di Adriano Bee ≈

Ho letto recentemente l’ultimo libro dell’alpinista Franco Miotto Pareti del cielo e mi ha molto colpito. Non mi è sembrata la  biografia di una persona vissuta e saggia che, conoscendo le virtù e le debolezze degli uomini, riesamina i fatti cercando di capirli e capire i  protagonisti, bensì una disanima astiosa ed aggressiva.

Non ha dubbio alcuno Miotto , impegnato com’è ad enfatizzare il proprio valore e contemporaneamente a sminuire quello di quasi tutti gli altri alpinisti che cita.

Sono il fratello di Riccardo Bee e , nonostante abitassimo nella stessa casa , avevamo interessi diversi che ognuno seguiva senza sentire il bisogno di condividerli con l’altro. Gianni invece, l’altro nostro fratello , ha sempre seguito l’attività di Riccardo conoscendone a fondo il modo di pensare e di agire ed anche i fatti che si sono succeduti negli anni in cui arrampicava , conclusisi  nel 1982 con la sua tragica morte sull’Agner.

Per onestà devo dire che di Miotto mi piacciono le  capacità sportive, l’ amore per la natura, la grinta, la  tenacia, il coraggio di esporsi dicendo sempre quello che pensa .

Anch’io ritengo di avere quest’ultima qualità , però mi guardo bene dall’utilizzarla troppo perchè sono conscio che non ho sempre la verità in tasca.

Tornando al libro, mi pare che emerga spesso la presunzione dell’autore di non avere mai sbagliato, di non avere debolezze, di essere cioè “un eroe senza macchia e senza paura”: forse per questo si sente in diritto di sentenziare ,  di fare il moralista..

Anche a Riccardo  fa la morale e afferma: “ l’alpinismo solitario è una forma arrogante di presuntuosa ambizione … denota immaturità e complessi “ , e ancora:  “mi riesce difficile credere che l’avventura solitaria sia intrapresa per il piacere della solitudine e la riservatezza quando ogni cosa finisce per essere pubblicata  su giornali ..”

Riccardo ha cominciato ad arrampicare in solitaria semplicemente perché gli piaceva, era una persona curiosa, sempre in cerca di nuove emozioni. Aveva giocato a rugby e fatto motocross, faceva immersioni, nuoto, sci di fondo, scialpinismo, canoa, deltaplano, ciclismo, corsa in montagna e forse mi sfugge ancora qualcos’altro .

E’ anche vero che per l’uomo  la ricerca del successo è sempre stata una delle spinte principali che lo ha mosso a migliorarsi e ad aprirsi a nuovi orizzonti.

Riccardo probabilmente era così , come lo è Miotto che  giustamente si inorgoglisce data la risonanza mediatica suscitata dalle sue imprese e da ciò che da tempo viene scrivendo.

Suppongo che anche Riccardo fosse contento nel pubblicare le relazioni delle sue salite  , tuttavia voglio riportare un fatto che credo aiuti a capire la sua personalità.

Un appassionato di montagna  trevigiano , Fausto Durante, ingegnere ed insegnante come Riccardo, nonostante lo conoscesse solo indirettamente, pochi anni fa organizzò all’ l’ITI “Segato” una serata per ricordarlo. Avendo bisogno di “ materiale “ sulle sue salite lo chiese a parenti e amici . Dopo giorni di ricerche si meravigliò moltissimo perché tutto quello che Riccardo aveva lasciato si riassumeva in qualche rara relazione , poche foto con l’itinerario della via segnato a penna ed in alcuni casi non c’era traccia alcuna nonostante fosse noto che una determinata  via l’aveva aperta .

Ritengo inoltre che queste considerazioni  sull’arrampicata in solitaria , fatte  da un accademico del CAI , siano  inaccettabili e gravissime perché offendono tantissimi rocciatori “ solitari “ che hanno contribuito a fare  la storia dell’alpinismo .

