Finalmente ci siamo. Si alza il rumore dei motori e siamo per aria. Già lo eravamo stati per alcuni giorni nei preparativi e nell’attesa. Siamo diretti a Kathmandu e poi verso il Manaslu, uno splendido ottomila.
Questo trekking in terra nepalese, che vede partecipare 16 persone (6 donne e 10 uomini) è stato organizzato con grande dedizione ed impegno da Paolo Grosso per festeggiare i 120 anni della Sezione del CAI Belluno.
Il circuito attorno al Manaslu è un trekking prevalentemente escursionistico ma che interpreta nel migliore dei modi lo spirito dello Statuto del Club Alpino Italiano, ovvero la conoscenza e la frequentazione delle montagne. E questa volta andremo lì dove le montagne accarezzano le stelle.
Per molti è la prima esperienza in terra himalayana.
Immersi a Kathmandu nel caos di mezzi motorizzati, clacson, moltitudine di gente, infinità di negozi, carretti di ambulanti e polvere, desideriamo uscire quanto prima da questa città che pure ci affascina così caotica, a volte anche bella nella fantasia delle case e dei colori, nei suoi luoghi religiosi, nella cultura, nella storia, nell’atmosfera che fa di questo luogo e del Nepal un paese unico, con gli occhi del Buddah a seguire ogni nostro passo.
Pistari, pistari …
Il nostro passo “dolomitico” è troppo veloce. Pistari, pistari (piano, piano) è l’invito che ci viene fatto e così pistari, pistari entriamo nel ritmo del trek, ci faremo una buona acclimatazione osserveremo con più attenzione l’ambiente, ci conosceremo meglio fra di noi ed anche con le persone che incontreremo. Questo ci aiuterà a capire meglio il loro mondo, il loro modo di accettare la vita e godere di questo magnifico e difficile ambiente.
Fra noi e l’organizzazione di supporto, il gruppo è consistente ma durante il percorso ognuno tiene il suo passo e vive il viaggio nella propria dimensione.
Piccoli villaggi, portatori, carovane di asinelli che vanno e vengono lungo il percorso e ci si stupisce per quanto portano, per quanti sono, per la loro docilità. Poi bambini vivaci, terrazzamenti coltivati a riso, miglio e soia, verdure ed erbe aromatiche. Mi ci vuole un po’ per abituarmi ai sapori di una cucina piccante.
Cascate d’acqua accompagnano i nostri passi ed incidono i nostri pensieri come il costante rumore del fiume impetuoso che scorre sotto di noi. Alzandoci di quota percorriamo sentieri in continuo saliscendi, attraversiamo più volte il torrente su lunghi ponti sospesi, accumuliamo metri di dislivello, fotografie, sensazioni.
Sono sereno eppure a volte provo disagio, questo è il loro mondo e non sempre i nostri atteggiamenti occidentali si conformano alla loro cultura.
Mi piace Michele. Non ha portato macchina fotografica ma si siede con i bambini, carta e penna, gioca e scherza. Il loro grazie è quel foglietto strappato al diario che gli mostrano con scritto il proprio nome.
Cammino un po’ da solo, i giovani hanno fatto presto a fare comunella e non disdegnano a sera buttarsi nell’acqua di qualche vicino ruscello, fin quando non si fa troppo fredda.
Il Manaslu è di fronte a noi, splendido nel sole
Giorno dopo giorno ci alziamo di quota. Emozioni. Mi siedo a sgranellare pannocchie con le donne del villaggio. Ridono i bambini, ci divertiamo. Eppure stiamo semplicemente compiendo gesti comuni in tutto il mondo. Mi piace stare con la gente, ci si capisce a gesti, con qualche parola d’inglese, con lo sguardo, la semplicità dei modi, con il rispetto.
Dedichiamo il giorno di riposo per raggiungere un pianoro che si rivela un posto meraviglioso. Siamo ormai a 4000 metri, sotto e vicini alla grande montagna, circondati dagli jak.
Il Manaslu è di fronte a noi, splendido nel sole, ardito nella forma, imponente con i suoi ghiacciai e le serracate potenti. Attorno alla vetta sbuffi di nuvole e di neve sollevata dal vento. Abbiamo sentito che ci sono quattro spedizioni impegnate nella scalata, scrutiamo i versanti con il cannocchiale, percorriamo le pareti. Ci impessionano gli strati di neve, le cornici sporgenti, i volumi dei seracchi ma non vediamo alpinisti.
