L'intervento di Piero Villaggio nel 1994 al convegno del Club Alpino Accademico Italiano su arrampicata e ambientalismo. In quella circostanza, Villaggio si espresse contro una troppo disinvolta divulgazione dell'arrampicata in falesia. Accanto allo studioso, nella foto di Roberto Serafin, l'allora presidente dell'Accademico Giovanni Rossi.

L’intervento di Piero Villaggio nel 1994 al convegno del Club Alpino Accademico Italiano su arrampicata e ambientalismo. In quella circostanza, Villaggio si espresse contro una troppo disinvolta divulgazione dell’arrampicata in falesia. Accanto allo studioso, nella foto di Roberto Serafin, l’allora presidente dell’Accademico Giovanni Rossi.

La scomparsa a 82 anni di Piero Villaggio, lo scorso 4 gennaio a Rapallo (GE), rappresenta un grave lutto non solo per la scienza (docente presso la Normale di Pisa, era dal 1998 membro dell’Accademia dei Lincei) ma anche per il Club Alpino Italiano che lo annoverava tra i soci accademici.
La sua passione per la montagna è testimoniata dagli articoli che il professor Villaggio, provetto scalatore insieme con il fratello gemello Paolo, attore di fama, scriveva nelle pagine del notiziario Lo Scarpone: l’ultimo dei quali, qui riproposto, apparve nel fascicolo di gennaio 2006.
Fronteggiare con un’accurata e capillare azione di monitoraggio i crolli che si susseguono sulle Alpi e gli Appennini: questo il senso della testimonianza di Piero Villaggio scritta in esclusiva nel 2006 per Lo Scarpone. La notizia più clamorosa riguardava in quei giorni del primo decennio del secolo il pilastro del Petit Dru nel massiccio del Monte Bianco salito per la prima volta nel 1955 da Walter Bonatti. Quel pilastro di granito non esisteva più. Il ghiaccio che per millenni aveva riempito i crepacci sulla cima si stava progressivamente sciogliendo e le rocce erano crollate.
Che fare? Rassegnarsi al peggio o cercare con un pizzico di fantasia e d’intraprendenza d’immaginare che qualcosa possa ancora essere fatto per prevenire i dissesti, per conservare ci˜ che la natura ci vuole togliere? L’appello accorato del professor Villaggio attraverso le pagine del giornale più amato dagli amici della montagna sono ancora di grande e drammatica attualità anche se venate di una certa utopia. Quelle ferite alla montagna, Villaggio le sentiva come sue e le rifiutava con il rigore che contraddistingueva le sue ricerche e le sue scalate (pare che all’inizio di ogni ciclo delle sue lezioni, dicesse agli studenti: “Mio fratello fa ridere. Io invece vi farò piangere”).
Su questo aspetto del suo carattere, in perfetta sintonia con quel suo fisico ascetico, concorda l’ex ad della Fiat Paolo Fresco, compagno di banco al Liceo Doria e compagno di scalate a Cortina d’Ampezzo. “Piero era molto rigoroso nel cercare sempre l’eccellenza. Io l’ho sempre ammirato. Avevamo un rapporto di reciproca ammirazione e rispetto oltre a un grande affetto, sia con Piero che con Paolo”.
Particolare significativo. Sul feretro di Piero Villaggio è stato appoggiato un libro dedicato alla montagna, la grande passione della sua vita che lo aveva portato anche a una grande amicizia con Guido Rossa, il sindacalista ucciso nel 1979 dalle Brigate Rosse. Addio, professor Villaggio, non ti dimenticheremo.

La Gusèla del Vescovà salendo verso la vetta della Schiara (ph. Webjan's)

La Gusèla del Vescovà salendo verso la vetta della Schiara (ph. Webjan’s)

