le donne del libro sono ben trattate e la protagonista Agùstìna ci viene incontro con la stessa vitalità di una moderna Pippi Calzelunghe. Un recit-de-lascension leggero, intenso, dove, se stai attento, senti anche il profumo dell’oceano.
IL ROSSO VIVO DEL RABARBARO è la storia di una scalata, di una salita dove “tirare fuori la cartina dalla tasca, aprirla sulle ginocchia, lisciarla per bene e cercare qualche punto di riferimento. Sulla carta tutto è bello piatto e disteso davanti ai propri piedi. La Montagna stessa è così piana e liscia che la si può accarezzare passandoci un dito sopra” ma è anche il racconto, steso tra tra l’oceano che batte sulla spiaggia nera e la Montagna di ottocentoequarantaquattro metri, di una strana famiglia arroccata in una casa torre viola. Agùstìna senza la mamma, Agùstìna che sta nella stanza più alta della torre, Agùstìna che spezza il filo da cucire con i denti, Agùstìna che si trascina sui gomiti.
Leggendo questo libro e volendo bene ad Agùstìna quando si nasconde nei campi di rabarbaro dal colore rosso intenso e brillante, non si può fare a meno di pensare ad un altro rosso, quello dei capelli di Álfheiour, la misteriosa giovane dal doloroso passato che vive nella splendida trilogia di Jón Kalman Stefánsson, anche lui islandese. Sia la piccola dalle gambe di vetro che  la ragazza dai capelli rossi ci ricordano che solo ascoltando il cuore l’uomo può affrancarsi dalla quotidianità e vincere la morte[v]. E non è poco su una montagna di soli ottocento metri.

Immaginate di scoprire, così, per caso, una mattina guardando un dipinto, un particolare di una fotografia o la vostra schiuma da barba che, lì in mezzo, c’è una strada e, a questo punto, come Roy negli Incontri Ravvicinati, prendete alpenstock e bagagli e partite per un viaggio avventuroso. Il libro di Matteo Melchiorre parla di una ossessione, vi accompagna in luoghi ai più sconosciuti, sconosciuti persino a chi vive tra quei luoghi, vi fa scoprire la bellezza della ricerca storica e, soprattutto, non vi abbandona mai costruendo per voi e per noi un racconto a metà tra il filò antico e i gialli francesi.

3 – LA VIA DI SCHENÉR

LA VIA DI SCHENÉR[vi] lo diciamo subito è intrigante, labirintico, empatico e il fatto che, in fondo, sia un libro di storia lo rende ancora più sorprendente. Che Matteo Melchiorre sia uno studioso fenomenale, uno che si legge tomi da settecento pagine seduto sul water, è fuori da ogni dubbio e che sia capace di raccontare tutto questo portandoci per mano come nel Paese dei Balocchi con un Lucignolo al contrario è ancora più vero. LA VIA DI SCHENÉR è l’antica strada che congiungeva[vii] Feltre con Primiero, il sud con il nord, il mare con la montagna ma, già come il grande olmo/alberon[viii] a cui Matteo dedicò un requiem storico, con la ricerca costruita diventa un fotografia di quanto, con lo scorrere dei secoli, l’uomo faccia male sempre e solamente all’uomo piuttosto che costruendo un ordine, asservendo il caos.
“Spingere legname giù per il Cismon o caricarlo su un tir. Gettare le fonde della diga. Spianare una strada per andarci in carrozza. Erigere la fortezza in Schenér, poi incendiarla e quindi ricostruirla. Tracciare sentieri. Portare ferro sugli asini. Scolpire edicole nella roccia e mettervi dentro una madonna”.
Comunque il libro è tutto qua: volete percorrere un sentiero e, prima di farlo, indagate un poco sulla sua storia. Quel poco vi porterà ad un lavoro di ricerca storica, tra documenti incartapecoriti, impiegati comunali usciti dalle penne di Gogol, eretici poco convinti perseguitati da vescovi nepotisti, ragazze dagli occhi verdi, grigi, o forse azzurri, il doge e l’imperatore. Vi costringerà ad affrontare le vostre paure e solitudini, dovrete guardare negli occhi la smàra e impietosirvi delle fragilità dei corpi palestrati. E, solo alla fine, dopo aver fatto un viaggio bellissimo nella storia, solo a pagina 200 potrete mettervi gli scarponi e affrontare gli strapiombi. Gli strapiombi e Nanùs, il vero ricercatore storico del libro (e non ce ne voglia il Vallaresso) perchè andare per archivi funziona come la vita: a volte si trova quel che cerchi, a volte non lo si trova e, a volte, trovi qualcosa che non avresti mai cercato.

prima parte… to be continued… va avanti ancora


[i] Ok, lo abbiamo già detto che sono difficili da definire i libri “di montagna”, ma qua ne trovate cinque. In questo caso sembra possibile.

[ii] tra i traduttori, dopo Zoppi, di Ramuz c’è anche un giovane Massimo Mila.

[iii] http://ideafelix.com/la-montagna-ci-cade-addosso

[iv] il finale di Paura in Montagna ricorda la dedica di un altro autore svizzero, contemporaneo a noi, che scrive “Questo libro è dedicato a coloro che hanno venduto le nostre valli e a coloro che oggi le vendono. Che siano maledetti”.

[v] Hai deciso se vuoi vivere o morire? gli chiede la donna, o meglio la ragazza. Ha i capelli rossi, i morti hanno i capelli rossi. Non lo so, risponde, non sono sicuro di sapere la differenza, e non sono nemmeno sicuro che ci sia, una differenza. Ti darò un bacio, dice lei, così potrai saperlo, sei sicuramente morto se non sei in grado di sentire un bacio.

[vi] Il libro “LA VIA DI SCHENÈR” si è aggiudicato il Premio Rigoni Stern per la Letteratura multilingue delle Alpi 2017 : “La via di Schenér di Matteo Melchiorre presenta una grande originalità di scrittura che trasforma il dato storico documentario in una narrazione appassionata pur nel rigoroso rispetto della fattualità. Un passo montano ai più sconosciuto e i suoi abitanti riacquistano vita emergendo dalle carte polverose degli archivi”

[vii] LA VIA DI SCHENÉR “dopo secoli di onorato servizio a beneficio dell’uomo, a seguito di una lunga agonia, incapace ormai di adattarsi ai tempi nuovi, si è spenta nella sobria intimità delle sue montagneil giorno 8 settembre 1882”.

[viii] http://www.ibs.it/requiem-per-albero-resoconto-dal-libro-matteo-melchiorre/e/9788887583762

Davide Torri autore del post

Davide Torri | Insegnante di educazione fisica ha trasformato la sua passione per la montagna e per la gente che sopra vi vive in qualcosa di più concreto, Con l'Associazione Gente di Montagna, di cui è il generoso motore da molti anni, ha prodotto ricerche, organizzato convegni, realizzato documentari, progettato spettacoli teatrali, pubblicato libri, ideato filmfestival collaborando con Enti Locali, Agenzie Educative, Università e molte altre Associazioni seguendo il motto di Alex Langer, il principale ispiratore nelle azioni dell'Associazione e di Davide Torri stesso, "costruire ponti". In questo caso tra una valle alpina e l'altra. In Italia e all'estero.

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