Day5: Ultimi passaggi in arrampicata verso Cala Sisine, l'esposizione e il panorama tolgono il fiato

Day5: Ultimi passaggi in arrampicata verso Cala Sisine, l’esposizione e il panorama tolgono il fiato

mappa selvaggio blu_01
Selvaggio Blu e la bellezza delle cose da salvare

Nell’ultimo anno ho scritto diversi pezzi per altrettanti blog, sono stato ad osservare le reazioni e i feedback e mi sto convincendo di una cosa: raccontare i sentimenti così come nascono è come piantare il seme di una bellissima pianta. Quando però introduco un giudizio, mi soffermo su limiti, divieti, visioni più o meno puriste, ecc., ecco che il sentimento che avevo messo tutt’attorno muore e arrivano le polemiche, le critiche, le incomprensioni e mi sento come se avessi usato il diserbante per far crescere meglio la pianta. Ecco perché ora voglio provare a soffermarmi più sulla bellezza delle cose da salvare che sul pericolo di perderle. Romanticismo? Utopia? Paura del giudizio? Mah… In un periodo in cui avidità ed egoismo sembrano prevale (non in tutte le persone, per fortuna), nessuno si spaventa più di nulla. Siamo troppo abituati all’uso della retorica e alla fine nessuno muove un dito per difendere qualcosa che non gli appartiene o che sente distante dal loro orticello. Per questo vorrei fare leva su questi sentimenti come avidità ed egoismo. Sono convinto che dando la possibilità di “avere qualcosa che non hai mai avuto”, di “vedere qualcosa che non hai mai visto”, di “provare qualcosa che non hai mai provato”, forse le reazioni cambieranno. — Mattia Bonanome

Day5: accudendo il fuoco a Cala Sisine

Primo giorno

Sono le dieci di sera, ho la sciatica da mezzi pubblici e forse pure una mezza febbre.
Ci sono volute dieci estenuanti ore per portare il nostro culo dalle pianure venete fin quaggiù tra le sterpaglie del Gennargentu. Stamattina guardavamo pioggia e nebbia dal finestrino di un autobus della SITA e ora siamo distesi proprio in mezzo a un sentiero a guardare le ultime luci illuminare il profilo affilato della Guglia di Pedra Longa.
Ho un sassolino che mi dà fastidio proprio tra pollice e indice del piede, ma si può?
I quattro chilometri tutti d’un fiato fatti subito dopo aver mangiato una pizza a Santa Maria Navarrese sono filati manco il tempo di un déjà-vu. Il sintomo è evidente: c’è voglia di avventura, c’è voglia di natura selvaggia e c’è pure un po’ di emozione, di quella bella, sana, affascinante.
Novembre è un mese ricco di sorprese ma per coglierle bisogna mettere la testa fuori da casa. La Sardegna in questa stagione mostra il meglio di se: acque ancora calde, sole splendente, pochi, pochissimi turisti e prezzi ragionevolmente più bassi.
Io e Carlo Cosi ci troviamo all’inizio del Selvaggio Blu, considerato uno dei trekking più difficili d’Italia. Si tratta di un percorso che si snoda per circa 50 km e partendo da Santa Maria Navarrese costeggia il versante est dell’isola fino quasi a Cala Gonone.
Gli ideatori del trekking sono stati due intraprendenti toscani, Mario Verin e Peppino Cicalò (quest’ultimo di origini sarde), che sul finire degli anni ’80 avevano iniziato l’esplorazione sistematica dei sentieri abitualmente utilizzati da pastori e carbonari per attraversare bacu, valli e cenge costiere.
Lo scopo di Verin e Cicalò era quello di creare un percorso che riuscisse valorizzare un’area ed una cultura rurale che altrimenti era destinata a perdersi, avvicinando di fatto il mondo dei trekkers alla essenziale e selvaggia realtà del luogo. In questo modo rivelarono passaggi fatti di cenge panoramiche, muretti a secco e discese su scale a fustes (tronchi intagliati), scoprendo antichissimi cuili (ovili) in ginepro, grotte millenarie un tempo abitate ed incredibili percorsi nascosti nella macchia più fitta. Purtroppo vicende interne all’amministrazione locale non permisero il completamento del progetto così come previsto nei piani degli ideatori. Il lascito rimase quindi impresso in flebili tracce di passaggio, numerosi ometti di pietra e sporadici segni blu o rossi dipinti nella roccia: con il senno di poi vien da dire che la miopia delle amministrazioni del tempo ha permesso di mantenere inalterato proprio quel livello di asperità ed isolamento che ora attira sempre più trekker ed esploratori.