Pensiamoci bene prima che crollino
di Piero Villaggio

E’ urgente una mappa delle potenziali frane delle montagne. Negli ultimi due anni si è diffuso un grido di dolore per la frequenza dei crolli che si verificano nelle Alpi e negli Appennini. Pareti classiche delle Marittime, delle Centrali, delle Dolomiti e delle Giulie sono repentinamente cancellate, e si legge puntualmente nelle cronache alpinistiche l’inciso “prima ripetizione dopo la frana”. Tuttavia gli episodi che più colpiscono l’opinione pubblica sono la caduta di tanti pinnacoli che generazioni di alpinisti sono state abituate a visitare. E poi, c’è la constatazione catastrofica delle regressione dei ghiacciai che causano altre rovine.
Di fronte a questa situazione si possono prendere tre posizioni. La prima è di accettare il motto biblico della profetessa Deborah per cui “le montagne sono sabbia agli occhi del Signore”. La seconda è di monitorare continuamente quei campanili in bilico che progressivamente danno segnali d’instabilità, individuare quelle fessure a monte che preannunciano il distacco di una frana e infine comunicare semplicemente che in una certa via classica una gran lastra di roccia appare sospetta. Il terzo atteggiamento è di rimediare il possibile con i mezzi tecnici della nostra epoca.
Supponiamo di scegliere quest’ultima opzione. Nessuno può realisticamente impedire il ritiro dei ghiacciai, l’avvento di grandi frane dopo un’alluvione, ne il crollo di qualche sezione di una via d’alta quota. Tuttavia certi interventi d’emergenza sono tecnicamente fattibili, con poco costo rispetto al loro vantaggio. In alcuni casi basta un piccolo consolidamento del terreno intorno a una torre per rallentare di qualche secolo il crollo, oppure di saldarne eventuali fessure con tiranti pretesi (come è stato proposto per la Gusèla del Vescovà nelle Dolomiti Bellunesi). E così pure una grande frana in Valtellina si sarebbe potuta bloccare con una fila di pali come quelli che si mettono alla base dei muraglioni. Se accettiamo il programma degli interventi fattibili è necessario che tutti i frequentatori delle Alpi, e in particolare coloro che usano praticare sistematicamente una certa zona, segnalino tutte quelle piccole mutazioni orografiche che anticipano cedimenti più vasti.
E’ questo un primo passo per decidere gli eventuali rimedi. Non potrebbe Lo Scarpone incoraggiare questa raccolta preliminare di dati?

Roberto Serafin autore del post

Roberto Serafin | Giornalista professionista, redattore per un quarto di secolo del notiziario del CAI Lo Scarpone. Ha curato a Milano la mostra “Alpi, spazi e memorie” e il relativo catalogo, ha partecipato con il Museo della Montagna “Duca degli Abruzzi” all’allestimento della mostra “Picchi, piccozze e altezze reali”. E’ autore di numerosi libri di montagna, tra cui l’ultimo “Walter Bonatti, l’uomo, il mito“. Con il figlio Matteo ha pubblicato il volume “Scarpone e moschetto”. Da alcuni anni di dedica quotidianamente alla sua creatura editoriale www.mountcity.it

3 commento/i dai lettori

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  1. Roberto Serafin
    Roberto Serafin il13 gennaio 2014

    Giacomin ritiene giustamente che ai tre modi suggeriti da Villaggio se ne possa aggiungere un quarto: non eseguire opere infrastrutturali di grande impatto in zone di frana manifesta. Per completezza d’informazione, e sempre riferendomi alla collaborazione dello studioso con Lo Scarpone, desidero precisare che il professor Villaggio ha tenuto in considerazione, eccome, le opere infrastrutturali come concausa dei crolli. Nel 2004 (LS numero 10) così commentò lo sgretolamento della Torre Trephor nel gruppo delle Cinque Torri: “Sappiamo tutti che le montagne dolomitiche poggiano su un sottofondo soffice. Quindi l’equilibrio delle torri più esili e inclinate è più precario. Ma, circa quarant’anni fa, tutto il pendio a monte del Gruppo venne letteralmente arato per costruirvi un impianto di discesa, sradicando la vegetazione e frantumando i massi. Questa operazione ha alterato la permeabilità del terreno e la consistenza statica degli strati sottostanti le Cinque Torri. Non c’è alcuna correlazione tra la devastazione e il crollo? Ritengo di si e che si possano determinare quasi esattamente i fattori del degrado meccanico delle faglie”.

  2. Paolo Vannucci il12 gennaio 2014

    Sono stato allievo del Professor Villaggio; ho seguito tre dei suoi corsi accademici, mai l’ho sentito dire quel che si racconta e che è riferito nell’articolo.

    Il Professor Villaggio è stato un grande maestro e un galantuomo; il vuoto che lascia nel mondo accademico e nel ricordo di quelli che hanno avuto il privilegio di incontrarlo e frequentarlo è incolmabile.

    Mi intrattenevo spesso con lui di montagna, mi dava consigli per le ascensioni, ci scambiavamo le impressioni, a volte mi ha prestato le sue guide.

    Un solo aneddoto: più di venti anni fa, gli chiesi notizie sull’Alleghesi al Civetta; mi disse che l’aveva fatta poco tempo prima per scendere, e che gli sembrava di volare tanto era aerea.

    Gli chiesi da dove era salito: “Dalla Solleder”; aveva più di 60 anni.

    Paolo Vannucci, Università di Versailles

  3. Vittorio Giacomin
    Vittorio Giacomin il11 gennaio 2014

    Quel pensiamoci bene di Piero Villaggio è quasi un urlo in un panorama di quasi indifferenza rispetto a questi temi.
    Direi che ai tre modi suggeriti da Villaggio se ne possa aggiungere un quarto: non eseguire opere infrastrutturali di grande impatto in zone di frana manifesta come si vuol fare con il prolungamento della Valdastico fino a Trento.
    Ben venga quindi un monitoraggio di questi fenomeni a protezione della nostra montagna e a garanzia di tutti.
    Vittorio Giacomin

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