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 “InCanto. Vita selvaggia nelle Dolomiti Bellunesi” e’ opera di due fotografi bellunesi: Bruno Boz  e  Giacomo  De  Donà.
Il volume e’ uno splendido viaggio  per  immagini, che racconta la vita più selvaggia e nascosta delle  Dolomiti Bellunesi: dal Piave ai grandi altopiani carsici d’alta quota, alla scoperta di un mondo bellissimo  ed incontaminato, con oltre 160 scatti impreziositi da testi del biologo e fotografo Bruno D’Amicis, del Direttore del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, Antonio Andrich, degli esperti di fauna selvatica Michele Cassol e Mauro Varaschin.

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Familiarità, distanza e InCanto
La prima sensazione che ho provato sfogliando le pagine di InCanto, la creatura di Bruno e Giacomo, poche ore dopo che Giacomo “Jack” me l’aveva consegnata, potrei definirla di familiarità. Riconosco e chiamo per nome i soggetti delle fotografie. Alcuni di questi, animali e fiori, non sono difficili da incontrare quando si frequenta le Dolomiti. Ma c’è qualcos’altro… riconosco proprio le foto. Non perché le abbia già viste nella bozza di stampa, quanto perché di alcune conosco gli aneddoti, i retroscena, i tentativi falliti e riusciti. Se mi sforzo un po’ riesco anche a ricordare alcuni momenti in cui ho sentito Jack parlare dei suoi animali.
La seconda sensazione è stata paradossalmente opposta, ed ha a che fare con la distanza. La distanza che c’è tra il fotografo e l’animale, quasi mai colto in primo piano, spesso ritratto con discrezione, con pudore, con rispetto. Gli animali che emergono dalle pagine sono attori che si muovono con disinvoltura su un palco arricchito da una scenografia straordinaria: il paesaggio delle Dolomiti Bellunesi.
Tuttavia, e siamo alla terza sensazione, quella che mi ha convinto della buona riuscita di questo lavoro, riguarda il titolo del libro. La familiarità dei soggetti, velata da una distanza con l’essere umano che appartiene comunque al mondo dei selvatici, non cancella ma addirittura aumenta l’intimità con la natura da cui ci si sente, dopo alcuni istanti che si osserva la fotografia, completamente avvolti e di fronte alla quale, inevitabilmente, si prova un senso di InCanto.
Decido quindi di chiedere a Giacomo De Donà se queste sensazioni sono solo mie o se, in qualche modo, erano già dietro l’obiettivo della fotocamera.

Copertina del volume InCanto (192 pagine a colori, copertina cartonata, 23,5×30, edizioni DBS, 2015), con gli autori: Giacomo De Donà (in alto) e Bruno Boz.

Copertina InCanto (192 pagine a colori, copertina cartonata, 23,5×30, edizioni DBS, 2015), con gli autori: Giacomo De Donà (in alto) e Bruno Boz.

Giacomo, so che tu e Bruno avete fortemente desiderato, pianificato e portato avanti questo progetto. Ora che è diventato realtà, quante volte al giorno sfogli la vostra creatura?

Un libro, per un fotografo, è sempre il traguardo di un progetto e una grande soddisfazione. Da quando Bruno ed io ci conosciamo (6 anni ndr) abbiamo sempre lavorato assieme con questo progetto in testa. Amiamo entrambi il libro come forma completa per trasmettere un messaggio. Effettivamente ogni tanto lo sfoglio, soprattutto rileggo volentieri i testi e le foto sulla carta sono sempre un piacere per gli occhi. Per ora resta in bella mostra sul tavolo della sala.

Fiocchi di neve sospesi in aria, rivoli d’acqua solidificati, lembi di nebbia imprigionati tra gli alberi, becchi e musi rivolti al cielo, ali spiegate in controluce. Le vostre immagini sono tutto fuorché statiche e trasmettono la dinamicità della natura. Ci si aspetta la continuazione della storia alla pagina successiva. Scegline una dal libro e raccontaci come va a finire.
Tante sono le foto con una storia particolare, alcune sono forti per la loro semplicità e il caso che ha portato alla loro realizzazione. Altre hanno richiesto qualche sacrifico in più. Altre ancora celano aneddoti ed esperienze parallele particolari. Eravamo distesi immersi nella “loppa”, su un terreno inclinato, tanto che la distanza degli occhi dal suolo non superava la spanna. Saliti con il chiarore dell’alba ci siamo nascosti tra teli mimetici e capanni legati alle eriche e a giovanissimi pini silvestri. Davanti a noi un faggio, dietro al faggio il vuoto e il fragore di una cascata. Ad un tratto ecco il trillo e il grande picchio nero arriva al nido aggrappandosi al tronco. Entra nel buco, si sentono i pulli, esce e vola via. Siamo felici che il nostro nascondiglio non abbia suscitato diffidenza. Passano le ore, il sole di maggio ormai caldo infuoca l’aria, lì sui versanti aridi. É impossibile ormai togliersi gli indumenti pesanti, il picchio potrebbe tornare. Niente, noia. Un debole fruscio e guardo in basso, eccola salire, la viperozza, poi viperona! Passa a fianco di Bruno e taccio, passa vicino al mio piede e blocco i muscoli, prosegue di lato al mio sguardo e mi gelo per un istante infinito. Passa. Resto meravigliato e ipnotizzato dal suo occhio, era la prima volta così vicino ma in fin dei conti perché mai avrebbe dovuto attaccare? Lo sussurro a Bruno che invece si volta quasi avesse visto un fantasma.

