Brouillard, publié dans Samivel en montagne, les visions d'un amateur d'Abîmes, 1950

Brouillard, publié dans Samivel en montagne, les visions d’un amateur d’Abîmes, 1950

“… un mondo senza spazi vergini diverrebbe mentalmente inabitabile, tanto per il poeta che per l’uomo della strada, … gli uomini e più precisamente i giovani uomini hanno bisogno dei territori vergini in cui esprimersi, per non cadere nella disperazione. Non saranno le abili costruzioni esistenzialiste che li salveranno, anzi. Sono, tutt’al più, dei frigoriferi intellettuali.”

Samivel era il nome d’arte che Paul Gayet-Tancrède aveva tratto da un personaggio di uno dei suoi romanzi preferiti: Il Circolo Pickwick , di Dickens. Nato a Parigi nel 1907 e morto nel 1992 a Grenoble, visse a lungo tra le montagne della Savoia, frequentate in gioventù come alpinista di alto livello. È difficile ridurre a sintesi una personalità tanto creativa e poliedrica, i cui filoni principali sono sempre stati legati al mondo della montagna. Come disegnatore e acquerellista raggiunse la notorietà, alla fine degli anni ’30, con una raccolta di 80 disegni dal titolo Sous l’œil des Choucas ou les plaisir de l’alpinisme (1937), espressione di un modo, ironico ed idillico allo stesso tempo, di guardare al mondo delle grandi altezze e che rimase la sua cifra peculiare per tutta la vita. Una raccolta di racconti del 1940, L’Amateur d’abîmes, annoverato tra i grandi classici della montagna, ebbe numerose ristampe. Fu anche cineasta, tanto che un suo lavoro(Cimes et merveilles) fu premiato con la prima “Genziana d’oro” del festival del cinema di montagna di Trento (1952).

Tra le sue prove più riuscite di narrativa di montagna è da ricordare un romanzo che entrò in lizza per il premio Goncourt: Le Fou d’Edenberg, pubblicato nel ’67. Ma quelle ricordate sono solo alcune tra le decine di racconti, romanzi, saggi in cui si espresse la ricerca intellettuale sull’alpinismo di Samivel. Il merito maggiore di questo alpinista-intellettuale fu quello di aver colto tra i primi  i pericoli legati alla progressiva distruzione della montagna come luogo naturale e di aver denunciato da par suo gli aspetti grotteschi della “valorizzazione” dell’ambiente alpino. Fu uno dei pochi intellettuali europei, già negli anni precedenti la seconda guerra mondiale, a prendere in considerazione l’alpinismo come fenomeno culturale, facendolo oggetto di studio alla luce di un solido retroterra intellettuale. Svolse quindi un importante ruolo di teorico dell’alpinismo, partecipando , negli anni ’50, al dibattito sulla natura di questa attività, con l’apporto di profonde riflessioni di carattere storico e filosofico sui caratteri culturali e sociali che sono alla base del rapporto dell’uomo con la montagna.

Sous l’œil des Choucas (Le choucas sono le taccole) quando uscì nel ’37, portava una presentazione dell’italiano Rey, morto ormai da più di un anno. Infatti, Guido Rey, più vecchio di Samivel di quasi mezzo secolo, era una figura di rilievo europeo come cantore e poeta dell’alpinismo. Nato a Torino nell’anno dell’unità d’Italia, era un rappresentante dell’industriosa borghesia piemontese che, con la fondazione del CAI, aveva cercato di portare in un paese arretrato, qual era allora l’Italia, motivazioni culturali ispirate all’Inghilterra.