Day2: La gugia di Pedra Longa vista dal Cuile de us piggius

Day2: La gugia di Pedra Longa vista dal Cuile de us piggius

Secondo giorno

Ora sono le 13.45, siamo ancora in cammino lungo le creste che separano Cima Giradili dall’insenatura di porto Quau. Da ormai un paio d’ore stiamo seguendo le scarse tracce di passaggio e i rari bolli blu sulla roccia. Di tanto in tanto qualcuno ha anche scritto a pennarello “SB” su qualche sasso. Incredibile.

Il terreno non è facile: un saliscendi continuo tra rovi e larghe liste di calcare affilato che ci costringe a prestare molta attenzione e dosare l’equilibrio (specialmente con uno zaino da 20 kg sulle spalle!).
L’idea di percorrere il Selvaggio Blu in autonomia totale (acqua e viveri) è stata dettata sia dalla voglia di avventura, che dal costo elevato dell’organizzazione via mare. Sono sempre di più le agenzie che propongono una versione “edulcorata” di questo trekking fornendo appoggio logistico via mare e l’accompagnamento di Guide Alpine. Questa soluzione apre le porte di questi luoghi anche ai meno allenati e permette di muoversi leggeri godendo appieno delle meraviglie della natura in cui si è immersi.
La nostra dotazione era limitata:
– una corda in kevlar da 70 metri circa
– imbrago, attrezzatura per la calata in doppia e qualche moschettone
– kit di pronto soccorso, spazzolino e dentifricio
– biancheria di ricambio (1 paio di calzini, uno slip e una t-shirt)
– giacca a vento e cappellino per il sole
– sacco a pelo e materassino
– fornellino a legna, 2 pentole e posate
– 4 cene, 4 colazioni liofilizzate
– alcune barrette energetiche
– lampada frontale, macchina fotografica, batterie di riserva
– GPS
– acqua (8 litri a testa)
Gli zaini sono pesanti ma il carico di acqua è comunque risicato (8 litri a testa), con una previsione di 4 giorni di trekking vuol dire 2 litri al giorno. E’ stato un rischio (alla fine ne abbiamo consumati 16 a testa) ma sapevamo che con qualche piccola deviazione avremmo trovato alcuni punti di rifornimento lungo il percorso.
Sono le 15.30 e dopo un ultimo passaggio su fustes di ginepro arriviamo a Porto Pedrosu. Che incantevole visione: un’insenatura tra le rocce consegna l’acqua verde smeraldo del mare a una spiaggetta di sassi bianchi in cui qualcuno poco tempo fa aveva acceso un fuoco.
Nemmeno il tempo di appoggiare gli zaini che ci tuffiamo in un caldo bagno (sì, qui l’acqua è proprio calda!). Siamo abbondantemente in orario e possiamo prolungare ancora un po’ questa magnifica nuotata.
Arriviamo alle 17.50 al punto tappa di Porto Cuao.
Subito sono assalito da uno sciame di fameliche zanzare. «Voglio un Vape! Datemi dei gerani, datemi del basilico, anzi no, voglio una presa tedesca e un Vape… immediatamente!»
Mentre sono immerso in una geremiade di imprecazioni mentali contro questi fastidiosi insettini, mi accorgo di una anomala umidità nel fondo dello zaino. Un brivido freddo percorre la schiena. Svuoto la sacca da tutto il materiale ed infine giungo alla tanica dell’acqua. Con attenzione la giro e scopro proprio quello che non avrei voluto vedere: una delle termosaldature ha ceduto facendomi perdere qualche buon litro per strada e rendendo quasi inservibile il contenitore.
Con Carlo avevamo scelto due diverse strategie: lui portava 4 bottiglie da due litri, mentre io utilizzavo un tank da campeggio da 8 litri. Il vantaggio era di risparmiare peso e razionalizzare il volume nello zaino, lo svantaggio era proprio quello che in caso di foratura avrei potuto perdere tutto il carico.
Lo scoramento non è un sentimento che mi appartiene e noto con gioia che anche Carlo condivide questo approccio. D’altro canto è da quando siamo nati che ci insegnano che se la BRUM del HUM ha un PTSSS in una HUMM la puoi aggiustare con il CHEWIN GUM.
«Carlo, tu hai per caso una gomma da masticare?»
«No, perché?»
«Nulla, mi era solo venuta un’idea e comunque con i mini-chewingum di oggi ci aggiusti si e no un triciclo e qui il taglio è largo…»
«Non ti capisco, cosa stai farneticando?»
«Fa lo stesso, passami il nastro telato dai…»
Una delle cose che adoro dell’essere immerso nella natura, lontano da tutto e da tutti, è il fatto che puoi fare, dire o essere tutto quello che vuoi. I pudori spariscono, i limiti verbali, concettuali, sociali si assestano su un livello di poco superiore a quello dell’homo sapiens e si è liberi di parlare con le piante, comunicare con gli animali, così come discutere tra te e te ad alta voce.
Mentre la luce del sole ci abbandona piano piano, decidiamo di perlustrare il bacu in cerca di una famosa grotta alla quale fare rifornimento di acqua. Dopo un’ora di ricerche nel buio abbandoniamo il tentativo e lo posticipiamo all’indomani.
Per la seconda volta ci troviamo a dormire sotto il cielo stellato della Sardegna. Attorno a noi i soliti rumori del vento e degli animali nel bosco. Il Selvaggio Blu è anche questo: dormire sotto una coperta di stelle e ritrovare l’armonia con la natura. Mi accorgo di quanto la vita di tutti i giorni ci allontani da queste visioni essenziali solo contando il tempo che impiego per addormentarmi. I lunghi minuti passati a cercare una posizione comoda, ad ascoltare il vento tra le fronde degli alberi ed immaginare chissà quale bestia nel buio, mi riportano a una dimensione più umana.
Epurando i pensieri da ogni traccia di ego realizzo quanto la mia presenza qui sia del tutto insignificante, scorgo la potenza della natura, ne percepisco il respiro e mentre la mia figura si fa sempre più piccola tutto diventa più bello, incredibilmente maestoso: emozionante come un’immensa opera d’arte.