Alcune di queste foto possono sembrare dei colpi di fortuna (spesso però la fortuna arriva solo al termine di lunghi appostamenti. Spesso invece si tratta di attente ricerche). Quanto conta la conoscenza della biologia e dell’ecologia di piante ed animali nel tuo lavoro?
Tutto quello che hai detto è essenziale. Parliamo di fotografia della natura, per cui la macchina è uno strumento che consente di fermare gli istanti di quello che succede là fuori, ogni giorno. Prima di questo, amiamo osservare gli animali e vivere a stretto contatto con loro, nel loro ambiente, studiarli per via diretta, ma il meno invasivi possibile. Per fare ciò spesso capita di rinunciare ad una foto se avvertiamo segnali di stress. I tempi sicuramente si allungano e spesso si torna a casa a mani vuote, ma circondati come sono dalle nostre attività, gli animali meritano tutta la nostra attenzione. Conoscere il loro comportamento ci permette di evitare il più possibile il disturbo e conoscere il loro ambiente di prevedere i loro spostamenti.

Dietro molte di queste foto ci sono storie di appostamenti infiniti e snervanti, credo anche frustranti quando si torna a casa senza un buon scatto. Raccontaci una delle esperienze più emozionanti che hai inserito in questo libro.
Qui nelle Dolomiti Bellunesi fotografare è difficile, gli animali sono in perenne allerta e anche se gli spazi ridotti dovrebbero giocare a nostro favore, li rende poco prevedibili ed estremamente disturbati. Pazienza e attesa sono la chiave. La noia durante gli appostamenti più lunghi ogni tanto pesa ma il numero di uscite a vuoto è la cosa più difficile da digerire. L’idea di mollare è sempre pronta ad assalirti.

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E ora raccontami come hai incontrato il gallo cedrone su quel faggio.
All’improvviso ti trovi di fronte a tanto spettacolo. Hai dormito alla base di un grande faggio in una notte di primavera, sei lì dal pomeriggio precedente per abituare il luogo alla tua presenza. I giorni prima hai passato le notti in ascolto, prima in un punto, poi qualche centinaio di metri più in là, fino a quando sei riuscito a sentire quel debole canto. È una sensazione stranissima che mi ha profondamente scosso. Il gallo cedrone è quasi un animale mitologico, almeno per me, che evoca le foreste dell’ Est e del Nord Europa. Poterlo incontrare nei nostri boschi dà una dimensione irreale e lontana dalla nostra comprensione. Per rispondere alla tua domanda, alcuni luoghi si conoscono ormai per quella che possiamo tranquillamente chiamare “tradizione orale”, poi, trovare l’animale è tutta un’altra storia.

So che alcuni di questi luoghi non verrebbero svelati nemmeno sotto tortura, non tanto per gelosia, quanto per non mettere a rischio specie già abbastanza sotto pressione senza dover sopportare anche solo la curiosità delle persone. La vostra attività è di per sé impattante su questi animali. Come vi comportate per ridurre al minimo la vostra scomoda presenza?
Come hai ben sottolineato, non esiste attività umana ad impatto zero sulla fauna selvatica, la fotografia non fa eccezione. La ricerca diretta dei soggetti è motivo per loro di stress, soprattutto per quelle specie il cui approccio richiede l’avvicinamento in periodi dell’anno per loro delicati quali l’accoppiamento, per questo abbiamo deciso di non frequentare più alcune “arene”. Ne fanno parte i tetraonidi in primis, nostri soggetti d’elezione ma in forte declino. Poter condividere quei brevi momenti con queste ed altre specie, richiede pazienza e tempo, non esiste la foto facile e comoda, anticipare la fase di scatto è il primo passo, posticipare la ritirata il secondo, nascondersi bene il terzo. Cerchiamo quei luoghi che siano un piccolo  compromesso tra la possibilità di nascondersi per noi e la possibilità di fuga del soggetto. Potremmo chiamarla, una distanza di sicurezza.

