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Interessante e per ora irrisolto è sicuramente il tema lanciato da altitudini.it su come dev’esser fatto un blog e che tipo di notizie e di rapporto di fiducia si deve stabilire con i lettori. Nel caso della montagna, il passaggio dalla carta stampata al web è stato visto finora come un passo avanti. A torto o a ragione? Azzerate le spese di carta e spedizione, battuti sul tempo tutti gli altri media cartacei e non, recuperati i distratti e i giovani, sviluppate positive sinergie con la carta stampata, sembrava proprio di avere trovato la panacea per un male endemico della montagna: l’analfabetismo da cui è circondata.
Non sempre però nel volatile mondo della comunicazione due più due fa quattro. I conti vanno fatti soprattutto sulla qualità della comunicazione che non deve essere inferiore per autorevolezza e completezza a quella della carta. Checché se ne dica.

Più che la velocità si dovrebbe invece ricercare un particolare tempismo nel cogliere i momenti in cui fornire notizie possibilmente esclusive, ovvero approfondimenti dei grandi temi sul tappeto.

Quello che risulta evidente è che il web ha offerto per ora e finora un irrisorio contributo all’auspicata alfabetizzazione degli italiani vagheggiata fin dai tempi di Quintino Sella. Di questa difficoltà esistono varie testimonianze. L’interesse per libri e riviste di montagna va scemando. Storiche testate “laiche” chiudono. Negli empori della grande distribuzione i libri di cultura alpina occupano spazi sempre più ristretti, spesso accorpati a quelli “di mare”. I riscontri in edicola sembrerebbero desolanti fatta la debita eccezione di un bimestrale di classe come “Meridiani Montagne” che, guarda caso, per ammissione del direttore Marco Albino Ferrari, non si cura del web ma gioca sul “feticismo della carta”. Soffoca per mancanza di contributi un’istituzione come la Fondazione Angelini di Belluno. E si potrebbe continuare.

Una cosa va esclusa: che sul web “la velocità sia tutto” come viceversa sostiene Linda Cottino in un’interessante inchiesta sul periodico “Alpidoc” delle sezioni cuneesi del Cai. Un esempio? I sei morti sul Gran Zebrù di domenica 23 giugno sono andati dritti dritti, quasi in presa diretta con ampio corredo di foto e di commenti, nelle home page dei quotidiani generalisti (Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, tanto per intendersi). Di rimbalzo, la notizia è apparsa anche nei web magazine cosiddetti “alpinistici” con l’indicazione della testata da cui è stata catturata. Ma che giornalismo può essere questo che raccatta notizie nel grande serbatoio della rete e le riversa pari pari in forma di newsline senza nemmeno una riverniciata, e sempre con approssimativi, meschini taglia-e-incolla?
A mio avviso non è questa “velocità” il requisito indispensabile della nuova informazione alpina. Più che la velocità si dovrebbe invece ricercare un particolare tempismo nel saper cogliere i momenti in cui fornire notizie possibilmente esclusive, ovvero approfondimenti dei grandi temi sul tappeto (anomalie del clima, celebrazioni, imprese, gravi fatti di cronaca). Ma saper “leggere” e interpretare l’attualità richiede un bel bagaglio di conoscenze non solo giornalistiche, e anche di organizzazione e di sinergia con la carta stampata per ora soltanto enunciate.

Un tempo il bravo giornalista doveva anche consumare la suola delle scarpe. Doveva esprimere la sua curiosità e quella del lettore, per intendersi, viaggiando e incontrando gente, raccogliendo le storie sul posto. Che cosa importava se la sua testimonianza arrivava un giorno e una settimana dopo? Ciò che contava era l’attualità, l’universalità di ciò che raccontava. E anche la qualità del racconto. Nella redazione di un tabloid inglese si dice che campeggiasse la scritta, rivolta ai redattori: è interessante? La regola vale ancora oggi e sempre varrà, a quanto sembra.

