Pastori e guide alpine resistono in un mondo che cambia e per rimanere se stessi impone di cambiare punto di vista e il coraggio di seguire le proprie passioni.

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Al Cason de Foses, l’alpe che si distende ai piedi della Croda Rossa nelle Dolomiti d’Ampezzo, da secoli salgono le pecore al pascolo. Nel 1891 a tenerle d’occhio c’è un giovane pastore di nome Angelo. In un momento di libertà decide di raggiungere la caverna, chiamata el buš de ‘l oro, che si vede sotto la cima del Caštel de Foses. Secondo i vecchi pastori la caverna custodisce un tesoro e Angelo vuole scoprire di cosa si tratta. Lascia i placidi prati, sale le rocce verticali, raggiunge la caverna ma non trova nulla. Si appresta quindi a scendere ma le difficoltà lo obbligano a desistere e ad attraversare verso una provvidenziale cengia che lo conduce al sicuro. Angelo Dibona “Pilato” ha solo dodici anni ed ha appena realizzato la sua prima ascensione. In seguito diverrà il simbolo delle guide alpine ampezzane e uno fra i maggiori alpinisti del XX secolo.

Verso la seconda metà dell’800, quando nelle Alpi iniziò la grande stagione dell’alpinismo, i pastori che frequentavano gli alti pascoli, furono i primi – insieme a cacciatori, contrabbandieri e cercatori di minerali – a trasformarsi in apprezzate guide alpine.
Tra guide alpine e pastori ci furono per molto tempo diverse affinità e punti di contatto, oggi invece ci appaiono come due professioni profondamente diverse. Ma non è proprio così.
Oggi, come cento anni fa, guide alpine e pastori hanno la responsabilità di riconoscere la strada giusta; un lavoro da svolgere con la massima attenzione, perché nulla possa accadere alle persone che accompagnano o agli animali che custodiscono. Per entrambi la professione che svolgono richiede, prima di ogni cosa, un’autentica passione. Un tempo era sicuramente un lavoro coltivato nel solco della tradizione, mentre oggi è sempre più una scelta di vita e talvolta senza distinzione di sesso. Una scelta che ha nei grandi spazi della natura la sua bellezza; nell’amore per le piccole cose la sua forza; nei silenzi, negli odori, nei colori e nelle luci del trascorrere delle stagioni la sua poesia.
Quando un pastore smette di condurre il suo gregge in montagna, un po’ alla volta questa si rinselvatichisce, le fioriture spariscono e si perde un patrimonio di grande biodiversità. Allo stesso modo la presenza delle guide alpine, consente di avere un occhio esperto sempre puntato sulla montagna, inoltre le guida alpina trasmette conoscenze tecniche, modalità di comportamento e sensibilità per l’ambiente: requisiti primari per una fruizione consapevole della montagna.

Andrea Enzio (sopra) e Mario Mottini

Andrea Enzio (sopra) e Mario Mottini

Il primo dovere per una guida alpina è garantire la sicurezza al proprio cliente.

Andrea Enzio e Mario Mottini sono due guide alpine italiane. Enzio abita ad Alagna Vlasesia, alle pendici del Monte Rosa, al confine con la Svizzera; Mottini invece risiede a Livigno in Alta Valtellina, a due passi dal gruppo del Bernina e del Ortles-Cevedale.
«Sono diventato guida alpina per passione» racconta Mottini, «mio zio è stato la prima guida di Livigno e mi ha trasmesso la passione».
Anche per Enzio in origine c’è una scelta «motivata da una lunga tradizione di guide all’interno della mia famiglia». Per Mottini fare la guida alpina non è un lavoro facile: «Dobbiamo adeguarci al continuo cambiamento delle richieste degli utenti, da scendere con gli sci su nevi immacolate a sapere come si chiama quel fiore». «Il primo dovere per una guida alpina» afferma Enzio, «è garantire la sicurezza al proprio cliente. Il cambio repentino delle condizioni climatiche richiede oggi un’attenzione maggiore. I momenti difficili? Sono legati al mio ruolo di soccorritore. Ti trovi ad affrontare delle situazioni emotivamente forti che spesso ti porti dentro per sempre». Come abbiamo visto fare la guida alpina è anche tradizione di famiglia: «Se le mie figlie avessero fatto la mia stessa professione sarei stato felice, ma hanno scelto diversamente» dice Mottini, «però ho un nipote che è appena diventato guida». «Le persone penso debbano fare ciò che più li rende felici» è l’opinione di Enzio, «e se i miei figli fossero spinti dalla mia stessa passione e non da uno spirito di emulazione, ne sarei felice». La montagna è anche luogo di grandi avventure, esperienze e incontri. Per Enzio la montagna è «una sciata in neve fresca con mio padre, un volo in parapendio con mio fratello, ma anche albe e tramonti da osservare in silenzio dalla Capanna Margherita». Meno romantico ma altrettanto efficace è il parere di Mottini: «Per me la montagna è come un televisore sempre acceso su un programma nuovo».
Lo sguardo corre verso le cime dei monti, vediamo gli alpeggi e ci chiediamo chi sarà a gestirli fra cinquanta anni? «Auspico che il futuro degli alpeggi sia segnato da un ritorno alle origini e, seppur aiutati dalla tecnologia, prevalga la stessa passione dei nostri avi». La speranza di Enzio ha nelle parole di Mottini una conferma: «A Livigno tra cinquanta anni saranno i giovani, come adesso, a gestire gli alpeggi. Attraverso il sistema latteria di Livigno si sono sviluppate delle opportunità. L’età media degli allevatori credo sia sotto i trenta anni, con uno stuolo di bambini negli alpeggi e molti ragazzi che studiano agraria con la volontà di aprire un’azienda agricola. Qui il Comune ha saputo integrare pastorizia e allevamento con il turismo, la latteria è divenuta una meta turistica, il tutto a vantaggio del territorio. Da noi i contadini li chiamiamo i “giardinieri delle Alpi”».