Day3: la magnifica Cala Goloritze

Day3: la magnifica Cala Goloritze

Terzo giorno

C’è un gran vantaggio nel dormire all’aperto a novembre: non albeggia mai prima delle 6.30 e questo significa avere tempo a sufficienza per recuperare tutte le energie perse il giorno precedente.
Appena svegli torniamo ad inoltrarci nel bacu alla ricerca di acqua. Con la luce del mattino è più facile individuare le grotte indicate dalla guida: ci si arrampica per qualche metro, si risale un ghiaione, si traversa una cengia esposta ed eccoci qui all’imbocco della cavità.
Le possibilità di recuperare acqua potabile lungo il cammino ci sono ma valicano di qualche metro la linea della speleologia: siamo infatti costretti ad inoltrarci per lunghi metri prima di raggiungere le provvidenziali taniche che raccolgono acqua che cade per stillicidio.
Alle 9.30 rimettiamo gli zaini in spalla e riprendiamo il cammino alla volta di Cala Goloritzè. Anche oggi si cammina e si arrampica su terreno impervio e sempre meno addomesticato. Le condizioni del percorso rispettano la fama di “Trekking più difficile d’Italia”.
Dopo il primo giorno ci si trova immersi in un territorio in cui solo capre e cinghiali si trovano a loro agio: boschi scoscesi, calcare affilato, radure di rovi e un dedalo di “sentieri-non sentieri”, “tracce-non tracce” che richiedono continua attenzione e molta capacità di orientamento.
Sebbene vi siano diverse indicazioni, relazioni, racconti reperibili in libreria o sul web, abbiamo constatato sulla nostra pelle che nemmeno le tracce GPS più aggiornate sono affidabili al 100%. Siamo comunque fortunati ed arriviamo con relativa facilità a Punta Salinas: una terrazza panoramica che sovrasta la famosa guglia di Cala Goloritzè.
Mentre fotografiamo il panorama siamo travolti da un forte vento di maestrale, lo stesso che ci ha tenuto compagnia tutto il giorno urlando la sua forza contro le verticali pareti a strapiombo sul mare. Io e Carlo avevamo sognato di unire la salita alla cima della guglia ma prima della partenza abbiamo deciso, per essere più leggeri, di caricare un’unica corda in Kevlar, rinunciando di fatto ai piaceri dell’arrampicata sportiva.
Arriviamo all’insenatura proprio mentre gli ultimi turisti risalgono il sentiero che porta al rifugio Su Porteddu (un ora e mezza dalla spiaggia) che rappresenta anche l’unico punto d’appoggio intermedio lungo il percorso.
Anche oggi troviamo il tempo per un bel bagno rigenerante e nonostante il mare sia molto mosso l’acqua ha comunque un magico color turchese. Il cielo si annuvola e sull’imbrunire lascia scendere anche qualche goccia di pioggia.
Per la cena troviamo riparo sotto alcuni strapiombi di roccia. Con noi abbiamo pasti liofilizzati di lusso: delle buste della Trek’n Eat che contengono preparati deliziosi e iper-energetici. Il bello di questa soluzione è che non si ha bisogno di pentole se non quella utilizzata per scaldare l’acqua: si fa bollire una certa quantità, si versa nella confezione e si aspettano alcuni minuti. Così facendo abbiamo ridotto al minimo la produzione di rifiuti ed il conseguente volume di cose da trasportare.
Arriva la notte, il terreno di Cala Goloritzè non è dei più comodi e come giaciglio decidiamo di utilizzare alcune panchine in legno posizionate proprio sotto la Guglia, riparati da una grande sporgenza rocciosa.

