Quota 1686. Salita da Sud Ovest dell’anticima più occidentale del monte Giavons, gruppo Caserine-Cornaget, Dolomiti di destra Tagliamento (D. dx T.), foto A. Fiorot

Quota 1686. Salita da Sud Ovest dell’anticima più occidentale del monte Giavons, gruppo Caserine-Cornaget, Dolomiti di destra Tagliamento (D. dx T.), foto A. Fiorot

Da attento lettore delle guide del CAI TCI, mi ha sempre incuriosito che gli Autori, per taluni itinerari, utilizzano la dicitura itinerario sconsigliato, che è un giudizio netto e tranciante, senza possibilità di discussione. Perché allora menzionare tali percorsi?
Forse per la valenza storico-antropologica? Per l’importanza dei nomi degli apritori? Per un quadro più completo della montagna oggetto della trattazione? Quante domande!
Quando ero alle prime armi – non che ora sia un gran esperto – mi chiedevo pure su che base e con quale metro di giudizio venisse emessa questa sentenza. Ovviamente l’unico modo per saperlo era il percorrere questi itinerari. Però: quali capacità mi richiedevano? Che tipo di preparazione?
A lungo ho sognato di poter fare uno di questi percorsi e a lungo ho dovuto attendere, maturando pian piano esperienza, capacità e… coraggio!
Sì coraggio. Percepivo che gli itinerari sconsigliati dovevano differire da quelli, invece consigliati, dalla impossibilità di proteggersi. Infatti ciò che li accomuna è la mancanza di chiodatura, citata invece nelle altre vie. Da dire inoltre che gli itinerari sconsigliati non vanno oltre il secondo grado, difficoltà che nella tradizione della maggioranza degli alpinisti non abbisogna di protezione alcuna.

Oscure fatiche, rischi inutili e monti anonimi

Dunque è la tipologia del terreno che crea le condizioni per sconsigliare certi percorsi. Penso a un migliaio di metri di dislivello con tanti mughi; a pendii erbosi ripidissimi con roccette instabili; a boschi in piedi interrotti da fasce rocciose piene di loppe; a creste marce, canaloni viscidi, traversi da brivido.
Infine ne ho percorsi alcuni di questi vituperati itinerari: non posso essere che d’accordo con il giudizio del compilatore. Dirò di più.
Ora che guardo alle mie povere realizzazioni, con sorpresa mi rendo conto che un probabile Autore di guide del CAI le definirebbe, senza carità cristiana, itinerari sconsigliati.
A forza di prepararmi psicologicamente ad affrontare gli itinerari sconsigliati mi trovo ora ad esserne un maniaco, tanto da aprirne a mia volta alcuni.
Invece di allenarmi per le difficoltà su roccia, impratichirmi delle manovre d’assicurazione, trovarmi un compagno fidato, insomma arrampicare divertendomi, ho deviato dalla retta via per precipitare in oscure fatiche prendendomi rischi inutili. Per giunta questa tipologia di itinerari sono tipici dei monti più anonimi, per cui non servono assolutamente per crearmi un curriculum di rispetto.

Non sono un Alpinista e nemmeno un Escursionista

Ecco allora che capisco con quale metro di giudizio si definiscano sconsigliabili alcuni percorsi:
a) la roccia è poca e pure non solida
b) i pendii erbosi sono ripidissimi
c) molta parte del percorso è tra vegetazione inestricabile
d) difficoltà tecniche modeste
e) impossibilità di proteggersi.
Se ne deduce che il mondo dell’Alpinismo, di cui le Guide CAI TCI sono la bibbia, aborra le caratteristiche su menzionate, preferendo difficoltà maggiori (con conseguente uso di protezioni). Solo per andare agli attacchi talvolta si sopportano tipologie di terreno con caratteri sopra elencati. Mi accorgo per deduzione logica di non essere un Alpinista. Che cavolo sono?
Non che questa domanda non mi faccia dormire: ho sempre guardato all’Alpinismo come a un mondo mitologico, inarrivabile, pieno di gente fortissima, nel cui ambito non sarei mai potuto entrare.
Sono un Escursionista? Questa definizione mi calza di più. In effetti io cammino, dal fondovalle alla vetta, per lo più cammino; qualche tratto arrampico, sul facile. Non conosco però molti altri Escursionisti par mio; trovo difficilmente qualche compagno, vengono con me qualche volta – più spesso una sola – e poi non si fanno più vedere; a distanza di tempo so di loro che si sono arruolati nell’Alpinismo e deridono il mio modo di andare in montagna. Oppure ritornano alle escursioni a cui erano abituati, coi segnavia e i rifugi e la birra.

Sconsigliatamente libero

Resto solo col mio tarlo nel cervello. Salgo la montagna per gli itinerari classici, poi la guardo da tutti i lati e scovo linee di salita che nessuno leggerebbe: costoni, canaloni, pareti miste, spigoli; non devono essere verticali, so già che non passerei; piuttosto erbosi o pieni di mughi. Faccio una o più uscite preventive per capire come andare all’attacco; e poi parto. A volte mi riesce, a volte vengo respinto da difficoltà superiori alle mie capacità.
Quando arrivo in cima per una via ideata da me e faticosamente voluta, le sensazioni di appagamento, autostima, grande gioia, non sono quelle che può avere un Escursionista che sale una via classica, né quelle di un Alpinista che ripete una pur difficile via (conosco entrambe le gratificazioni); solo un apritore di vie può sapere di che parlo.
Ma siamo sempre lì: non conosco nessun apritore di nuove vie che non utilizzi i mezzi d’assicurazione.
Per cui oltre alle emozioni della riuscita di un’impresa mi godo anche la graditissima sensazione d’orgoglio per avercela fatta solo con le mie capacità, senza aiuti artificiali.
Libero. Sconsigliatamente libero!

