C’era una volta un lago bellissimo con una spiaggia unica al mondo, lucente di grani di quarzo, appoggiata a pelo d’acqua come una mano dalle dita affusolate. Vista dall’alto era un gioiello nella wilderness del sud-ovest della Tasmania.
.
Lake Pedder prima di essere sommerso, 1963 (by National Digital Learning Resource Network and National Archives of Australia)

Lake Pedder prima di essere sommerso, 1963 (by National Digital Learning Resource Network and National Archives of Australia)

Lake Pedder fu sommerso nel 1968 per creare questo lago enorme che costeggio mentre mi dirigo verso la chiusa alla fine della strada. Dalle foto di un sommozzatore si è accertato che la spiaggia è ancora lì, invisibile a tutti, sepolta…
Voglio esplorare questi monti che ho sempre visto da lontano, da altre cime più ad est che ho raggiunto direttamente dalla valle in cui vivo. Avrei potuto raggiungere a piedi la chiusa di Scott`s Peak, dove mi trovo ora, ma avrei allungato il cammino di due giorni all’andata e altri due per il ritorno. Il giro largo con l’auto mi permette d’esser qui in due ore e mezza, passando per Hobart, New Norfolk e Mayadena.

Lascio l’auto e mi inoltro per una piana, le Arthurs Plains, coperta da buttongras, un`erba che dopo la fioritura forma dei bottoni tondi sugli steli più alti. Qui e là dei gruppetti di cespugli ed eucalipti, dalle pieghe improbabili dei tronchi, rivelano la provenienza dei venti. Al lato del sentiero vedo quello che sembra un copertone. Faccio un salto all’indietro per lo spavento, senza quasi muovere un muscolo, quando realizzo che è un Tiger Snake arrotolato che mi fissa. E’ uno dei serpenti più velenosi al mondo (una goccia del suo veleno inibisce i centri nervosi bloccando il respiro), ma timido sceglie la fuga all’aggressione. Qui il sentiero è ben mantenuto perché parte il South Coast Track, una scarpinata di due settimane lungo la costa. E’ possibile incontrare altri escursionisti che esausti si dirigono verso la loro meta. Sulla mia sinistra ora vedo i monti verso i quali sono diretto: le Arthurs, divisi tra catena occidentale ed orientale. Mi attendono cinque giorni sulle cime tra valli segrete e laghi in quota. Situate nella zona centrale del parco del sud-ovest, istituito nel 1968, le Arthurs sono monti remoti e chi vi si inoltra deve essere preparato a cambi repentini di temperatura, maltempo e isolamento estremo.

Abbandono la piana ed inizio a salire la Morena A e in quattro ore arrivo sulla cima del monte Hesperus e da lì l’occhio spazia incontrastato sulla bellezza mozzafiato del sud-ovest. Ora sui ciottoli delle cime la direzione è chiara, ma un vero e proprio sentiero viene a mancare, solo alcuni sassi appollaiati uno sull’altro mostrano la via. Poi il primo di una successione di laghetti incastonati tra basalti e crinali di quarzite. Nelle vallette protette dai venti micidiali che spazzano queste cime cresce il King Billy Pine (Athrotaxis selaginoides) una conifera chiamata così in onore dell’ultimo purosangue aborigeno della Tasmania (William Lanne). Qui vive anche l’unico albero deciduo nativo del continente, una betulla (Nothofagus gunnii) che dona d’autunno pennellate di colore nel verde cupo predominante. Quassù orchidee endemiche della Tasmania prendono il posto delle stelle alpine nelle Alpi.

L'autore prima del bagno nel lago Oberon

L’autore del post prima del bagno nel lago Oberon, 1992

Il tempo in queste giornate calde di febbraio del 1992 è perfetto. Le acque dei laghi di solito scure rispecchiano il cielo blu, il sole caldo mi permette un bagno nell’acqua gelida del lago Oberon. Nelle sere davanti ad un fuoco, dove la pasta con tonno e piselli pian piano cuoce, il silenzio è immenso e la via lattea pulsa con milioni di stelle. Le cime portano il nome di costellazioni: Pegasus, Orion, Capricorn, Taurus e Scorpio. Chi per primo diede loro il nome deve aver provato lassù, nel silenzio, le mie stesse emozioni. Il fuoco illumina appena la mia tenda canadese e forma un cerchio di luci dardeggianti dove percepisci gli sguardi curiosi di animali notturni che ti spiano increduli. Lì, alzando gli occhi in quel profondo squarcio di cosmo nero punteggiato di stelle, trovi che l’assenza di divinità è ovvia. La gratitudine, per l’effetto collaterale che la collaborazione di milioni di geni per il loro benessere hanno creato, ossia il mio essere senziente, sgorga da ogni mio poro.

Le quattro notti passate quassù nel silenzio primordiale di laghi immobili e profondi mi riempiono di forza e letizia. Al mattino riattizzo il fuoco dove nel billy can (pentolino da appendere) bolle un tea foret che mi riscalda. Il muesli (grazie Franca Fin) con tante noci e latte in polvere, stabiliscono una base di energia su cui posso contare per alcune ore. Dopo aver spento il fuoco e fatto sparire ogni mia traccia, con il sole sul viso, lieto accolgo il nuovo giorno. A 360 gradi intorno a me un labirinto di valli verdi e cime che calzano bene il primo nome europeo che l’isola ricevette: Transilvania.

Dopo l’ultima notte in quota, riluttante, lascio questi posti magici e prendo la Morena K, scendo a valle risalgo poi lo Huon River, ora solo un torrente, attraverso gli estesi Arthurs Plains. Le Western Arthurs Range la spina dorsale della Tasmania del sud-ovest.

info:
– Western Arthurs Traverse – Southwest NP – Tasmania
– Adventure Seekers Wilderness Journeys

Johnny Bertelle autore del post

Johnny Bertelle | Sono nato a Melbourne, a 4 anni ritorno in Italia con la mia famiglia dopo una crociera di 40 giorni. Durante la naja corono uno dei due sogni di mia madre: conseguire un diploma (prendo quello di rocciatore). Poco dopo l’altro sogno: diventare prete (vado in alpeggio a malga Losco, a Casera Razzo, come pastore di manze, non di anime). Dopo 6 mesi in giro per l'India e il Nepal, a 22 anni, ritorno in Australia. Lì raccolgo mele, avvio ristoranti e laboratori di gelato, lavoro con la forestale, costruisco case in legno e vendo "tempura mushrooms" ai festival della Tasmania. Vivo a Franklin sullo Huon River in una delle mie case, dove offro vitto alloggio ed escursioni, per turisti italiani. Prima di ogni viaggio, per prendere coraggio, andavo sui Monti del Sole con gli amici di allora, le “formiche rosse”: Diego, Aldo, Bob, Manolo, Raffaele e altri ancora. Che bei tempi!

2 commento/i dai lettori

Partecipa alla discussione
  1. Alessandro il2 novembre 2014

    Mi pare che le tue scelte di vita siano state coerenti e che il luogo dove vivi lo stia a dimostrare. Io sono bellunese, quasi sempre sui Monti del Sole (negli ultimi 5 anni ho percorso lì quasi mille itinerari) e lì è la mia vita. Mi sono fermato spesso ad osservare le tue linee di salita sulla Zima Bus del Diaol e mi piacerebbe ripeterle.
    Ti mando un caro saluto ripensando a quei meravigliosi anni che hai vissuto tra quei luoghi magici. Alessandro.

Lascia un commento