Miotto lascia intendere di aver scritto il diario della sua vita non per vanagloria , ma seguendo il consiglio del suo amico Piero Rossi, per lasciare una testimonianza  di sè a figlie e nipoti .

Anche le persone che nel suo libro ha sminuito, e in qualche caso ridicolizzato, senza che possano replicare, hanno … figli e nipoti .

L’etica del montanaro , almeno quella che ho imparato dai vari  crodaioli bellunesi durante la mia breve esperienza in roccia nei primi anni 70 , era ben altro. Non so cosa sia successo in questi ultimi 40 anni nel mondo dell’arrampicata (me ne sono allontanato praticamente dopo aver fatto fare a Riccardo la sua prima esperienza nella palestra di Val Gallina) ma almeno allora , nell’ambiente che ho conosciuto , si respirava amicizia , solidarietà ed il calore di una comune passione . .

Prima ancora che Riccardo e Miotto cominciassero, nonostante il mio mediocre livello tecnico, arrampicavo con Gianni Gianneselli , meno con Giorgio Garna e saltuariamente con” Pece“, “Poldo” , Carlo Andrich , “Tecia“ ed altri. Da loro non ho mai sentito parlar male dei “colleghi“ e io, a mia volta, non mi sono mai sentito sminuito per non essere bravo come loro o per  non avere fatto il  capocordata.

Andando nel dettaglio, in merito alle dichiarazioni di Miotto sulla “ rottura “ con Riccardo dopo sette anni di salite insieme , posso rendermi portavoce di mio fratello Gianni , di Gino Viel (cacciatore che conosceva entrambi) e di Stefano  Gava (quest’ultimo faceva parte con loro due della cordata che aprì la  via nuova sullo Spiz di Lagunaz, ultima salita di Riccardo con Miotto) che conoscono bene  quell’episodio.

I fatti sono questi :Miotto afferma che terminata la salita Riccardo gli disse che non avrebbe più arrampicato con lui e qui è vago ed anche offensivo nello spiegare alcune ragioni di questa sua decisione  . In realtà le motivazioni di Riccardo erano da un lato legate all’arroganza del suo compagno, che oltretutto a distanza di anni emerge ancora nelle sue pagine, ed in secondo piano alla constatazione del suo calo d’affidabilità psico – fisica ( Miotto aveva 18 anni più di Riccardo ),  mentre mio fratello era al momento tecnicamente e psicologicamente al massimo della forma.

Non avrei  voluto entrare nel merito  di  “chi era il più bravo” perché penso che la cordata dovrebbe essere un tutt’uno , senza classifica di valori al suo interno, ma desidero si sappia un’altra verità, considerando  che Riccardo non può replicare a quanto di errato e strumentale è stato scritto .
Con amarezza concludo dicendo che Riccardo Bee e Franco Miotto erano una coppia  formidabile. Anche se molto diversi tra di loro si completavano perfettamente e  avrebbero potuto continuare insieme ancora per chissà quanti anni , bastava solo che le umane debolezze di Franco non avessero preso il sopravvento sull’amicizia ed il rispetto.

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1 commento/i dai lettori

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  1. Condivido l’analisi dell’amico Adriano Bee sulla serie di querelle sorte dopo la pubblicazione del libro di F.Miotto. Non sono stato un alpinista ma solamente un escursionista evoluto, con qualche estemporanea salita su roccia. Ma conosco molto bene l’ambiente alpinistico bellunese e sono amico di molti degli alpinisti bellunesi citati nel libro. Ritengo che un alpinista, quando raggiunge alte prestazioni ed ottiene anche riconoscimenti ufficiali dalla nomenklatura alpina, entra in una Elite dove è buona norma astenersi dal scendere a certi livelli (…) e limitarsi a valutare “con saggezza e lungimiranza” il comporatmento dei suoi colleghi. Soltanto così si entra nel mito, diversamente … si sciupa banalmente quanto di buono si è seminato!

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