Va dato atto a Massimo Bursi di avere avuto coraggio ad affrontare un tema delicato e difficile che, non a caso e forse un po’ provocatoriamente, ha riassunto inizialmente con un emblematico “L’ultimo tabù delle Dolomiti”.
Avrei voluto commentare quel post ma non l’ho fatto, non perché a mia volta vittima del tabù in questione, ma in quanto prendeva spunto da un caso singolo troppo grave, doloroso e recente per introdurre una discussione così complessa e inoltre il Blogger Contest non mi sembrava l’ambito più consono per commentare criticamente.
Ora Bursi è tornato sull’argomento con un meglio delineato “Facciamo tesoro dei nostri errori” e centra in pieno, a mio modo di vedere, la questione autentica dello scopo di analizzare gli incidenti in montagna nell’intenzione di trarne insegnamenti nella filosofia dello “sbagliando s’impara”, e in montagna è di certo meno rischioso imparare dagli errori altrui piuttosto che dai propri.
Fin dagli inizi della mia attività alpinistica sono stato incuriosito dallo studio degli incidenti in montagna per capirne le cause e poterne trarre insegnamenti, attitudine che è diventata sistematica negli anni in virtù di due circostanze, la prima di essere diventato Istruttore Regionale di alpinismo e la seconda di avere intrapreso il lavoro di addetto stampa che mi ha consentito, attraverso la sistematica lettura di svariati giornali, di poter collezionare una vasta raccolta di pagine che trattavano di incidenti di ogni tipo accaduti in montagna nelle diverse attività estive e invernali.
Ora è pur vero che i giornalisti specializzati in cose di montagna sono sempre stati pochi e che i quotidiani hanno tendenza a privilegiare il sensazionalismo piuttosto che l’approfondimento, ma è anche vero che molto spesso vengono acquisiti pareri di esperti (alpinisti di fama, guide alpine, esperti a vario titolo, ecc.) dai quali c’è spesso qualcosa da imparare e così la mia “collezione” si è arricchita negli anni e ho potuto notare il ripetersi periodico di un certo tipo di incidenti, come anche molto spesso la loro similitudine nel rapporto cause-effetti.
Da qui l’idea di proporre nella lezione dei “Pericoli in montagna” (affinata con l’andare degli anni), dopo le spiegazioni doverose e le contromisure da adottare, anche una disamina di pagine di giornale con alcuni incidenti che definirei “campione”, la cui ripetitività evidenzia in modo inequivocabile che l’errore umano è quasi sempre “decisivo” nel formarsi delle cause che portano a un incidente, spesse volte con conseguenze mortali.
Altre informazioni utilissime le ricavo dalle statistiche annuali del Soccorso Alpino che evidenziano la casistica completa, ricca di dati, di percentuali e anche di interessanti considerazioni da parte dei Responsabili che, operando “dal vivo” sono quelli che hanno la maggiore esperienza derivante dalla diretta conoscenza.
Articoli sugli incidenti in montagna, statistiche e commenti del Soccorso Alpino, mi servono per concludere il discorso evidenziando agli allievi la necessità di unire alla conoscenza oggettiva dei pericoli, anche la fondamentale capacità di focalizzare la propria attenzione sulle cause soggettive degli stessi per stimolare prudenza, attenzione, riattivare e/o migliorare istinti naturali ottusi dal vivere nei centri urbani, ma anche con troppe comodità e modernità a disposizione, contrastare anche quel senso di deresponsabilizzazione che la società moderna sottilmente insinua in noi.
Tutto questo lo definisco un “abito mentale” che ogni escursionista o alpinista che sia deve riuscire a costruirsi se vuole praticare la montagna nella massima sicurezza possibile, riducendo il pericolo, e soprattutto le sue cause, ai minimi termini, visto che azzerarlo è impossibile.
Per ritornare al discorso generale devo dire che negli scritti di Bursi e nei vari commenti succeduti ho trovato molti punti di contatto con la mia esperienza personale, rafforzando la convinzione che “capire = prevenire”. Come passare dalla “goccia nell’oceano” (così considero, ad esempio, il piccolo sforzo delle mie “lezioni” sui pericoli in montagna tenute ai corsi di alpinismo alla Scuola “Bruno Dodi” di Piacenza) a qualcosa di più allargato, maggiormente conosciuto e condiviso che possa portare al formarsi di un diverso atteggiamento, a un approccio costruttivo nei confronti delle cause di incidenti in montagna per riuscire a generare prevenzione?
Prendo alcuni spunti dai commenti al post di Bursi e provo ad abbozzare qualche idea personale.