Quando morì, nel ’35, era ormai dimenticato. Non perché fosse anziano, e neppure perché la sua attività alpinistica era cessata allo scoppio della Grande Guerra, ma perché era cambiato l’alpinismo. Infatti, a partire dagli anni ’20, l’alpinismo di punta aveva cambiato sede di riferimento, trasferendosi dall’Alpine Club di Londra al  Deutschen Alpenverein di Monaco. Negli anni ’20 e ’30, da pratica riservata ai ceti elevati, l’alpinismo si era trasformato in attività diffusa anche tra i ceti impiegatizi e operai, cambiando terreno di gioco – dalle Occidentali alle Dolomiti – e, soprattutto, ispirazione culturale. I libri di Rey – Il Monte Cervino del 1904, Alpinismo acrobatico del ’14 – venivano ancora ristampati; ma l’alpinismo praticato sulla Civetta o quello degli Ultimi tre problemi delle Alpi, aveva cambiato linguaggio e poetica. Pochi tra gli alpinisti di punta erano rimasti fedeli ai modi e alle ispirazioni dei (venerati) maestri, quale era, ormai Guido Rey. Tra questi l’alpinista mantovano – e musicista e romanziere – Ettore Zapparoli che, lo stesso anno in cui Samivel pubblicò Sous l’œil des Choucas, percorse in solitaria la più bella cresta della parete Est del Rosa e rese omaggio alla memoria di Guido Rey, chiamandola Cresta del Poeta.

Insieme all’alpinismo, praticato da dilettante, Rey coltivò la fotografia, dedicandosi soprattutto al genere pittorialista, che tendeva a riprodurre in fotografia celebri quadri con effetti di tableaux vivants. Questa attività gli procurò fama internazionale e numerosi riconoscimenti in tutta Europa.

Guido Rey sulla cresta sud del Cimon della Pala (ph. Ugo de Amicis)

Guido Rey sulla cresta sud del Cimon della Pala (ph. Ugo de Amicis)

Fu molto amico di Edmondo De Amicis , scrittore di fama, autore del celebre Cuore, e di suo figlio Ugo (1879 – 1962) con il quale formò una cordata molto affiatata che si espresse particolarmente sul Cervino. De Amicis padre firmò l’introduzione al libro dedicato al monte in cui trovava compiuta espressione la sua poetica dell’alpinismo: Il Monte Cervino. Il suo alpinismo si espresse anche in Dolomiti, a partire dal 1910, sempre in compagnia di Ugo e con guide famose, come Tita Piàz, Bettega e Zagonel. Queste esperienze vennero raccolte in un altro libro di grande successo: Alpinismo acrobatico. Allo scoppio della guerra vestì volontariamente la divisa nonostante i 55 anni e si prodigò in qualità di autista e barelliere fino a che  un grave incidente d’auto gli tolse definitivamente la possibilità di compiere ascensioni. Tuttavia non abbandonò del tutto la montagna e, fino a quando le sue condizioni di salute glielo consentirono, trascorse le sue estati in una casetta che aveva costruito al Breuil, di fronte al monte prediletto. Del resto, già nella descrizione della salita alla Pala di S. Martino, aveva espresso questa intenzione:

Quando mi saranno chiuse le dure porte alle quali tante volte battei coll’acciaio della picca, coi calzari ferrati, col pugno e colla fronte, mi rimarrà ancora sulla soglia, ostinato a contemplare dalle mura le alte vetrate di cristallo che s’accendono sui rosei templi al primo raggio [Da Alpinismo acrobatico, 1914].

La poesia che qui sotto riportiamo – con traduzione a fianco – scritta da Samivel in morte di Guido Rey, fu pubblicata dalla Rivista Mensile del CAI nel 1936. Crediamo sia importante riportarla all’attenzione dei frequentatori della montagna, oltre che per il suo intrinseco valore letterario, anche come testimonianza di un travaglio che investiva, negli anni della corsa alle Grandes Jorasses e alla Nord dell’Eiger, gli spiriti più sensibili.

Epitaphe pour Guido Rey

Quand le vent s’enfuira le long des parois mortes
ou les anneaux de l’an passé
avec les brumes s’effilochent …

Ivre et rapide et gonglé de joie
quand le beau vent galopera du Nord,
hardi seigneur bardé de gel et franchira
d’un bond la cime écumante …

Quand l’aube naitra, sourire
sur le visage d’un rêveur
dénouera l’arète en coquille …
et les rocs; tirés du fourreau
de l’ombre, jailloiront nus
contre le ciel dure t courbe
brandis pour le rude assaut …

Vous irez, conquérants allegre de l’Éspace!
Et vos désirs seront, comme un arc, bandés
vers  le Large où luira le fil d’Ariane …

Quand le Midi, lourd Moloch, broiera la cime inerte …
Quand l’eau ruissellera sur la face tannée
De vieux granits où  le nuage fleurira.
Quand  les blocs buteront dans le couloir qui gronde …

… Et, sifflant, trancheront l’abîme trop étroit,
noirs  oiseaux de métal, les choucas au bec lisse …
Quand la neige enchantée lancera ses fuseaux
Lents dans le pâle silence …
Souvenez vous! … Dés le commencement du monde
Ces choses n’attendaient qu’un peu d’amour ..

