L‘edizione integrale delle nove puntate della “Storia dell’arrampicamento” scritte da Domenico Rudatis e pubblicate nella rivista “Lo sport fascista” tra il 1930 e il 1931 è ora consultabile on line grazie al lavoro di Luigi Piccioni.

Storia dello sport di arrampicamento_01

♥ tempo lettura stimato = 4,5 min.

Spero che questo omaggio fatto a Rudatis e a tutte le persone che amano l’alpinismo possa contribuire a riconsiderare una pagina grande e dimenticata della letteratura italiana di montagna del Novecento”.
Un capolavoro dimenticato degli anni Trenta consultabile ora on line: 
qui le 9 puntate. 

Alla metà degli anni Venti il mondo dell’arrampicata viveva una fase di intensa creatività. I massicci delle Alpi Orientali – Dolomiti, Kaisergebirge, Wetterstein, Gesäuse su tutti – vedevano le imprese degli eredi di Preuss e di Dülfer, in gran parte provenienti da Monaco. Due di essi nel 1924 avevano aperto la prima via considerata di sesto grado: la Solleder-Lettenbauer al Civetta. Come se ciò non bastasse Monaco era negli stessi anni anche il centro della teoria alpinistica grazie allo sforzo di Willo Welzenbach di sistematizzare in modo rigoroso la scala delle difficoltà.
Il mondo alpinistico italiano reagiva a questa sfida con un ritardo reso ansioso dal clima di competizione nazionalista ereditato dalla guerra. Solo alla fine del decennio comparve una leva di rocciatori capaci di misurarsi alla pari coi giovani assi tedeschi: nell’estate del 1929 ben tre cordate italiane affrontarono con successo pareti di sesto grado e l’anno successivo due neofiti – Attilio Tissi e Giovanni Andrich – riuscirono nell’impresa di ripetere la Solleder-Lettenbauer.

Tra i protagonisti della sfida figurava un arrampicatore originario di Alleghe, che aveva iniziato a farsi le ossa prima della guerra e che a Torino era entrato nel coeso gruppo degli studenti trentini animatori della Susat: Domenico Rudatis. Al pari di Pino Prati, che della Susat era il guru riconosciuto, Rudatis era un uno scrittore brillante, un appassionato di discipline orientali e un eccellente conoscitore della letteratura alpinistica di lingua tedesca. Quando nel 1927 Pino Prati precipitò nel tentativo di ripetere la via Preuss al Campanile Basso di Brenta, Rudatis prese il suo posto di ponte tra la cultura alpinistica italiana e quella di lingua tedesca. L’anno successivo formò infine una felice cordata con l’ultimo presidente della Susat, Renzo Videsott, e con lui realizzò uno dei tre sesti gradi del 1929: la Cima della Busazza al Civetta.

Rudatis_1929_01La sua lunga relazione sull’ascensione del 1928 con Videsott al Pan di Zucchero del Civetta aveva fuso in modo così armonioso sguardo storico, valutazione delle difficoltà, abilità letteraria e visione trascendente dell’attività alpinistica da creare delle difficoltà alla redazione della “Rivista mensile del Cai” che pubblicò il pezzo solo dopo molti conflitti e tentennamenti. Il récit dell’ascesa al Pan di Zucchero, tuttavia, non inaugurò soltanto uno stile tra i più originali della letteratura italiana di montagna destinato a dare i suoi frutti per oltre sessanta anni: esso attrasse immediatamente l’attenzione di molti scrittori e di molti teorici dell’arrampicata, tra cui Vittorio Varale.
Celebre giornalista sportivo, Varale era stato chiamato nel 1928 a dare lustro a un’ambiziosa rivista sportiva di regime, “Lo sport fascista”. Fu proprio l’articolo di Rudatis sul Pan di Zucchero a convincere Varale di aver trovato il collaboratore lungamente cercato per raccontare dall’interno l’attività arrampicatoria e per lanciare la sfida del rinnovamento dell’alpinismo italiano in senso sportivo.
Varale e Rudatis condividevano infatti l’idea di un alpinismo inteso come sport, valutabile cioè in modo rigoroso e privo dell’impalcatura retorica e classista che dominava negli ambienti ufficiali italiani. Nacque in questo modo la “battaglia del sesto grado”, orientata anzitutto a quella che in quegli anni appariva come l’arrampicata sportiva per eccellenza, quella che si praticava sulle Alpi Orientali.

