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Da un po’ di estati ho preso l’abitudine di peregrinare da solo in montagna, per settimane o mesi. Parto con lo zaino, un po’ di attrezzatura, le cartine, un libro e un quaderno. Finora ho gironzolato nelle Dolomiti, nel Friuli e nelle Alpi Giulie.

Cerco sempre di rimanere in quota il più possibile perché mi piacciono i posti appartati, le valli sperdute, i sentieri poco affollati. Come un lupo incalzato dalla fame, scendo a valle soltanto per i rifornimenti o per risalire in un altro gruppo montuoso.

Strada facendo, ho avuto parecchie opportunità di scoprire i numerosissimi ricoveri aperti ai viandanti nelle Alpi italiane. Voglio parlare dei bivacchi, delle casere, delle baite e degli altri ripari incustoditi dove è lecito pernottare o almeno fermarsi un attimo quando il temporale imperversa.

Il primo ricovero che ho bazzicato in Italia si chiama Capanna Bivacco della Medassa. È ubicato a nord di Belluno, nel gruppo della Schiara. Ero salito a caso, per dare un’occhiata, e sono stato colto subito dalla malia dei bivacchi.

Capanna Bivacco de la Medassa (1340 m), gruppo della Schiara (estate 2009, ph. A. Ratti)

Era il primo giorno del mio primo viaggio nelle Dolomiti, nell’estate 2009. Ho pernottato in questo riparo, da solo. La pace che ho trovato in quest’angolo, me la porto ancora dentro oggi. Vi avevo anche incontrato il padrone incontrastato dei ripari, il ghiro, ma ne parleremo un altra volta.

Mano a mano, scoprire i ricoveri è diventato uno scopo importante nei miei viaggi. Giungere al prossimo ricovero è la meta, ma anche il premio della scarpinata. La cosa più bella è che se ti fidi soltanto alle cartine, che spesso non sono aggiornate, e non cerchi foto in anticipo su Internet, non sai mai che cosa troverai in loco.

Quando arrivi nella zona, chiedi informazioni alla gente che hai incontrato sui sentieri. Ogni tanto hai la fortuna di scoprire altri ricoveri che non sono segnati sulle cartine. A volte, purtroppo, senti che l’agognato riparo è stato chiuso, distrutto o non esiste più per altre ragioni, mi è capitato più volte.

Da un giorno all’altro, puoi dormire in una reggia o in una casupola. Ci sono ricoveri ristrutturati e gestiti ottimamente da volontari, altri sono caduti in rovina e ti trovi a pernottare tra ruderi.

Casera del Piz (1481 m), Valle di San Lucano(estate 2010, ph. A. Ratti)

È successo così una volta nelle Pale di San Lucano. Mi ero fermato una notte nel bellissimo Bivacco Margherita Bedin, dove avevo trascorso una serata memorabile con parecchi amanti della montagna. L’indomani ero sceso a valle per risalire fino a Casera del Piz. Questo fabbricato non era segnato come un ricovero sulla cartina, ma avevo letto che c’era qualche riparo in quel posto, e volevo dare una sbirciatina. Dopo un paio di ore di salita arrivai a Casera del Piz.

M’immaginavo un fabbricato ristrutturato e forse ben attrezzato, ma invece trovai una capanna sfasciata, appoggiata a un grosso sasso, con un tetto di lamiere e muri di assi vecchie. Dentro non c’era mica tanto, ricordo un focolare. Per dormire sistemai una sottospecie di panca con due assi. Niente acqua da bere in giro, però il posto era molto umido. La sera dovetti accendere un fuoco per scacciare il freddo. Il bagliore delle fiamme sulla parete rocciosa mi fece compagnia.

Un’altra volta mi sono imbattuto in un bivacco strano, che sembrava caduto dal cielo. È in Slovenia, si chiama Bivak na Kotovem Sedlu. Avevo visto questo appellativo su una cartina slovena e mi ero incuriosito. La mattina presto, incominciai a salire in quota. Scarpinai tutto il giorno, valicando più forcelle, poiché speravo di arrivare in giornata, ma non ce la feci. La meta era troppo lontana e incontrai un canalone abbastanza ripido, intasato di nevai, che dovetti aggirare. Mi fermai fuori, sotto il mio fidato telone, e giunsi al bivacco l’indomani.

Bivak na Kotovem sedlu (1965 m), ai piedi del monte Jalovec, in Slovenia (estate 2011, ph. A. Ratti)

Dopo aver cercato un momento, mi trovai ad un tratto davanti a una specie di nave spaziale, nascosta dietro un grande sasso, con pareti di metallo, un tetto spiovente e finestrine rotonde come nelle barche. Decisi subito di fermarmi una notte per godermi il posto. Il bivacco è ubicato in mezzo a un altipiano così brullo che uno crederebbe di essere su Marte. Se ti rintani dentro quando il maltempo si scatena, vi troverai una calda oasi nella violenza della montagna.

≈Argomenti collegati:
http://altitudini.wordpress.com/2011/12/06/alex-un-vagabondo-nelle-dolomiti/

Alex Ratti autore del post

Alex Ratti | vive in Francia a Corbeil-Essonnes, traduttore, canoista, vagabondo dei monti.

3 commento/i dai lettori

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  1. cavralorenz il31 ottobre 2012

    Uhm, questo articolo è decisamente antesignano del mio “Corvo a 3 zampe” :-) o perlomeno della filosofia che lo informa
    Non lo conoscevo. Bello!

  2. arnaldo simeoni il3 aprile 2012

    Credo che il migliore dei modi per incontrare se stessi sia proprio girare alla scoperta di posti nuovi e fuori da ogni caos, dunque camminare per montagne è la cosa PIU’…….. che si possa fare

  3. gigi zoldan il9 marzo 2012

    credo sia un vagare per i monti scoprendo posti solitari e poter rimanere in compagnia di sè stessi.

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