Mangart_03

Mangart, l’opera prima di Andrea Gennari Daneri, continua a mietere successi.
Nel 2012 ha ottenuto il primo premio al concorso Leggimontagna, quest’anno è stata selezionata fra le 6 opere finaliste del Premio Itas del Libro di Montagna e lo scorso mese di ottobre è entrata nella rosa dei 5 finalisti del Premio letterario Città di Verbania. Ma di cosa parla Mangart?

Mangart è la montagna al confine tra Italia e Slovenia. La storia del romanzo parte dal 2005, ma rimanda a fatti successi dodici anni prima, nel maggio 1993, alla Guerra in Jugoslavia. Il romanzo che mette in contatto la microstoria di uno scalatore solitario bloccato in inverno sulla parete del monte, con la grande storia contemporanea, citando la Guerra in Jugoslavia del maggio 1993, mediante flashback a partire dal 2005, anno di ambientazione del romanzo. E’ ricordato anche Renato Casarotto che, fra le numerose ascensioni in solitaria, fece una prima invernale e in solitaria sul Piccolo Mangart di Coritenza nel 1983, sul Diedro Cozzolino. Nella trama di questo libro si intrecciano un inspiegabile disastro in elicottero a cui assiste lo scalatore Flavio e loschi intrighi internazionali.
Andiamo a scoprire dall’autore i dettagli del libro e il suo modo di vivere la montagna.

Mangart_02Andrea, com’è nata questa storia che ti frullava in testa da molto tempo?
Ho fatto l’insegnante di diritto, ho suonato, ora faccio l’editore della rivista nazionale d’alpinismo e l’imprenditore nel campo sportivo con un paio di grossi centri in Emilia e quindi, comprensibilmente, vivo come una pallina d’acciaio lanciata in un flipper. E poi i fine settimana scalo, perché quando non scalo sclero e comunque, senza scalata, romperei il flipper. In questo caos organizzativo personale ho però sempre avuta chiara e lucida l’idea che c’è una sola cosa per cui ho davvero talento: scrivere storie. Mi ci vuole un mesetto di concentrazione per studiarne una e un anno per scriverla. Questo è successo con Mangart, che ha visto la luce… al buio, perché è stato scritto interamente a notte fonda, tra mezzanotte e le tre del mattino.

Perché la scelta di intrecciare la “microstoria” alla storia contemporanea?
C’è il pregiudizio antico e meschino che la storia si possa leggere e capire solo a protagonisti morti. Studi quindici anni a scuola e non ti fanno avvicinare neanche agli anni ’50. La Resistenza, gli ultimi cinquanta anni della nostra storia di cui dovremmo essere orgogliosi, a scuola la schivavano come la peste, era meno compromettente e faticoso per loro farti mandare a memoria le date della Guerra dei Cent’anni. Ma noi siamo figli del novecento e non è accettabile che la gente confonda l’olocausto col colesterolo, ci dovrebbero essere dei punti fermi. E ogni occasione è buona, anche in un romanzo come il mio, per dare un angolo di visuale alla memoria su fatti che sono entrati e usciti dal tritatutto mediatico, come la guerra di Bosnia, un conflitto moderno combattuto con metodi e crudeltà a volte medievali.

Quanto ti hanno influenzato, se lo hanno fatto, gli autori della non-fiction italiana?
Zero. Da vent’anni leggo quasi solo romanzi in inglese di autori americani.

Perché proprio un noir?
Perché il lato nero delle cose, anche quando si manifesta in un ambiente che più bianco non si può come la montagna in inverno, è più affascinante e anche più crudamente realistico. Le vite voltano, nella maggioranza delle occasioni, in seguito a fatti neri, non bianchi. E poi i bianchi sono sempre gli stessi: una scelta d’amore, un figlio, una opportunità di lavoro, sai che palle. Il nero è più vario e interessante.

Piccolo Mangart di Coritenza versante Nord, diedro Cozzolino

Piccolo Mangart di Coritenza versante Nord, diedro Cozzolino

Sul Mangart scalarono tanti grandi alpinisti, da Emilio Comici a Renato Casarotto in solitaria. Qual è delle tante ascensioni storiche quella che ti ha più impressionato?
Definitivamente Casarotto, che è stato citato anche all’inizio del romanzo. A parte quella settimana a meno venti gradi che Renato passò sul Mangart realizzando la prima solitaria invernale del Diedro Cozzolino, Casarotto è stato il mio mito alpinistico assoluto e sempre lo sarà. Adesso i big della montagna, giustamente, van via veloci, leggeri e slegati. Renato Casarotto ha sempre messo una corda tra sé e la morte in montagna, dilatando i tempi di permanenza in parete in situazioni proibitive oltre il limite umano degli anni ’80… ma concedendosi sempre l’umanità di quel filo di corda che avrebbe potuto tenerlo attaccato alla vita in caso di sbaglio. Poi è morto banalmente per il crollo di un ponte di neve a due passi dalla tenda sul K2, ma questa è un’altra storia…

Cosa significa, per te, il Mangart?
Una magnifica montagna friulana che insieme all’Agner e a pochi altri angoli veramente isolati delle nostre Alpi dà la possibilità di un’avventura alpinistica scomoda, un po’ extraeuropea, dove certamente non trovi code di cordate. In inverno, poi, è il silenzio assoluto, chilometri di confine italo-sloveno che entrano in stand-by fino al disgelo. Un posto affascinante dove ambientare una storia appunto scomoda.

Nel libro sei molto critico verso un certo modo di vivere la montagna “da turisti”, oltre che sulle dinamiche sociali che si espletano in certe situazioni di incidenti o misteri locali.
Se la montagna fosse stata lasciata davvero e definitivamente ai montanari oggi ce la ritroveremmo ancora più piena di cave, di impianti di risalita, di alberghi mostruosi in alta quota e di elicotteri come quello del romanzo. Tutti gli ambiente forti, potenti come lo sono il mare e la montagna non devono essere addomesticati per metterci dentro più gente possibile cui spillare dei soldi. Sono terreni d’avventura, dove chiunque abbia passione e capacità possa trovare lo spazio per ritrovare la propria dimensione che la vita di tutti i giorni tende a portarci via senza che neanche ce ne accorgiamo. Quando passi anche solo una notte in parete sotto mille stelle ti rendi conto che non abbiamo bisogno poi di così tante cose per vivere ed essere comunque felici. Se spendi una cifra per un albergo a quattro stelle ti incazzi come una pantera anche solo se il letto cigola.

Il libro è stato presentato con successo al Courmayeur Noir Festival 2012, e ha vinto il primo premio Leggimontagna 2012. Quali sono gli ultimi traguardi del libro?
E’ stato anche Opera Prima Segnalata al Premio Itas 2013, ma la destinazione finale sarebbe un film. Me lo dicono tutti sin dal primo giorno, è una storia già sceneggiata. Sarebbe bello vedere i miei personaggi sullo schermo, non si sa mai.

Per l’acquisto del volume:  http://www.pareti.it/e-shop/libri/mangart-detail

Sara Bonfili autore del post

Sara Bonfili | è dottore di ricerca in Italianistica e Cultore della Materia presso l’Università di Macerata. Collabora con varie riviste letterarie ed attualmente sta seguendo un progetto per organizzare eventi culturali a Matelica (Mc). Info: www.eventisette.it

1 commento/i dai lettori

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  1. Roberto Avanzini il9 dicembre 2013

    Non l’ho letto, ma un libro che unisce in un romanzo una zona poco conosciuta con una guerra rimossa mi pare comunque interessante.

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