Metodico, erudito, amante delle architetture letterarie ariose ed eleganti, Rudatis propose immediatamente a Varale non una collaborazione episodica ma una vera e propria storia dello sport dell’arrampicamento, dalle prime imprese di Winkler fino agli ultimissimi exploit italiani. Nacquero così nove dense puntate pubblicate tra il 1930 e il 1931, con due articoli teorici, cinque articoli sull’evoluzione generale dell’arrampicata e due articoli sulle specifiche realizzazioni italiane.

Grazie a questa e ad altre pubblicazioni lo scrittore e alpinista di Alleghe divenne una delle figure più apprezzate e controverse del mondo alpinistico italiano degli anni Trenta. A metà decennio lo stesso alpinismo monacense gli tributò uno straordinario onore pubblicandogli un manuale in tedesco sull’“estremo in parete” (Das Letzte im Fels, 1936). Un incidente di moto con Attilio Tissi nel 1933 troncò però la sua carriera alpinistica mentre la guerra avrebbe interrotto in apparenza per sempre anche la sua attività di scrittore. Dal 1952, peraltro, Rudatis si sarebbe trasferito definitivamente negli Stati Uniti.

Quando però Vittorio Varale decise alla metà degli anni Sessanta, di ricostruire la “battaglia del sesto grado” ricorse ancora una volta alla memoria, allo sguardo lucido e ai tanti bei materiali ancora posseduti da Rudatis. Due libri pubblicati nel 1965 e nel 1971 da Longanesi – il secondo a sei mani col giovane Messner – riportarono così lo scrittore di Alleghe all’attenzione del grande pubblico. Il Cai ne richiese di nuovo la collaborazione per la “Rivista mensile”, ma soprattutto, tra gli anni Ottanta e Novanta, furono il Caai e Bepi Pellegrinon a farne nuovamente una firma tra le più apprezzate e amate in Italia, soprattutto grazie al libro Liberazione. Avventure e misteri delle montagne incantate uscito nel 1985. Nel tramonto della sua vita Rudatis, scomparso poi nel 1994, aveva insomma riconquistato il prestigio degli anni Trenta, aiutato in questo anche dall’apprezzamento di scrittori di montagna come Gian Piero Motti che lo aveva lungamente elogiato nella sua classica Storia dell’alpinismo del 1977.

In questo revival rimase però del tutto ignorata la “Storia dello sport dell’arrampicamento” tanto più che dello “Sport fascista”, chiuso nel 1942, non rimanevano che un paio di copie nelle biblioteche italiane. Varale aveva ricostruito nel libro La battaglia del sesto grado del 1965 la genesi dell’opera, qualcuno ogni tanto ne citava qualche singolo articolo ma era chiaro che nessuno l’aveva più sfogliata.
La “Storia dello sport dell’arrampicamento” appare invece sin dal primo sguardo come un’opera dall’ispirazione compatta e di alto valore letterario, critico ed estetico. I materiali su cui si basava testimoniavano della fitta rete di rapporti di Rudatis con le figure più importanti dell’alpinismo dell’epoca, da Willo Welzenbach a Peter Aschenbrenner, da Emil Solleder a Tita Piaz, dagli arrampicatori trentini e bellunesi alla coppia Steger-Wiesinger e molti altri ancora. L’epistolario Varale-Rudatis conservato alla Biblioteca Civica di Belluno consente inoltre di seguire passo passo la costruzione di ciascuna puntata, con l’enunciazione dei temi, la ricerca e la composizione delle immagini, la realizzazione dei disegni, gli accordi sull’impaginazione.