Renzo Ganz (sopra) e Celestino Froner

Renzo Ganz (sopra) e Celestino Froner

Il primo dovere per un pastore è il suo gregge.

È arrivata l’estate e sugli alpeggi sono ritornate le pecore. I pastori possono finalmente riposare. Renzo Ganz detto Trifase e Celestino Froner sono due pastori transumanti delle Alpi orientali italiane. Ganz vive a Falcade nelle Dolomiti Venete e Froner a Roveda, un piccolo villaggio di dodici abitanti, in Val dei Mocheni nel gruppo dei Lagorai.
«Faccio il pastore da venticinque anni» racconta Ganz, «fin da giovane aiutavo i miei genitori nelle malghe del passo Valles e San Pellegrino (nelle Dolomiti Agordine al confine fra la provincia di Trento e Belluno, nda)».
Froner fa il pastore da ventisette anni, anche lui è figlio di pastori: «Il primo dovere per un pastore è il suo gregge. E’ il gregge che dice al pastore cosa deve fare, e il pastore deve fare tutto il possibile per il benessere degli animali» e prosegue: «I momenti più difficili li vivo nel periodo della transumanza invernale, giù nelle pianure venete e friulane: spostamenti del gregge sempre più difficili causa il traffico e la cementificazione delle campagne, la scarsità d’erba specie in febbraio, i rapporti con i contadini non sempre facili».
Anche per Ganz fare il pastore non è un mestiere facile, soprattutto: «all’inizio dell’inverno con il freddo, spesso con la pioggia, la neve o la nebbia, le giornate corte e poi i divieti di transito e di pascolo».
Nel corso degli anni il gregge di Froner ha pascolato, nel periodo estivo-autunnale, sulle montagne della catena del Lagorai e in quelle orientali del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. «Rispetto a venti-trenta anni fa, la montagna oggi è più pascolata» racconta Froner, «è aumentato il numero delle greggi e ci sono più capi rispetto a ieri. In alcuni casi addirittura i pascoli sono sovraccaricati».
Ganz la monticazione del gregge l’effettua in Pian de Fontana e a Busnich nel Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi: «La montagna sta cambiando sempre di più. Da un lato è cambiata in meglio: penso al miglioramento tecnologico, alla sicurezza. Da qualche anno noleggio un elicottero per il trasporto del materiale in malga, prima tutto questo era impensabile».
La pastorizia sta vivendo un momento di rinnovato interesse ma molti sono i problemi che affliggono il settore. «Il futuro della pastorizia transumante lo vedo in positivo solo per quanto riguarda la permanenza delle greggi in montagna durante il periodo estivo-autunnale» è l’opinione di Froner e poi aggiunge: «Tanti vorrebbero le pecore in montagna ma non in pianura. Se sarà ancora più osteggiata da leggi e regolamenti ristrettivi, penso che sopravvivrà solo la pastorizia stanziale». Il futuro della pastorizia anche Ganz lo vede molto incerto: «a causa delle troppe limitazioni al nostro mestiere, alla sempre maggiore burocrazia, specie per richiedere i permessi di transito, che ci obbliga ad assenze prolungate dal nostro gregge» e poi aggiunge: «Ora le pecore portano il microchip, la tecnologia avanza anche nel mondo dei pastori. In futuro al posto della bagolina (il bastone del pastore, nda), penso che il pastore si “appoggerà” al computer portatile».
La montagna conserva ricordi, valori e sogni che aiutano a vivere. «Nella montagna vedo il periodo più bello del pastore» racconta Ganz, «il luogo della tranquillità dove non ci sono vincoli e divieti come in pianura. Sono i momenti per le “coccole” ai cani che durante tutto l’inverno e la primavera sono stati sempre al lavoro. E’ il periodo del ritorno a un mondo antico. Penso alla casèra, alla malga, al larìn». Anche il sogno di Froner è: «ritornare alla semplicità e alla libertà di un tempo, senza i troppi vincoli».

· Andrea Enzio, Guide Alpine Alagna, www.guidealagna.com
· Mario Mottini, Guide Alpine Livigno, www.guidealpine.info
· Renzo Ganz (Trifase), Falcade (Belluno)
· Celestino Froner, Roveda, Val dei Mocheni (Trento)
· Con la collaborazione di Adolfo Malacarne, autore del volume “Transumanze. Sulle tracce degli ultimi pastori del Triveneto”, Agorà Libreria Editrice, 2009

GOOD FOR ALPS
copertina gfa2014_01“Pastori e guide alpine. Due mondi a confronto” è una storia di Good For Alps, magazine di AKU trekking & outdoor footware.
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Teddy Soppelsa autore del post

Teddy Soppelsa | Autore di pubblicazioni su montagna, alpinismo e ambiente, componente cdr de Le Dolomiti Bellunesi, socio GISM, fondatore del blog-magazine altitudini.it.

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