Un po’ c’era da aspettarselo. Un po’ è naturale. Che dopo la tragedia del terremoto, dopo la solidarietà immediata, sarebbero arrivate polemiche e divisioni.
Ma quelle sulla nuova area commerciale di Castelluccio (il cosiddetto “deltaplano”), fanno stringere il cuore, davvero.
Vedere litigare gente che ama i Sibillini in diversi modi, che ci vive, che ci passa i momenti più intensi della propria esistenza, oppure che “ci campa”, cioè ci lavora, mette tristezza. Vedere i politici che non riescono a fare il loro lavoro, ovvero mediare i diversi punti di vista, fa rabbia.
Perché il problema a Castelluccio è, o almeno dovrebbe essere, culturale prima ancora che economico.
E’ chiaro che gli imprenditori di Castelluccio vogliono tornare a lavorare quanto prima, ed è giusto, dopo tutto quello che hanno subito e stanno subendo.
E’ altrettanto chiaro che Castelluccio non appartiene solo a loro e che bisognerebbe avere una visione lunga.
Bisognerebbe cioè discutere fin d’ora su quale tipo di sviluppo debba avere quest’area delicatissima. Nell’interesse di tutti. Di questa e delle future generazioni. Quantità o qualità?
Ma prima ancora occorre riflettere su cosa ha reso magica questa terra, quale sia il segreto della sua bellezza, quali i suoi archetipi che più o meno inconsciamente tutti i visitatori e gli abitanti percepiscono e dai quali si sentono attratti come dalle fate della Sibilla, quando arrivano lì.
Tra questi archetipi c’è sicuramente quello dell’armonia dell’uomo con la natura, il paradiso perduto: la costruzione di un paesaggio che rappresenta nel migliore dei modi l’alleanza stretta tra l’uomo e il luogo che abita. Un’alleanza sancita dalla scelta dei materiali con i quali costruire, delle pietre, del legno, dei colori, dei sapori, ma anche dei modi di stare insieme e della maniera d’ospitare.
Tutte cose queste che, francamente, poco si ritrovano nel progetto presentato dalla Regione Umbria in accordo con il Comune di Norcia e con gli imprenditori/residenti. Un progetto razionale, senza dubbio, ma proprio per questo freddo e culturalmente impattante. Perché sui piani di Castelluccio la gente, dal Guerino ai turisti di oggi, non è attirata dalla razionalità, quanto dai sogni (dagli archetipi) e dalla bellezza assoluta.
Sarà provvisorio, si preoccupa di precisare, il progettista. Ma della permanenza della provvisorietà dei post-sisma italiani abbiamo purtroppo diverse esperienze.
E allora prima di spendere questi due milioni e passa di euro per il “deltaplano”, i suoi ristoranti in serie, i negozi, i parcheggi e quant’altro, non sarebbe forse il caso di ascoltare oltre agli ingegneri anche gli antropologi e gli storici, oltre agli imprenditori, le associazioni ambientaliste, il Cai, che amano quelle montagne quantomeno come i residenti?
Si è aspettato tanto perfino per rimuovere le macerie. Qualche altro approfondimento non ritarderà il progetto dell’area commerciale, che magari però potrebbe nascere in un modo diverso, essere un modello anche per le altre zone del sisma, con altre basi, non solo di cemento, in accordo con il genius lociche non ha tremato neppure per il terremoto e che non ha alcuna intenzione di abbandonare questa terra, a meno di non esserne scacciato a forza.
2 commento/i dai lettori
Partecipa alla discussioneMi pare che il nodo dell’articolo stia nell’affermare che altre strade potrebbero essere possibili per la gestione di un tema così complesso.
Concordo che il punto, che ritengo possibile come esito, sia questo e che una scelta così vasta come impatto sulla storia, sul paesaggio, sulla cultura, di un territorio fragile e bellissimo sia dettata solo dalla volontà di fare presto e di dare delle risposte parziali.
Peccato. La fretta è cattiva consigliera anche con le migliori intenzioni.
Nessun intervento sul paesaggio è reversibile.
O si è Palladio che con le sue architetture creava paesaggio, sono esse stesse paesaggio, oppure l’approccio è molto rischioso.
Del resto Castelluccio è una comunità di 120 persone, pare quindi che il progetto, che non conosco, se non per quello che ho letto, appaia sproporzionato, quantomeno nel numero dei ristoranti visto che si parla ad esempio di dare impulso all’attività zootecnica.
Serve ricordare che ai 1.500 mq del “deltaplano” dovranno essere aggiunti i caseifici, le infrastrutture e altre opere a corollario su una superficie di 6.500 mq.
Concordo con la necessità di sostenere che la ricostruzione non può passare solo attraverso il riaprire le strade o rifare le scuole, ma rimango perplesso su una scelta così spinta (a detta di qualcuno calata dall’alto) che avrà una vita pari a quella di un generazione (25 anni almeno).
Parliamo quindi di una transitorietà che diventa fondamento.
La nota a firma di Mountain Wilderness, Gruppi Regionali Umbria e Marche, CAI Gruppi Regionali Umbria e Marche, WWF Umbria e Marche e Grig (Gruppo Intervento Giuridico), illustra puntualmente i termini del contendere, peccato non siano stati ascoltati.
Credo, con ragionevole certezza, che i 2,5 milioni di euro per la realizzazione delle opere non saranno sufficienti, ma forse non avremo mai un consuntivo su questi costi.
Il dato drammatico, e che anche qui lo tocchiamo con mano, è che tutto il mondo si sta trasformando in un grande luna park (il recente abbattimento dell’orsa in Trentino ne è l’ennesima prova) e che delle fate della Sibilla se ne potrà fare a meno perché tutto dovrà essere fugace, veloce, asettico, privo di fatica, senza appigli per una elevazione morale.
Ovviamente nel rispetto di chi sta soffrendo a causa di questo sisma.
Vittorio Giacomin
Invece di pensare a cose stravolgenti che riaprissero le strade del versante Ascolano. Nonostante le promesse è tutto interdetto a meno che non si vada a pagamento con delle organizzazioni