Roberto Morandi (Capo Stazione Soccorso Alpino di Verona): “Ebbene, riuscire a capire con chiarezza e lucidità cosa sia realmente accaduto in taluni incidenti è spesso molto difficile anche per noi soccorritori. …Detto questo sono convinto che di queste cose possiamo parlarne. Anzi dobbiamo. …Parlare di queste cose è sicuramente un modo di fare prevenzione.”
Credo che non sia fondamentale capire tutti gli incidenti, (anche perché in alcuni casi è oggettivamente impossibile) ma va già bene capirne il maggior numero e quelli più ricorrenti. Le relazioni di fine anno di varie Stazioni del Soccorso Alpino sono già un ottimo contributo in questo senso. Si può fare di più, dando maggiore diffusione al patrimonio di esperienze dirette che hanno i soccorritori? Credo che ci sarebbe soltanto da mettere le gambe a qualche buona idea in proposito.
Francesco Abbruscato: “Pensate al salto di qualità avvenuto negli ultimi anni sugli incidenti da travolti da valanga. Allo studio maniacale dell’incidente in modo da avere quegli elementi che possono creare un modello di paragone da utilizzare. Sicuramente le riviste e maggiormente quelle on line dovrebbero affrontare questo argomento”.
Può essere un’idea per la redazione di “altitudini” che già sta ospitando questa discussione nata spontaneamente on line? Personalmente lo caldeggio vivamente e qualcuno la ha già apertamente esplicitato prima di me.
Riccardo Pucher Prencis: “Sarebbe interessante se LDB proponesse fra i suoi contenuti anche quelli relativi agli incidenti, cercando di istituire un tavolo di lavoro, di confronto e di informazione permanente con le Sezioni del CAI e gli enti di Soccorso in primo luogo”.
Sembrerebbe il classico uovo di Colombo, ma aggiungo una cosa che mi piacerebbe ancora di più. Mi piacerebbe che i giornalisti che scrivono di montagna (sia quelli qualificati e a maggior ragione quelli meno qualificati) potessero avere disponibilità di una rete di numeri di telefono per contattare le Stazioni di Soccorso Alpino per avere informazioni di prima mano sugli incidenti in modo da riferirne sulla carta stampata nella maniera meno approssimativa possibile.
Mi rendo conto che i soccorritori devono soccorrere e non fare gli addetti stampa (anche se qualche Stazione mi pare si sia dotata della suddetta figura professionale) ma la cosa mi piacerebbe e sarebbe molto utile al miglioramento dell’informazione nei confronti della montagna. Sarebbe un buon salto in avanti per tutti, lettori e praticanti, e forse allora potremmo smettere di leggere titoli di giornale quali l’orribile “montagna assassina”, il pessimo “slavina killer” , il banalissimo “ha perso improvvisamente l’appiglio” che, a mio modo di vedere, rappresentano una sorta di “qualunquismo informativo” che altro non fa che alimentare un sentimento di deresponsabilizzazione collettiva nei confronti dei reali pericoli della montagna e delle attività che su di essa si vanno a praticare.
(foto apertura del post: ©delegazione provinciale Soccorso Alpino (CNSAS) bellunese)
6 commento/i dai lettori
Partecipa alla discussioneCredo che un contributo nell’offire soluzioni concrete possa venire dallo studio e dalla applicazione pratica dei concetti e dei metodi della moderna Gestione del RIschio. Per chi fosse interessato, il manuale “LIBERTA’ DI RISCHIARE” (pubblicato nel dicembre 2013 da Versante Sud) è dedicato a questo tema.
Leggo con molto ritardo questo articolo, e mi viene spontaneo riflettere sulla stampa qualunquista. Quando certe notizie, anche date da emittenti TV, raccontano di un incidente stradale dicendo ‘a causa del fondo stradale bagnato, oppure a causa del scarsa visibilità’… ma cosa stanno dicendo? le cause sono da attribuire a chi, su una strada bagnata o con poca visibilità andava ad una velocità superiore a quella che le condizioni consentivano.
Tutto bene, ma dopo l’introduzione mi aspettavo qualche disamina :(
Ciao non ho capito bene cosa ti aspettavi….
Ciao Gabriele,
ti ringrazio per il tuo apprezzamento su quanto penso sul tema di INCIDENTI.
Cosa ne dici di cominciare a raccogliere del materiale su qualche incidente noto al fine di pubblicare un fascicoletto on-line di report incidenti?
Penso che FARE è sempre meglio che dire SI POTREBBE FARE.