Visitiamo un monastero, i giovani monaci provano dei tamburi in cerca di un suono e di un ritmo armonioso.
Muri Mani (muretti in pietra con scritte sacre), piccoli templi finemente decorati raccontano la vita e le credenze di quei popoli ed accompagnano il nostro andare. Gli addobbi, i tessuti, i colori, l’armonia del tutto non finisce di stupire.
Domani sarà il “Big day”
La quota ora rende difficile il riposo di qualcuno, si fa strada qualche pensiero. All’ultimo campo si respira tanta emozione.
Domani sarà il “Big day” come lo ha definito la nostra guida. Raggiungeremo il passo Larkya La a 5150 metri con un dislivello in salita di circa 800 metri e 1500 in discesa per raggiungere il campo dove pernotteremo.
A mezzanotte esco dalla tenda ma non vedo le stelle che splendide ci erano state compagne sino ad allora. C’è già qualche centimetro di neve. Vedremo alle quattro, ora della sveglia. La guida conferma la partenza e così affrontiamo la giornata più impegnativa con vento e neve.
Sotto il passo un assembramento inconsueto, strano. Arriviamo anche noi sul posto. Un portatore, non dei nostri, è quasi assiderato, gli viene dato del the caldo, gli diamo calzini, guanti, un berretto ed una coperta.
Poco distante un altro dramma stava prendendo consistenza. Un ragazzino danese, che già più in basso avevano visto affaticato, era ormai spento fra le braccia del padre. La madre, in piedi, senza più emozioni, senza più movimento.
Mauro e Paolo hanno subito avuto percezione di quanto stava accadendo. Anche per lui the caldo il mio douvet, un telo termico a riscaldare e proteggere. La nostra guida richiama alcuni portatori che dopo averlo inserito in un sacco a pelo lo trasporteranno fino al campo.
Ragazzi magnifici i portatori; posseggono una forza infinita ed altrettanta serenità. A sera lo ritroveremo al campo stupito di tante nostre attenzioni. La mamma nel restituire il douvet ringrazia il nostro gruppo con tanta commozione.
Generalmente in questa stagione il clima è buono ma oggi è andata così cogliendo più di qualcuno non adeguatamente attrezzato, ed è stato l’unico giorno di brutto tempo.
Ci riempiamo gli occhi di montagne meravigliose
Con ritmo costante raggiungiamo il passo, la neve si fa sempre più alta, è una giornata di grande impegno. Per oggi il panorama sembra precluso ma l’impresa è di quelle che si ricorderanno.
A passo costante, nonostante le condizioni impreviste, il gruppo procede compatto; sino ad ora non ci sono stati problemi e per noi non ce ne saranno neanche oggi.
La neve ormai raggiunge i 30-40 centimetri. Un numero infinito di bandiere multicolori ci appaiono e sventolano tra fiocchi di neve e le nostre sensazioni.
La foto di gruppo non sarà delle migliori ma noi siamo estremamente soddisfatti. Non solo siamo arrivati tutti insieme alla meta ma siamo stati anche di aiuto ad altri meno preparati di noi e questo ha contribuito a renderci ancora più orgogliosi nel lasciare sventolare al vento, fra tante bandiere di preghiera, il nostro tricolore. Lo abbiamo innalzato ad ogni campo, lo abbiamo reso importante agli occhi degli altri e rispettato con il nostro comportamento.
Verso sera pian piano la perturbazione lascia spazio a sprazzi di luce, le montagne riprendono forma, resiste ancora per poco una leggera foschia le cime ci appaiono nel loro splendore. Il sole ormai al tramonto ci manda questo saluto, ci onora lasciandoci vedere quello che sino dalle prime ore di marcia era il nei nostri desideri.
Ci riempiamo gli occhi di montagne meravigliose, montagne severe tra i 7000 e gli 8000 metri.
Sono sereno, contento. Uomini e donne, generosi nel cuore, insieme hanno saputo superare le difficoltà di un grande giorno.
Riguardiamo all’itinerario di discesa reso infido e difficile dalla neve ed assieme ai portatori, ormai a compimento del loro sforzo, raggiungiamo la morena e quindi il campo. Bello ed entusiamante questo momento; rappresenta il coronamento dei nostri piccoli sogni, del desiderio di onorare i 120 anni della nostra Sezione.