Il trionfo di Guido Monzino, l'alpinista esploratore che portò gli italiani sull'Everest (1973) con una spedizione all'insegna del gigantismo anche mediatico

Il trionfo di Guido Monzino, l’alpinista esploratore che portò gli italiani sull’Everest (1973) con una spedizione all’insegna del gigantismo anche mediatico

Fatte salve le poche norme da applicare nel dare un’informazione sul web, occorrerebbe badare dunque di più ai contenuti andando al nocciolo delle informazioni, creando ove possibile occasioni di approfondimento e di dibattito. Tutto ciò non dovrebbe avvenire usando le scorciatoie del taglia-e-incolla e degli allegati in pdf, abbondando in neretti incongrui che creano solo confusione. Insomma, ancor prima che chiederci come vanno scritti gli approfondimenti, cerchiamo di capire se c’è ancora qualcuno disposto a presentare le notizie seguendo le regole del buon giornalismo.
Bisogna mettere sempre un “plus” nel “lead” come insegnavano un tempo i capiredattori alle giovani reclute per evitare che i pezzi si aprano con confusi balbettii? Oggi si richiede una certa abilità nel confezionare i “teaser”, ovvero i brevi testi “tentatori” per acchiappare i disattenti nelle home page. Meglio che niente. Infine va sempre tenuta presente la regola delle cinque domande: chi, dove, quando, come e perché.
A questo proposito, da giornalista dovrei leggere con piacere, in un bilancio ufficiale del Cai (Montagne 360, giugno 2013, pag. 72), che “subiscono un incremento i costi redazionali, conseguente al maggior apporto di contenuti giornalistici”. In questi tempi di crisi per tutte le testate, sentir parlare di contenuti giornalistici e sapere che da qualche parte vengono valorizzati sono cose che aprono il cuore alla speranza… anche se poi sono i risultati quelli che contano.

In ogni modo, niente di nuovo sul web sotto il sole del giornalismo, ad avviso di chi scrive, a dispetto dei tanti corsi dedicati alla comunicazione internet. Con un’importante variante: la possibilità di usare i tanti devices oggi a disposizione. Un’idea che potrebbe rivelarsi vincente potrebbe essere quella enunciata da Teddy Soppelsa, intelligente animatore di altitudini.it, collegato sinergicamente alla rivista Le Dolomiti Bellunesi: fornire una volta all’anno i contenuti, divisi per categorie, anche in pdf, su ebook o in forma di applicazione per tablet o smart phones. Ma in questo caso si richiede magari un adeguato supporto di sponsor o benefattori e quindi anche un agguerrito spirito imprenditoriale.

E’ chiaro che oggi la grande sfida della comunicazione via Internet la si affronta partecipando a quella vera o presunta “intelligenza collettiva” che è la vera forza del web 2.0 e che permette di creare testate dove le notizie vengono scritte, lette, commentate, condivise e postate in un continuo e stimolante feed back tra utenti e giornalisti, la cui preparazione deve essere a prova di bomba. Ma avviene davvero tutto questo nelle testate alpinistiche? Una grande mostra come “La Lombardia e le Alpi” organizzata dal Cai e dalla Provincia allo Spazio Oberdan di Milano dal 17 maggio al 7 luglio 2013 con un ampio corollario di eventi ha avuto il sostegno delle pagine locali dei maggiori quotidiani nazionali e, in modo esemplare, di Montagna.tv con ripetuti annunci a servizi filmati. Ma solo in minima parte è stata comunicata, quasi distrattamente, dagli organi giornalistici del Club alpino.
Comunicare in effetti è difficile, per niente remunerativo e quasi mai divertente. Forse proprio per questo, vorrei concludere, una task force della comunicazione creata (improvvisata?) dal presidente generale del Cai Annibale Salsa nel 2009 ha sventolato in breve bandiera bianca. Incidente di percorso, mancanza di strumenti adatti, limitate risorse umane? L’entusiasmo accende talvolta anche nelle grandi strutture autentici fuochi fatui: basti pensare alla fantasmagorica Università della montagna, mai nata nell’ambito del Club alpino nonostante l’impegno di tante teste pensanti e le ore di dibattito testimoniate da interminabili verbali.