Day4: scorci incantevoli lungo la strada verso Cala Biriola

Day4: scorci incantevoli lungo la strada verso Cala Biriola

Quarto giorno

Il risveglio è incantevole: le nuvole del giorno prima sono completamente sparite, il cielo è tinto di un blu acceso e vicino a Carlo un enorme procione sta annusando le poche cose che sporgono dallo zaino.
Oh mio dio, un procione?» (procione o maiale selvatico?)
«ptsss… ptssss… Ohi… Carlo?! Carlo, sveglia… guarda chi c’è!»
Il buon Carlo resta impassibile a ogni richiamo e chiuso nel suo “bozzolo” continua a sognare il prossimo 8a da liberare. Il peloso al contrario vede i miei occhi aperti che lo fissano con curiosità e decide di sparire nel bosco.
«Carlo, sveglia. Non sai cosa ti sei perso, un procione enorme ti stava per mangiare le barrette!»
«Ma veramente? Cavoli e perché non mi hai svegliato?»
«Valà Carlo, torna a dormire và…»
Oggi ci aspetta una giornata impegnativa, forse la più impegnativa di tutto il trekking. Il nostro programma è di unire le due tappe “principe” che partendo da Cala Goloritzè, passando per Bacu Mudaloru, ci porteranno all’incantevole spiaggia di Cala Biriola.
Il percorso inizia con la risalita del Bacu Boladina, considerato il passaggio più difficile trekking in quanto richiede alcuni movimenti su roccia (IV grado) e la risalita di un ripido canalino franoso. Proprio a causa del terreno friabile è sconsigliato affrontare questa parte uno dietro l’altro. Dalle nostre relazioni era chiaro come i gruppi di escursionisti impiegassero lunghi minuti per risalire questi 60 metri, solitamente attrezzando una o due soste lungo il canale (sono presenti alcuni spit di progressione).
Continuando a risalire la valle incontriamo alcuni vecchi ovili (Serra e Lattone) indicati nella relazione come possibili punti di rifornimento acqua, ed in effetti ci sono un paio di grandi cisterne per la raccolta di acqua piovana. Sì, si ci sono: ma sono vuote. Non ci resta che raggiungere la prossima grotta, più o meno nei pressi del punto tappa di Bacu Mudaloru.
Il saliscendi lungo le cenge, la risalita di ripidi boschi e le splendide calate in doppia sono solo alcuni degli ingredienti di questa lunga tappa. Attraversiamo enormi anfiteatri rocciosi, strisciamo lungo esili passaggi di roccia, scendiamo aggrappandoci a secolari ginepri incastrati nella roccia. Scopriamo, rimanendone estasiati, il volto più avventuroso di questo viaggio.
Ancora una volta indossiamo le frontali e ci immergiamo nell’impressionante silenzio di una grotta per recuperare della preziosissima acqua. Usciamo e ripartiamo.
Sono ormai le 17.30 quando, dopo una lunga giornata decidiamo di fermarci. Non siamo arrivati alla magica Cala Biriola, l’abbiamo solo vista dall’alto.
E’ stata una decisione strategica quella di restare in quota: affrontare la complicata discesa con il buio per poi risalire il mattino successivo non sembrava un’idea molto accattivante. Dormiamo all’interno del vecchio cuile Mancuso.
In seguito, dopo aver raccolto informazioni e dettagli su una nuova variante, avremmo rivalutato questa scelta dal momento che Cale Biriola è anche la spiaggia più bella del trekking e di recente è stato attrezzato un percorso lungo la costa che permette di evitare la lunga e noiosa risalita del bacu.