Very Nepali man
E’ buio quando seduti sotto la tenda adibita a sala mensa festeggiamo con una bottiglia di rhum offerta dalla nostra guida Deu.
Siamo rimasti sempre insieme, in coda, durante la lunga e faticosa discesa, attenti ai più stanchi, e lui premia questo impegno con una frase che mi commuove “Very Nepali man”.
Di questo gruppo certamente ricorderà l’affiatamento, la preparazione, la simpatia e la capacità di affrontare le difficoltà con lo spirito che è proprio dei montanari.
Siamo tutti presi dalle nostre intense sensazioni, dagli avvenimenti, dalla fatica, dall’intima soddisfazione di aver raggiunto e superato un traguardo importante. Guardo al giovane che poco ha frequentato la montagna, al settantenne che ha compiuto una bella impresa, all’alpinista allenato, a chi per la prima volta frequentava l’ambiente himalayano e mi rendo conto che per ognuno questa rimarrà una giornata memorabile.
Con Mauro, Michele e Massimo siamo finiti a dormire, ospiti di una famiglia, in un lodge ancora in costruzione un po’ fuori dal villaggio, nella quale trovano alloggio anche alcuni portatori e portatrici, in una stanza con quattro finestre mal chiuse da pezzi di naylon e listelli come si usa nei nostri cantieri. Abbiamo rimpianto la tenda. Alzandoci di notte per le solite incombenze abbiamo creato qualche momento di confusione.
I ragazzi hanno a lungo chiacchierato in cucina, vicino al fuoco, con i proprietari.
Essendo il nostro alloggio fuori mano pensavamo che al mattino non ci sarebbe stato il solito rito del the. Avremmo perso la scommessa.
All’ora stabilita ci sono venuti a svegliare Deu, Raskmar (l’aiuto guida, ragazzo simpaticissimo e sveglio), Roger, detto Ronaldo. Di persona ci hanno consegnato il the, l’acqua calda ed i portatori per i borsoni. Ci siamo vergognati di aver pensato male. Siamo stati onorati dalla presenza delle persone più importanti della organizzazione.
Qualche omaggio alla famiglia che ci ha ospitato e poi la colazione con gli altri.
Lasciamo quindi Bintang, questo paese a 3700 metri, l’ultimo, il più lontano. La giornata si presenta splendida e noi tutti avevamo l’animo leggero.
Ho ripensato al giorno precedente. Un giorno prima, un giorno dopo il freddo e la tormenta non avrebbero prodotto tutto quello che abbiamo visto. Anche un paio dei nostri portatori hanno avuto dei congelamenti alle dita ma hanno avuto il privilegio di una assistenza efficace e competente da parte dei medici, ben quattro, che facevano parte del nostro gruppo.
I monti sembrano andare a nascondersi
La discesa che segue nei giorni successivi chiude pian piano lo sguardo alla montagna. Sempre più spesso ci giriamo a cercare con lo sguardo, i paesaggi e le cime che hanno costituito l’attrattiva per questo viaggio.
I monti sembrano andare a nascondersi, in realtà il nostro sentiero divalla in un’ansa che si fa sempre più stretta. Il bosco è bello e rigoglioso. Comincio a realizzare che anche il nostro percorso si va chiudendo. Sempre ci accompagna il rumore dell’acqua.
I portatori hanno acceso un fuoco, si sono seduti all’intorno indifferenti al fumo che li avvolge, stanno insieme, uomini e donne. Sta finendo anche la loro fatica. Torneranno alle loro famiglie ritirando la paga e con la speranza anche di raccogliere una buona mancia. Meritano la nostra riconoscenza. Il loro supporto è stato fondamentale. Hanno svolto il loro compito con grande professionalità, con partecipazione, direi quasi in amicizia. Se non fosse per la difficoltà di comunicare i momenti trascorsi insieme sarebbero stati più lunghi ma a volte il solo offrire una sigaretta ha rappresentato contemporaneamente il nostro apprezzamento ed il loro sentirsi accomunati.
Lasciamo il nostro ottomila stagliato contro il cielo azzurro, gli abbiamo girato tutto intorno ed ora gli inviamo, taciturni, il nostro ultimo intimo saluto.