Ritorno all’alpinismo romantico, l’alpinismo dei primi esploratori delle Alpi orientali

Questo che hai appena letto è una specie di manifesto del mio modo di affrontare la montagna. Non è una novità, piuttosto un ritorno al vecchio alpinismo romantico, l’alpinismo dei primi esploratori delle Alpi orientali, Jhon Ball, Lothar Patèra, Julius Kugy, Arturo Ferrucci.
A quei tempi si saliva dove era possibile, sulle tracce dei cacciatori o cercando linee a misura d’uomo. In seguito con il desiderio di conquista ci si è rivolti sempre verso il più difficile, inevitabilmente aiutandosi con la tecnologia: è nato l’Alpinismo quale oggi lo si intende.
Il terreno della mia attività è quello che gli inglesi definiscono scrambler, cioè misto vegeto-minerale, dove si cammina e a tratti si arrampica. Lo scrambler ha anche i suoi gradi di difficoltà e prevede la conoscenza e l’uso dell’attrezzatura alpinistica: manovre di corda per assicurazione e calate. Personalmente, per restare fedele ai proto alpinisti ho deciso di non avvalermi delle attrezzature, arrivando fino a dove le mie capacità lo permettono, evitando quindi di forzare i passaggi. Sono un convinto assertore che la tecnologia ci ha disabituati a un miglioramento delle nostre capacità e che il limite di ognuno è quello che si riesce a fare non assicurati.
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per maggiori approfondimenti:
http://latanadellorso.altervista.org
http://www.latanadellorso.altervista.org/Pensieri%20di%20Bosco/prealpi.html

Quota 1686. Salita da Sud Ovest dell’anticima più occidentale del monte Giavons, gruppo Caserine-Cornaget, D. dx T

Quota 1686. Salita da Sud Ovest dell’anticima più occidentale del monte Giavons, gruppo Caserine-Cornaget, D. dx T

a sx: Thengia de Bortoluth, gruppo Caserine-Cornaget, D.dx T.; a dx: canalone Est a Cima de Bortoluth, gruppo Caserine-Cornaget, D. dx T.

a sx: Thengia de Bortoluth, gruppo Caserine-Cornaget, D.dx T.; a dx: canalone Est a Cima de Bortoluth, gruppo Caserine-Cornaget, D. dx T.

Via Capezzagna del Drugo, per parete Sud di Cima Podestine (2281 m); gruppo Caserine-Cornaget, D. dx T.

Via Capezzagna del Drugo, per parete Sud di Cima Podestine (2281 m); gruppo Caserine-Cornaget, D. dx T.

a sx: via 3 re al M. Giavons, gruppo Caserine-Cornaget, D. dx T. (ph. A. Fiorot); a dx: Cenglòn dai Salvadis a Cima Cappena (1925 m) per parete Sud Ovest, gruppo Caserine-Cornaget, D. dx T.

a sx: via 3 re al M. Giavons, gruppo Caserine-Cornaget, D. dx T. (ph. A. Fiorot); a dx: Cenglòn dai Salvadis a Cima Cappena (1925 m) per parete Sud Ovest, gruppo Caserine-Cornaget, D. dx T.

a sx: erba (Via da la Bisa al M. Dosaip, gruppo Caserine-Cornaget, D. dx T., foto S. Castenetto): a dx: ‘ndemo zo de qua (spigolo Sud del M. Rossa, gruppo Raut-Resettum, Prealpi di destra Tagliamento, foto di M. Camponogara)

a sx: erba (Via da la Bisa al M. Dosaip, gruppo Caserine-Cornaget, D. dx T., foto S. Castenetto): a dx: ‘ndemo zo de qua (spigolo Sud del M. Rossa, gruppo Raut-Resettum, Prealpi di destra Tagliamento, foto di M. Camponogara)

Giorgio Madinelli autore del post

Giorgio Madinelli | Esploratore dei greppi. 3° classificato al Blogger Contest.2015.

6 commento/i dai lettori

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  1. Gabriele il4 giugno 2017

    Mi piace molto questa filosofia, un andare in montagna diverso dal classico modo proposto in questo periodo. Alcune volte mi riconosco nel tuo modo: “si passerà dal li? Ma si dai che vado a vedere. Se non si passa mi tengo il margine per tornare indietro.”
    Un approccio esplorativo, appagante quando si trovano linee di salita inusuali.

  2. gilberto il30 aprile 2016

    anche da parte mia un sincero complimento, in effetti è la prima volta che sono posto di fronte a questa visione della montagna. in base alle mie esperienze, ora avrei un pò paura di perdermi e non ridiscendere facilmente da dove sono risalito.

    • Giorgio Madinelli
      Giorgio il1 maggio 2016

      Per ridiscendere facilmente puoi lasciare delle fettucce di cotone (un vecchio lenzuolo fatto a striscioline). Se ridiscendi le puoi togliere; se scendi da altra parte le puoi lasciare che sono biodegradabili.

  3. Andrea il10 febbraio 2016

    bell’articolo! sarebbe un onore per me se passassi a dare uno sguardo alle mie foto.. http://www.facebook.com/thegramcounter

  4. Massimo Bursi il9 febbraio 2016

    Mi piace molto questo antico modo di andare in montagna e Giorgio lo scrive molto bene – http://flashdialpinismo.wordpress.com

  5. Giovanni il7 febbraio 2016

    Caro Giorgio,mi ritrovo in quel tuo andare per Monti. Nella difficoltà di condividere con altri lo spettacolo che ogni volta la natura ci offre,ma apprezzo questa solitudine che mi permette il sentire l’orchestra dei suoni della montagna.

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