Esiste una cima cui sono particolarmente legato da amore alpinistico e questa è la Torre Piccola di Falzarego. La prima volta che ne ho raggiunto la slanciata punta è stato assieme all’amico Bruno De Donà a inizio novembre del 1975 lungo il semplice spigolo Ovest. 

Era il mio primo anno di scalate e una delle mie primissime arrampicate.

La salii la seconda volta nel giugno del 1976, era l’uscita conclusiva del corso roccia del CAI Ferrara, nel quale avevo fatto l’aiuto istruttore, avevo “tirato da primo” a ruota di una cordata guidata nientemeno che da Gino Soldà, famosa guida alpina di Recoaro, partecipante alla spedizione italiana al K2 del 1954, amico della sezione ferrarese di cui era allora coordinatore delle attività alpinistiche.
Ancora mi pare di vedere l’oramai quasi settantenne Gino iniziare a scendere slegato e tranquillo sotto i nostri occhi increduli per andare a raggiungere gli anelli di calata per la discesa in corda doppia alla forcella tra la Torre Piccola e la Torre Grande; sembrava camminasse su di un marciapiede di città, con una leggerezza da fare invidia e noi, assai impacciati e legati con le corde, al solo guardarlo ne traevamo insegnamento.

Fu quello stesso giorno che feci conoscenza con quello che la guida dei Monti d’Italia definiva il “caratteristico abete” (in realtà era un pino cembro “Pinus cembra”, ndr), il quale si trovava alla sosta del secondo tiro di corda, proprio all’inizio del camino che contraddistingue la Via delle Guide. Pareva impossibile che sulla verticale parete di roccia fosse potuta crescere una pianta e attorno al suo tronco si girava il cordino per attrezzare la sosta, sentendosi perfin più sicuri che attaccati a un chiodo pur se cementato.

Negli anni successivi ho frequentato la Torre Piccola di Falzarego con regolarità fino all’inizio degli anni ‘90, sia per la brevità dell’accesso che per la bella roccia e l’eleganza delle sue vie, talmente belle che capitava sempre più spesso di dover fare la fila e spesso si era costretti a ripiegare su vie limitrofe, come Punta Alpini o la Piramide di Cima Bois.

(34) la Via delle Guide (© http://quartogrado.com)

Alla fine, per evitare quegli affollamenti, venne preferito il vicino Trapezio del Piccolo Lagazuoi dove c’era roccia altrettanto bella e una varietà di scelta tra vie diverse e interessanti.

Ogni tanto però capitava di ritornare alla Torre Piccola, soprattutto nei periodi meno frequentati di stagione intermedia, come è successo quest’anno nell’ultimo sabato di marzo e secondo di primavera, dopo un inverno che, per lo scarso innevamento, ha consentito un approccio “anticipato” alle Dolomiti.

Così siamo tornati e proprio la Via delle Guide ci ha accolto in un abbraccio tiepido che invitava a salire. Tutto sembrava come tanti anni prima, ma per chi ha memoria (e gli anni sufficienti per ricordarlo) qualcosa è cambiato da allora: non c’è più il “caratteristico abete”, proprio all’inizio del camino, c’è invece una evidente grande macchia di roccia gialla e bianca, segno di un franamento avvenuto in anni recenti, ma l’albero era già caduto ancora in precedenza, all’inizio degli anni ’90.

Quando sono arrivato alla sosta, dopo la traversata verso sinistra, ho ricordato ai miei compagni di cordata l’antica esistenza del “caratteristico abete”, ma non credo siano riusciti a capire quanto quella presenza possa mancare a chi ha percorso la parete tanti anni fa; una nostalgia di cui ho trovato traccia in una relazione della via delle Guide reperita sul sito “Pareti Verticali” che cita un passaggio tratto dal libro “Tra il silenzio delle pareti”.

[ … Ti ho lasciato bello, slanciato, forte, ben ancorato con le tue radici, nel 1978. Nell’89 hai ridato gioia al mio cuore, nel rivedere la tua figura, un po’ vecchia, ma sempre fiera. Dopo due anni non ho avuto il coraggio di vedere le tue spoglie, distese sull’irto sentiero, quasi volesse ridarti vita, ti teneva per non lasciarti rotolare giù. La tua presenza dava colore alla parete e per noi era un dolce segno che madre natura ci ha lasciato nel cuore… ].

Guardando la foto che avevo scattato ai compagni di cordata alla sosta del terrazzo dove una volta c’era il “caratteristico abete” mi sono detto che certamente dovevo averne fatto una simile prima della sua caduta visto che quella era stata la diciassettesima ripetizione della Via delle Guide. Così, cercando nel mio archivio di diapositive degli anni ’80, ecco saltare fuori quello che cercavo, un’immagine del 1984 e “lui”, il caratteristico abete.
Guardando la vecchia fotografia mi è sembrato di rivedere un caro amico, uno di quelli che sono “andati avanti” prematuramente e che fa piacere ricordare pur se in un misto di nostalgia e tanto rimpianto.

Gabriele Villa autore del post

Gabriele Villa | Appassionato di montagna da sempre, è istruttore regionale di alpinismo (IA) dal 1984, ancora in attività, è stato per diciotto anni vicepresidente della sezione CAI di Ferrara e attualmente ne è il Segretario. Blogger del sito intraisass dal 2005, è redattore del sito intraigiarùn che cura assieme ad alcuni amici.

2 commento/i dai lettori

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  1. Si, è vero, come le vecchie malghe in legno da noi in Alto Adige, prima tutte aperte e d’inverno potevi accendere la stufa e riscaldarti, adesso tutte rifatte in muratura, spoglie, brutte, nude e sopratutto chiuse. Così quando una nevicata ti coglie non sai dove andare e passi a malincuore davanti al nuovo ricordando quanto calore ti ha dato la vecchia malga, non solo con la stufa. Così con l’abete, manca qualcosa quando rifai quella via.

    • Gabriele Villa
      Gabriele Villa il28 novembre 2012

      Non solo le malghe in Alto Adige, come quelle nel bellunese del resto che meglio ho conosciuto, ma anche i fienili nei quali non accendevi il fuoco ma potevi stendere il sacco a pelo sul fieno e addormentarti respirando la fragranza del “profumo” che ne emanava. Ovviamente ci voleva rispetto e buona educazione nell’usufruire di quei ricoveri di emergenza, cosa non da tutti (purtroppo) e probabile principale motivo per il quale di fienili aperti oggi non se ne trovano più e il piacere di dormire nel fieno te lo puoi scordare.
      C’è da dire che i tempi sono cambiati parecchio e oggi il “vagabondo dei monti” che dorme con il sacco a pelo in ricoveri di fortuna forse non ispirerebbe più quell’istintiva simpatia che si percepiva spesso quando si veniva scoperti dai proprietari e si “saldava” il debito dell’affitto il giorno dopo con una birra al bar del paese.
      A costo di apparire un poco nostalgico mi vien da dire “erano bei tempi”, anche perché l’età era diversa da quella di oggi, però non sarebbe male raccontare ai più giovani qualche storia delle nostre, non per perpetuare una nostalgia malinconica ma (fosse vero) per suggerire uno spirito diverso dal “tutto previsto – tutto programmato – tutto sotto controllo – tutto comodo” che caratterizza tempi e mentalità di oggi. Perché non solo c’era una volta un abete, ma c’era una volta un fienile, c’era una volta una tettoia, c’era una volta un chiosco di souvenir e chissà quanti altri “c’era una volta” si potrebbero raccontare.

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