Ho incrociato la “Storia dell’arrampicamento” mentre cercavo di ricostruire i rapporti di Rudatis con Renzo Videsott e non mi ci è voluto molto a comprendere l’importanza dell’opera per cui ho cercato a lungo qualcuno interessato a ripubblicarla nella forma originale affinché non se ne perdesse il particolare intreccio tra scrittura e grafica, ma senza fortuna. Il desiderio di condividere l’intelligenza e la bellezza quelle pagine non mi ha però mai abbandonato e mi ha infine spinto a realizzare un sito web che ne permettesse la libera consultazione. Nel sito http://arrampicamento.wordpress.com si possono trovare le nove puntate sfogliabili separatamente e un saggio che approfondisce quanto ho potuto solo troppo brevemente accennare in questo articolo (vedi saggio).
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foto copertina:  Al rifugio Vazzoler nel 1930: Renzo Videsott osserva Domenico Rudatis intento a disegnare dal vero le cime della Val dei Cantoni (foto di Vittorio Varale tratta da Liberazione)

Nota biografica su Domenico Rudatis (clicca per aprire)

Rudatis 1990 ca. Da Fontanive 1994Nato nel 1898 a Venezia da padre di Alleghe, Domenico Rudatis si avvicinò alla montagna alla vigilia della Grande Guerra, alla quale partecipò come ufficiale.
Studente di ingegneria a Torino, si legò ai giovani orientalisti della Susat che studiavano nella città sabauda e in particolare a Pino Prati e a Renzo Videsott. Con Prati approfondì gli aspetti spirituali dell’arrampicata, mentre con Videsott formò nel triennio 1928-1930 una formidabile cordata che fu tra le prime in Italia a superare con successo pareti di sesto grado. Dopo il ritiro di Videsott arrampicò con Attilio Tissi e Giovanni Andrich, conseguendo anche in questo caso risultati di grande rilievo.
Lucido e tenace sostenitore di un’arrampicata al contempo rigorosamente valutabile e strumento di elevazione spirituale, esercitò un notevole fascino su molti ambienti alpinistici degli anni Trenta ma fu anche avversato dai vertici ufficiali del Cai. Il valore delle sue posizioni, portate avanti a lungo insieme a Vittorio Varale, fu consacrato nel 1936 dalla pubblicazione da parte della Gesellschaft Alpiner Bücherfreunde di Monaco di un manuale sulla scala delle difficoltà in arrampicata,
Das Letzte im Fels.
Dopo aver passato gli anni Quaranta ritirato nella sua Venezia, sposò la sorella del rocciatore Ernani Faè e con lei si trasferì nel 1952 a New York, da dove non fece più ritorno. Riprese a scrivere di montagna dalla metà degli anni Sessanta e lo fece con crescente successo fino alla morte nel 1994.
I suoi contributi ai libri di Varale
La battaglia del sesto grado (1965) e Sesto grado (1971, con Reinhold Messner), la lunga serie di articoli sull’“Annuario del Club Alpino Accademico Italiano” (1981-1992) e soprattutto il libro Liberazione (1985) lo imposero nuovamente all’attenzione del pubblico e degli ambienti alpinistici italiani suscitando un grande apprezzamento soprattutto tra la nuova leva di rocciatori degli anni Settanta, Gian Piero Motti in testa.
Manca uno studio organico sulla sua vita e sulla sua opera anche se diverse notizie utili sono contenute nel citato
La battaglia del sesto grado di Varale, nel suo Liberazione, che può essere considerato un’opera in parte autobiografica, in Primo di cordata. Renzo Videsott dal sesto grado alla protezione della natura di Luigi Piccioni, nel ricordo di Giorgio Fontanive “Domenico Rudatis 1898-1994. Il cantore della Civetta” pubblicato nelle “Dolomiti Bellunesi” in occasione della sua morte e infine in qualche scritto di Giuseppe Sorge.
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foto: Rudatis 1990 ca., da Fontanive 1994

Luigi Piccioni autore del post

Luigi Piccioni | Originario della montagna abruzzese - che è sempre rimasta la “mia” montagna - vivo a Pisa e insegno in Calabria materie storiche. Le mie ricerche sono incentrate sull’evoluzione delle culture e delle politiche ambientaliste e sulla storia delle aree protette. Di recente la necessità di ricostruire la vita di Renzo Videsott mi ha costretto ad avvicinarmi anche alla letteratura alpinistica, che avevo sfiorato appena da semplice lettore, quando i miei anni erano ancora verdi.