Roberto Serafin autore del post

Roberto Serafin | Giornalista professionista, redattore per un quarto di secolo del notiziario del CAI Lo Scarpone. Ha curato a Milano la mostra “Alpi, spazi e memorie” e il relativo catalogo, ha partecipato con il Museo della Montagna “Duca degli Abruzzi” all’allestimento della mostra “Picchi, piccozze e altezze reali”. E’ autore di numerosi libri di montagna, tra cui l’ultimo “Walter Bonatti, l’uomo, il mito“. Con il figlio Matteo ha pubblicato il volume “Scarpone e moschetto”. Da alcuni anni di dedica quotidianamente alla sua creatura editoriale www.mountcity.it

9 commento/i dai lettori

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  1. Alice Prete
    Alice Prete il5 luglio 2013

    Su questo tema, al corso di sociologia dei media, rispondendo al quesito “Giornalisti e blogger: quali sono i punti di congiunzione e quali le differenze?” ho presentato questo compito, che allego:

    E’ un’opinione diffusa che giornalisti e blogger siano contemporaneamente dipendenti ed in contrasto tra loro; entrambi sono dei newsmaker, svolgono un servizio di informazione di utilità pubblica, lavorano in maniera autonoma, sono influenzati sia nell’attività di ricerca, che di selezione che di rielaborazione delle notizie con cui vengono in contatto.
    La conflittualità nasce principalmente dalla percezione che i due ruoli hanno di sé stessi, anche se senza i primi la qualità stessa della notizia cadrebbe, senza i secondi il web sarebbe privo dell’approfondimento che lo contraddistingue.

    Quali sono i punti di disgiunzione?
    Il giornalista definisce l’agenda setting, su cui il blogger arricchisce l’informazione diffondendo una cultura partecipativa del sapere. Il blogger diventa un “facilitatore” della notizia, assumendo il ruolo sia di docente che di discente. Altri aspetti sono l’autorevolezza e la credibilità: non esiste infatti nessuna garanzia riguardo alla veridicità di ciò che pubblica il blogger, che dà informazioni senza filtri o limitazioni se non l’autorevolezza del proprio “nickname” o la propria autodisciplina.
    Il giornalista invece ha un ruolo istituzionale la cui autorità morale è riconosciuta, rappresentativa di una professione, di una testata, spesso di una corrente di pensiero.
    A questo riguardo tornerebbe attuale la richiesta ideata da Popper per una istituzionalizzazione di una sorta di “patente” per gli autori televisivi, che potrebbe essere applicata per ogni professionista dell’informazione, al fine di garantire la correttezza dell’informazione.
    Anche il linguaggio indirizza verso una spaccatura: il giornalista ha storicamente rivestito un peso positivo sull’alfabetizzazione della società, contribuendo sulla carta ad unificare la lingua italiana superando dialetti e regionalismi grazie ad un lessico semplice e lineare, discostandosi dalle forme letterarie elaborate e dai latinismi.
    Diversamente la terminologia blogger è popolare e nazionale, adatta al pubblico della rete, abituato ad una povertà di linguaggio caratterizzata dal conformismo e dalla monotonia linguistica ed espressiva.

    Su quali basi è possibile una convivenza?
    Nell’universo dell’informazione giornalisti e blogger coesistono e convivono in quanto sono ambedue necessari ma non sufficienti. I primi, grazie ai ritmi e all’organizzazione delle redazioni, scovano le notizie, le pubblicano, definiscono l’agenda setting; i secondi le approfondiscono, le arricchiscono con una maggiore libertà personale, accendendo dibattiti e mantenendo vivo l’interesse dei lettori.
    Le regole per utilizzare gli strumenti di comunicazione devono essere un punto di riferimento importante per entrambi, al fine di realizzare il dovere di correttezza professionale e per definire quel concetto di limite senza il quale la libertà di informazione non esisterebbe.
    Le attività di entrambi i ruoli devono essere accompagnate da un lavoro di media education sia per sviluppare la media literacy che l’emporwerment, controbilanciando il potere dei media con il potere dell’educazione e della cultura.
    Così facendo un blogger autorevole avrà la stessa credibilità e capacità di influenza di un giornalista, al fine di garantire la verità dell’informazione, superando la capacità adulatrice della tv ed all’insegna dell’informazione libera e corretta.
    Un esempio di tale convivenza viene dato dal fatto che molti giornalisti hanno aperto un blog personale; addirittura sono le stesse testate giornalistiche ad ospitare all’interno del proprio sito internet i blog dei giornalisti più popolari (il “Foglio” ospita da ottobre 2002 il blog di uno dei primi giornalisti blogger italiani, seguono a ruota “La Repubblica” e “Il Riformista”).
    La tendenza dunque sembra essere quella dell’integrazione tra l’informazione prodotta nelle agenzie e dalle testate giornalistiche e quella prodotta dai blog.