Day6: Cacciatori di albe a Cala Sisine

Day5: la doppia più lunga (quasi 45 m), verso Cala Sisine

Quinto giorno

Il risveglio all’interno del cuile ha un sapore del tutto particolare. Dormire sotto un tetto fatto di tronchi di ginepro, in un riparo usato chissà quante volte da pastori e carbonai mi fa sentire “ospite in terra straniera”.
Raccogliamo i materassini e richiudiamo con cura l’ingresso della costruzione usando gli stessi tronchi di ginepro con i quali è costruita. Voltiamo lo sguardo e l’alba ci appare come un’incantevole quadro in cui il pittore ha voluto nascondere la luce del sole dietro a una nuvola per donare all’effetto prospettico un’aura di magico calore.
Il nostro obbiettivo di oggi è raggiungere Cala Sisine, considerata la fine ufficiale del selvaggio blu. Ci aspettano le ultime calate in doppia e ancora qualche passaggio su terreno impervio ma la prospettiva dell’arrivo in spiaggia alleggerisce ogni peso.
Ormai ci siamo abituati al tipo di terreno, siamo diventati ottimi osservatori e riusciamo a scorgere ometti e bolli blu con discreta facilità. A darci supporto avevamo la guida ufficiale di Corrado Conca, la cartina di Meridiani, tre relazioni “day by day” stampate da internet e le tracce GPS aggiornate al 2014. Nonostante tutto questo materiale in più occasioni è stato necessario fare una media ponderata delle diverse relazioni per capire quale fosse la chiave per il passaggio da un bacu all’altro e spesso la tolleranza strumentale del GPS finiva per posizionarci duecento metri a monte o a valle della cengia che stavamo seguendo. Un’avventura nell’avventura insomma.
Dopo l’ultima calata in doppia riponiamo il materiale ed acceleriamo il passo, sappiamo che manca poco.
All’arrivo a Cala Sisine siamo scortati da un gruppo di maiali selvatici che vagano tra i rovi in cerca di bacche e tuberi. Abbiamo impiegato meno tempo del previsto e c’è tutto il tempo per un bagno rilassante e per godere delle ultime ore di sole.
La spiaggia è deserta ad eccezione di un unico visitatore: un ciclista solitario di nome Uliano che si sta godendo un mese di vacanza sui pedali, a zonzo per le valli dell’isola.
Ci fermiamo a parlare qualche minuto con lui e scopriamo che da diversi anni, a causa del calo di lavoro, è costretto a prendersi lunghi periodi di ferie ma che non si è fatto scoraggiare dalla situazione, anzi, proprio in previsione di questi periodi si è organizzato in modo da risparmiare qualche euro che investe poi in viaggi ed esplorazioni durante i mesi di inattività.
Girando per il mondo non è raro incrociare persone come Uliano, persone per le quali nutro una profonda stima ed un grande rispetto. Uomini e donne che hanno il coraggio di fare un passo oltre l’incognita del futuro e decidono che la priorità nella vita è essere felici vivendo questa ricerca (la ricerca della felicità intendo) con grande serenità.
Per certi versi anche io mi sento parte di questa schiera di persone, so di essere fortunato a trovarmi qui in questo contesto con la libertà di fare ciò che più amo. Siete liberi di non credermi, ma penso che anche il termine “fortuna” sia solo una convenzione, un nome improprio che associamo a fatti di vita che in realtà siamo noi stessi a generare.
Salutiamo Uliano, prepariamo la cena usando la quarta e ultima busta di liofilizzato, accendiamo un bel fuoco e ci godiamo uno dei tramonti più belli della settimana.
Prima di addormentarci proviamo a scattare qualche foto del cielo stellato. Una moltitudine di puntini bianchi si muove, come neve in slow motion, sopra le nostre teste. La terra ruota più lentamente dei miei pensieri e nonostante lo sforzo in cinque minuti mi ritrovo a russare.