5 commento/i dai lettori

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  1. emanuele il9 aprile 2014

    Il libro di Rudatis “Liberazione” è ricco di aspetti spirituali ed esoterici che non mi interessano e che sembrano scritti da un uomo un “pò fuori di testa”, ma i racconti delle scalate sono avvincenti e rilevano la grande passione alpinistica dell’autore; le parole scritte per descrivere il camino a “spirale lucente” lungo lo spigolo della Busazza le ho trovate efficaci e durante la ripetizione della via, che è bellissima, ho capito molte cose della vivace intelligenza di Domenico Rudatis.

    • Luigi Piccioni il9 aprile 2014

      L’esoterismo è dalle origini, nei primi anni Venti, fino alla fine dell’esistenza di Rudatis uno degli elementi caratteristici della sua visione del mondo e della sua scrittura. Tutto questo è molto lontano anche dalla mia personale sensibilità, ma è necessario riconoscere che fa parte in modo molto coerente del suo modo di considerare la montagna e l’attività alpinistica. Oltretutto è proprio lo stretto legame tra il contenuto spirituale dell’arrampicata e il suo valore sportivo che rende peculiare la riflessione di Rudatis entro la scrittura di montagna del Novecento italiano. E che ha affascinato molte generazioni di alpinisti: mi ha sempre molto colpito ad esempio la sintonia che avvertiva uno come Gian Piero Motti nel confronti di Rudatis, sintonia tutt’altro che casuale. Ed è bello peraltro sentire da un accademico del Cai come Menegardi che il récit d’ascension della Busazza comunichi ancora qualcosa dell’intelligenza del suo autore.

  2. emanuele il9 aprile 2014

    Chi definisce la Simon-Rossi al Pelmo meno impegnativa della Solleder-Lettenbauer in Civetta non l’ha salita: sia nelle difficoltà tecniche che per i pericoli oggettivi(qualità della roccia-caduta sassi,ecc.) la Simon-Rossi è più impegnativa e con numero di passaggi di VI più elevato e questo per esperienza diretta mia e di amici.

  3. Luca Bertollo il8 aprile 2014

    Un vivissimo ringraziamento all’ autore per il recupero di questa importante pagina della cultura dell’ alpinismo, praticamente introvabile. Mi permetto una piccola precisazione circa la prima salita di sesto grado. Solleder e Lettenbauer salirono in prima ascensione la parete nord-ovest della Civetta nell’ agosto del 1925. Nel 1924, Simon e Rossi, anch’ essi della cosiddetta scuola di Monaco, avevano effettuato invece la prima salita della parete nord del Monte Pelmo, grandiosa scalata anche se meno impegnativa di quella di Solleder, ritenuta appunto, a partire dal 1926 con l’ introduzione della scala di difficoltà di Welzenbach, la prima salita di sesto grado.

    • ghigugLuigi Piccioni il8 aprile 2014

      Grazie per la precisazione. Nello scrivere ero in effetti molto influenzato dall’enorme prestigio goduto dalla Solleder Lettenbauer tra i contemporanei. E’ divertente anzi leggere nella corrispondenza Rudatis-Varale della “fila” che c’era nell’estate del 1930 sotto la parete per strappare la prima italiana della via fallita da Comici nel 1926 e riuscita invece proprio quell’anno ai “pivellini” Tissi e Andrich. A fine settembre ci provò anche Rudatis ma senza Videsott che si era infortunato e rischiò di rimetterci le penne dopo due giorni fermo in parete tra pioggia e neve.

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