    • chiarofiume il11 settembre 2013

      La relazione tra giornalisti e blogger potrebbe andare oltre l’universo dell’informazione.
      Per la storia dell’evoluzione della tecnologia, prima dell’informazione [IT] e poi dell’informazione e della comunicazione [ICT], i giornalisti hanno contribuito a un’alfabetizzazione sociale pilotata dal marketing di nuovi prodotti. Non sono mai entrati in qualche specifico mondo – d’uso di quella tecnologia – dove era necessario adeguarla a processi di acquisizione di conoscenza pilotati dagli obiettivi di comunità che popolavano quei mondi. Mi sembra – ma potrei sbagliare – che qualcosa in questo senso cerchi di dirlo un post del Blogger Contest di Altitudini. Il post è intitolato “I dialoghi delle montagne”.

  2. Roberto Serafin
    Roberto Serafin il5 luglio 2013

    Il tema di una comunicazione “alpina” di qualità è antico almeno quanto lo sono le associazioni alpinistiche. Oggi le nuove regole imposte dal web non possono evidentemente prescindere dalla cultura, dalla preparazione, dalla sensibilità, dal tempismo di chi sta al desk. Un briciolo di ottimismo si impone. Bisogna riconoscere che consumati professionisti della pagina scritta dimostrano di cavarsela egregiamente anche sul web, e questo la dice lunga su certe fumisterie messe in giro da alcuni odierni smanettoni. Da dinosauro del giornalismo sento infine il dovere verso i miei colleghi di ricordare che all’inizio di questo millennio per la prima volta nella storia, anche con il mio modesto contributo, la Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI) accolse fra i propri gruppi di specializzazione l’Associazione dei giornalisti italiani della montagna (AGIM), più che mai decisi a valorizzare la professione con stages, aggiornamenti, un premio giornalistico assegnato d’intesa con le guide alpine e con una presenza riconosciuta ai consessi in cui si discute sui destini delle terre alte. Fu, aimé, fatica in gran parte sprecata dal momento che tanti rappresentanti delle istituzioni fecero orecchio da mercante e nemmeno il Cai sembrò accorgersene degnandoci di un suo contributo.
    Roberto Serafin

  3. Linda Cottino il3 luglio 2013

    Davvero interessante! Ed è curioso che il riferimento alla velocità del web rispetto alla lentezza della carta stampata trovi un’esemplificazione immediata: nel post (del 27 giugno) si fa riferimento alla mancata diffusione da parte degli organi di comunicazione del Cai della mostra sulla Lombardia e le Alpi… che puntualmente spunta dalle pagine del numero di luglio di Montagne360, verosimilmente andato in stampa un mese prima. Siamo senz’altro di fronte a cambiamenti radicali e non credo che i parametri utilizzati finora (penso alle regole del buon giornalismo) siano utili strumenti di analisi. Non possiamo che procedere per tentativi – il blog di Altitudini è un bell’esempio – azzardando contaminazioni più che contrapposizioni. Su questi temi mi ha molto colpito la visione del film “Page One. Dentro il New York Times”, uscito nella collana di Real Cinema di Feltrinelli. Ve lo consiglio.

  4. Chiarofiume
    luigi bertuzzi il29 giugno 2013

    Per me quest’articolo conferma, una volta di più, l’esistenza di uno straripante bisogno di equilibrio, tra realtà analogica e realtà digitale.