Day6: Cacciatori di albe a Cala Sisine

Day6: Cacciatori di albe a Cala Sisine

Sesto giorno

«Sveglia Carlo. Sono le cinque e mezza, ricordi: il time lapse dell’alba.»
«Buongiorno Mattia, accidenti, è vero, dai andiamo.»
Questa cosa dei time lapse ha invaso ormai ogni angolo della rete. Ne hanno fatti di ogni tipo e quasi tutti hanno come soggetto paesaggi naturali di incredibile bellezza. Oggi ci troviamo in uno di questi posti e anche noi vogliamo partecipare alla sfida del: “io c’ero e c’ho pure fatto er taim-laps”.
Posiziono la mia Gopro a due metri dal materassino mentre Carlo corre lungo la spiaggia a cercare il posto migliore per la macchina fotografica. L’orizzonte inizia a cambiare colore: dal blu al viola, dal viola al rosa, dal rosa al rosso e sempre più su, fino all’arancione.
Faccio mille prove, cerco il setting migliore ma sono un vero imbranato con questi aggeggi. Dopo un po’ mi rompo le scatole: sono troppo incompetente per ottenere un risultato decente e per di più rischio di perdermi lo spettacolo. E abbandono lì tutto, così com’è.
Mi sdraio e mi godo l’arrivo del giorno: l’alba con il sole che cresce dal mare è in assoluto lo spettacolo più magico che ci possa essere.
Alle 8.30 ci rimettiamo in cammino. Oggi si tornerà alla civiltà di Cala Gonone, non prima però di aver fatto tappa in un’ultima incantevole calle.
Arriviamo a Cala Luna prima di pranzo. Il posto è facilmente raggiungibile in barca o a piedi e per questo dividiamo la spiaggia con una ventina di persone. Ci godiamo l’ultimo bagno di questo trekking, poi esploriamo le vicine falesie d’arrampicata e incominciamo a ripercorrere mentalmente le tappe dei giorni precedenti. Vogliamo evitare che qualche dettaglio importante se ne scappi via dalla memoria: saremo ancora qui tra qualche mese e quel giorno non saremo da soli.
Nel pomeriggio riprendiamo il cammino. Le scorte di cibo e di acqua sono finite. Le ultime due ore paiono eterne ma parlando tra noi sembra che una settimana sia volata nel tempo di uno sbadiglio.
Arriviamo a Cal Fuili alle 16.00. Posiamo il piede sull’asfalto dopo cinque giorni e più di 50 km percorsi. Fermi sul ciglio della strada guardando verso sud, ci abbandoniamo al nostalgico ricordo di quanto abbiamo appena fatto.
E’ fatta. Il trekking più difficile d’Italia è alle nostre spalle, assieme allo zaino, ora più leggero. Il cuore è più gonfio. In apparenza direi per la fatica ma in realtà so che è colmo di emozione per l’avventura appena vissuta, è colmo di gratitudine per il tempo condiviso con Carlo, è colmo di gioia per aver potuto ammirare dal vivo i disegni incantevoli di madre natura.
Entrambi speriamo che questo sentiero così nascosto ed impervio preservi ancora per lunghi anni il suo fascino selvaggio. Dalla sua aiuterà il forte localismo sardo, geloso delle sue perle preziose e l’impraticabilità del percorso negli affollati mesi estivi.

Essence Of Freedom, in collaborazione con la Guida Alpina Carlo Cosi, sta preparando diversi progetti per la prossima primavera e tra questi c’è proprio l’organizzazione del Trekking lungo il “Selvaggio Blu” ma non temete, il vostro zaino peserà molto meno di 20 kg!

Il testo è ispirato ed ampliato dall’autore del post pubblicato su Essence Of Freedom del 14 Novembre 2014.

Contatti:
Matteo: mattomat@gmail.comwww.eof-dolomiti.it
Carlo: cosicarlo@gmail.comwww.carlocosi.com

Info Trekking:
Relazioni: 1 / 2 / 3
Traccia Gps: clicca qui

Mattia Bonanome autore del post

Mattia Bonanome | Alpinista, viaggiatore, appassionato di montagna e di tutte le discipline ad essa collegate. Vivo a Riva del Garda, dove sono Store Manager per Jack Wolfskin, ho trovato la mia dimensione ideale tra lago e montagna. Negli ultimi anni ho conosciuto da “insider” il mondo dell’outdoor e me ne sono innamorato. Mi definisco un curioso e spregiudicato cercatore di piccole avventure.

Il post non ha ancora nessun commento. Scrivi tu per primo.

Lascia un commento