Puis un jour est venu le Poète vanqueur.

Samivel

  Epitaffio per Guido Rey

Quando il vento fuggirà lungo le parerti morte
Dove i cordini dello scorso anno
Si sfilacciano con le nebbie …

Quando il buon vento del nord verrà galoppando
Ebbro, rapido e gonfio di gioia,
ardito signore bardato di gelo e con un balzo
supererà la cima schiumante …

Quando l’alba nascerà, sorriso sul volto di un sognatore,
e muterà la cresta in conchiglia …
e le rocce, tratte dal fodero
d’ombra, si ergeranno nude
contro il cielo duro e curvo
pronte per il rude assalto …

Allora partirete, allegri conquistatori dello spazio!
E i vostri desideri, come un arco, saranno tesi
Verso il Largo dove risplenderà il filo d’Arianna …

Quando il sole di mezzogiorno, greve Moloch, disgregherà la cima inerte …
Quando l’acqua ruscellerà sui vecchi graniti
Cotti dal sole, su cui fiorirà una nuvola.
Quando i blocchi rotoleranno nel canalone che rimbomba …

… E sibilando, correranno l’abisso troppo stretto,
neri uccelli di metallo, corvi dal becco liscio …
Quando la neve incantata scaglierà i suoi cristalli 
Lenti nel pallido silenzio …

Ricordate! … Dall’inizio del mondo
Queste cose non attendevano che un poco d’amore …

Poi un giorno è venuto, vincitore, il Poeta.

Samivel

Una composizione poetica in cui si incontrano due figure – Samivel e Guido Rey – di grande rilievo nel panorama culturale europeo, troppo sommariamente archiviate da un mondo alpinistico che presenta un orizzonte temporale assai ristretto, che sembra ignorare che l’interpretazione dei fenomeni sociali del presente può essere illuminata dai grandi del passato.

In un impegnativo articolo pubblicato in due puntate su Alpinisme, rivista del Club Alpin Français, [“L’alpinisme et son énigme”, Alpinisme, N° 101 e 102, 1952], Samivel condusse uno studio approfondito sulle radici sociali e culturali dell’alpinismo – nell’accezione che connotava il termine mezzo secolo fa – che rimase un riferimento obbligato per tutti coloro che si occuparono in seguito dello stesso tema. In primo luogo per Giampiero Motti e per Bernard Amy. E’ anche per merito di Samivel se si è diffusa la consapevolezza che l’alpinismo è proiezione concreta di una realtà concettuale ed ideologica. Un’affermazione colpisce già come premessa all’analisi di Samivel, connotata quasi da una valenza profetica, se si considera l’epoca in cui venne scritta:

«Si può dichiarare apertamente che un mondo senza spazi vergini diverrebbe mentalmente inabitabile, tanto per il poeta che per l’uomo della strada, in conformità a bisogni psicologici in relazione ai quali è necessario constatare che il periodo storico in generale e i tecnici in particolare rivelano la più crassa ignoranza.
Ripetiamo: gli uomini e più precisamente i giovani uomini hanno bisogno dei territori vergini in cui esprimersi, per non cadere nella disperazione. Non saranno le abili costruzioni esistenzialiste che li salveranno, anzi. Sono, tutt’al più, dei frigoriferi intellettuali.»

Dessin de Samivel, Sous l’œil des choucas ou les plaisirs de l’alpinisme, Librairie Delagrave, 1932, page 19

Dessin de Samivel, Sous l’œil des choucas ou les plaisirs de l’alpinisme, Librairie Delagrave, 1932, page 19

Ledo Stefanini autore del post

Ledo Stefanini | Docente di fisica all'Università di Pavia (sede di Mantova), studioso di storia dell'alpinismo.

2 commento/i dai lettori

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  1. gio il21 dicembre 2014

    poesia e storia si intrecciano esaltandosi a vicenda. imperdibile!

  2. lela il1 luglio 2014

    Davvero interessante

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