    Abbiamo iniziato a confrontarci con i computer bilanciandoci tra le due realtà, come trapezisti tra terra e cielo, grazie alle schede perforate, che popolavamo di buchi per esprimere il nostro desiderio di ottenere risultati, sperando di scoprirli idonei a migliorare la nostra realtà consueta.

    Velocità, tempismo e alfabetizzazione erano aspetti totalmente secondari, rispetto ai processi di
    apprendimento individuale di chiunque avesse voluto mettere alla prova la propria capacità di utilizzare macchine che allora chiamavamo mainframe.

    Per rendere efficaci la velocità e il tempismo dei mainframe fu necessario – grazie allo sviluppo di strumenti come sistemi operativi, compilatori, eccetera – farci percepire come una collettività di processi di apprendimento; altrimenti la potenza e il costo di una singola macchina sarebbero stati sprecati per gestire un processo di apprendimento individuale alla volta.

    L’alfabetizzazione non era obbligatoria; chi più se ne fece più padrone diventò un Funzionario della tecnologia [espressione usata dal filosofo Galimberti in un suo libro: “Psiche e Techne”]; chi preferì farsene “tanto quanto basta” mantenne il proprio ruolo di Utente, in ambienti che permettevano di mantenere una comunicazione paritetica tra loro e i funzionari.

    Uno di quegli ambienti è stato ed è ancora il CERN.

    Il Web è stato inventato da un ambiente utente …. E se fosse statao inventato per rendere più efficaci la creatività e il potenziale di ogni singolo processo di apprendimento??

    Il Web è come un mainframe universale che non potrà percepirci come collettività di processi di apprendimento fino a quando non ci doteremo di ambienti utente, nei quali le relazioni tra i singoli processi siano gestite da un Dialogo Operativo.

    Questo commento sarebbe da revisionare, modificare ed espandere … con il contributo di chiunque intuisca che ci converrebbe dare un senso pratico all’espressione “Dialogo Operativo”

  5. Bruno Barbieri il27 giugno 2013

    Interessante articolo. Sono molto interessanti le considerazioni su carta e web, traspare un rapporto amore/odio e l’imporessione che il web, su cui contavi molto, ti abbia deluso.
    Io credo veramente che dovremmo smettere di parlare di questi due mezzi in contrapposizione, concentrandoci sull’obiettivo, che è il contenuto. Carta e web naturalmente hanno modo diversi di comportarsi, ma questo va accettato altrimenti ci comportiamo come quei politici che si cancellano da twitter perchè offesi dagli insulti ricevuti. La maturità che dovremmo avere nei confronti del web dovrebbe farci smettere di pensare solo con la testa di Google Analytics: concentriamoci sul valore del rapporto con il lettore, poco importa se il mezzo è la carta o il web. Il vantaggio compettitivo della carta è dato dal fatto che non abbiamo ancora imparato a conoscere il web. Lo sappiamo bene, come detto al Rifugio Treviso, che se vogliamo ottenere una vagonata di like su facebook dobbiamo postare foto con i gattini. Ma perchè allora siamo disposti a scendere a compromessi sul web e invece no sulla carta?

  6. Annamaria Vicini il27 giugno 2013

    Post molto interessante! Secondo me il web-giornalismo dovrebbe racchiudere in sé sia la velocità che la qualità delle informazioni, è quindi un giornalismo che richiede più competenze rispetto a quello della carta stampata mentre finora è stato trattato come un giornalismo di serie B. Da qui credo derivino i problemi segnalati…

  7. LEDO STEFANINI il27 giugno 2013

    Osservo che il feticismo cartaceo ha cambiato forma nel tempo, assumendo aspetti via via più consumistici. Grazie per averci presentato un tema di riflessione tanto coinvolgente.

  8. Ernesto Majoni
    Ernesto Majoni il27 giugno 2013

    Post davvero molto interessante, che merita un’attenta riflessione.
    Un innamorato del feticismo della carta.
    Ernesto Majoni – Direttore Editoriale Le Dolomiti Bellunesi

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