I ragazzi hanno ripreso le abluzioni al fiume. L’acqua per loro e un richiamo irresistibile. Questi fiumi sono però impetuosi e la cosa mi mette preoccupazione specie vedendo come vengono trasportati alcuni pezzi di legno gettati tra le acque vorticose. Non c’è speranza.
Ceniamo finalmente comodi, mangiamo carne ottimamente cucinata, fra ciò che si può trovare sul posto e quanto portato non ci è comunque mancato niente. Chi pensa di vederci tornare stanchi e smagriti rimarrà deluso.
La notte trascorre piu tranquilla del solito ed ogni volta che esco dalla tenda non posso fare a meno di alzare gli occhi al cielo.
L’ambulatorio pediatrico in memoria di Giuliano De Marchi
Sull’ultimo tratto di sentiero i bambini cantano le loro filastrocche, ci sono sempre ricorrenze e cerimonie ed ottobre è un mese ricco di celebrazioni; passiamo i loro “territori” soddisfando la richiesta di una piccola mancia.
Vogliamo andare anche a vedere quello che si sta facendo a Kirtipur, l’ambulatorio pediatrico in memoria di Giuliano De Marchi. E’ ormai cosa fatta e costruito a regola d’arte. Vederlo materialmente ce lo fa sentire ancora più nostro e più bello.
Sono grato a Paolo per questa esperienza, agli amici del gruppo, a Mauro con il quale ho condiviso per giorni la tenda, lunghe chiacchiere e la sua filosofia. Alla guida ed ai suoi assistenti eccezzionali ed attenti ad ogni occasione, al cuoco ed ai suoi aiutanti per l’impegno, la quantità e la varietà del cibo, ai portatori ed alle portatrici con i quali giorno dopo giorno è cresciuta la conoscenza, la simpatia, l’affiatamento ed il rispetto per quel loro faticare accompagnato sempre da un sorriso.
Ecco, mi piacerebbe parlare più a lungo delle persone incontrate lungo il percorso, di quanto ho visto, di quanto ho condiviso, per quanto mi rimane.
Ritorno con gli occhi pieni di paesaggi meravigliosi
Sono partito attratto dalla voglia di scoprire gli ottomila, ritorno con gli occhi pieni di paesaggi meravigliosi e nel cuore facce di bimbi bruciate dal sole e dal vento, una cucina piccola ed accogliente, la condivisione di una pentola di patate lesse, la vivacità delle decorazioni religiose, bandiere di preghiera contro il sole, vestiti che sembrano uguali ma ognuno con qualcosa di diverso.
Intorno un’armonia che noi abbiamo perso ma che abbiamo anche dimenticato di cercare.
Sembra strana questa quiete che regna e sovrasta la difficoltà di una vita dura come noi non sappiamo neanche più immaginare.
Di nuovo i motori girano al massimo. Stiamo tornando alla nostra agiatezza mai compiuta, all’ansia per il domani, alle nostre più fioche stelle che non impreziosiscono, come laggiù, il sorriso dei semplici.
Manaslu o meglio Kutang (montagna dello spirito), già nasce la voglia per un altro viaggio.
Foto gallery di Marino Casagrande
Note sul trekking intorno al Manaslu
– Il trekking si è svolto intorno al Manaslu, dal 7 al 29 ottobre 2011. Il Manaslu (8163 m) è l’ottava vetta del mondo, la prima ascensione è stata compiuta dal versante nord il 9 maggio 1956 da parte di una spedizione giapponese).
– 17 giorni effettivi di trekking con partenza da Arughat, per la valle del Buri Gandaki al passo di Larkya La e rientro per valle del Dudh Khola a Bulbhule.
– Percorsi circa 180 km e superato un dislivello circa 9000 metri.
– Permanenza a Katmandu e visita ai luoghi sacri e caratteristici: Durbar square, Swayambunath, Pashuputinath, Boudinath, Baktapur.
– Organizzazione: Paolo Grosso (ISA, CAI Belluno).
– Agenzia di supporto: Himalayan Glacier Trekking – Thamel Kathmandu.
– Partecipanti: Ortensia Baggio, Marino Casagrande, Massimo Casagrande, Michele Casagrande, Mauro Ciotti, Federico De Luca, Luciano Fontanari, Pierluigi Fregona, Paola Gavagnin, Paolo Grosso, Antonio Lante, Daniela Mangiola, Valeria Mondardini, Eugenia Scano, Roberto Tormen, Cristina Trento.