Dalla porta di casa alle cime delle Dolomiti, in questo libro c’è tutta l’enorme ricchezza paesaggistica delle Dolomiti Bellunesi, ma in quale ambiente ti senti più a tuo agio?
Domanda difficile in realtà. Ogni ambiente ha il suo fascino e nasconde un animale che lo caratterizza. L’alta quota è quello che più mi stuzzica e mi conduce alla sfida, sarà il clima più severo, il vento e l’impossibilità di ripararsi che mi attraggono. Il fiume ti isola dai rumori dell’uomo e ha vita propria, la campagna ha il fascino del quotidiano incontro con la fauna. Ma la foresta, quella si che dà i brividi, dentro di essa tutto si somma. Quando la foresta lascia spazio alla quota poi è l’apoteosi di sensi ed emozioni.

Sei un uomo del Nord, freddo e neve sono il tuo ambiente ideale, ma qual è la stagione che preferisci per fotografare in Val Belluna?
Se amo così profondamente gli ambienti selvaggi del grande Nord lo devo proprio alla Val Belluna. Può sembrare assurdo ma è così. La vicinanza alla montagna rende il clima più fresco e le precipitazioni abbondanti. A pochi passi dalle nostre case, l’incontro con animali incredibili come i tetraonidi o i rapaci notturni come la civetta nana o la civetta capogrosso danno il sapore di terre selvagge. In poco spazio zone umide, campagne tradizionali e foreste. L’ampia vallata poi lascia che il sole tramonti il più basso possibile sull’orizzonte regalando alla parte Nord della conca, quella luce rada e calda che ci riporta agli scenari nordici. In poche parole, autunno e inverno sono le stagioni con la luce migliore. In primavera tutto accade e in estate l’abbondanza di luce permette di vivere la natura a qualsiasi ora.

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Il risultato di questo lavoro va diviso equamente tra te e Bruno, anche se la vostra è una passione spesso solitaria, in cui la condivisione avviene dopo l’azione. Vi capita anche di fare foto insieme?
Poco fa hai citato la gelosia. In effetti il fotografo tende ad essere protettivo verso le sue scoperte ed è un animale territoriale. Per la maggior parte dei casi siamo soli, abitiamo ai due estremi della valle e questo aiuta a conoscere meglio il territorio. Anche gli animali subiscono uno stress minore in quanto non ci si concentra solamente su “una scoperta”. Andare a fotografare in coppia è spesso difficile se non si persegue uno scopo e una visione comune. Con Bruno c’è stata un’intesa particolare in tutta la fase del lavoro, dalla pianificazione, quindi per esempio la scelta del meteo per entrare in azione, fino alla tecnica compositiva. Questo ci permette di muoverci come un solo essere, cosa non scontata. La ricerca spesso avviene in solitaria, la quale porta alla fotografia di paesaggio in cui ognuno ha i suoi ritmi, dopodiché ci accordiamo per i primi tentativi di appostamento, quattro occhi sono meglio di due. In alcune situazioni essere in due aiuta, per esempio oltre i 2000 metri in inverno in cerca delle pernici. In altre ognuno ha bisogno dei propri spazi, adoro per esempio stare in foresta da solo.

Ad un certo punto immagino abbiate dovuto chiudere il progetto. C’è un animale che avreste fortemente voluto in questo libro ma che non siete riusciti a catturare?
Tanti, tanti animali avrebbero meritato parola! Ci è dispiaciuto non aver inserito un grande predatore come l’aquila o altri rapaci quali il gufo reale e il falco pellegrino. Mammiferi come la volpe e il tasso sono ben presenti anche vicino ai paesi ma non avevamo materiale sufficientemente adatto a seguire il percorso del libro.

Qualche anticipazione sui progetti fotografici per il futuro, a cosa stai pensando?
Gli animali sopracitati sono in lista e continueremo sicuramente la nostra ricerca di angoli e situazioni nordiche e selvagge. Altri libri, animali rari, i grandi ritorni, tutti argomenti che ci frullano in testa. Personalmente è proprio la ricerca di una simbiosi personale con il mondo naturale che mi circonda che porterò avanti, ci sono alcune zone della Val Belluna che meritano una particolare attenzione. Sono partito con un progetto più ampio che mi porterà un po’ fuori casa prossimamente, tra il Veneto e la Svezia. Cosa hanno in comune? Lo vedrete!

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Andrea Pasqualotto autore del post

Andrea Pasqualotto | Sono guida naturalistica, giornalista e viaggiatore, vivo a Belluno. Dopo gli studi di Scienze Ambientali presso l’Università di Venezia, di Reykjavik e di Roma, mi sono dedicato a progetti di conservazione della biodiversità coltivata e di sviluppo rurale. Attualmente mi occupo di educazione ambientale ed ecoturismo nelle Dolomiti Bellunesi e collaboro con alcuni giornali su tematiche ambientali ed agroalimentari.

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