“Avrei voluto trovarmi in Carnia, al buio, isolato, con troppa neve, uscire il giorno dopo, pala in mano, un po’ di sana fatica, magari anche un bel pupazzo, ma…” nella pianura modenese un’alluvione e prima un  terremoto hanno distrutto in pochi minuti i frutti di una vita di lavoro e sacrifici.  

ppg_alluvione_01

La piacevole lettura del post di Omar Giubeila, la sua simpatica descrizione dell’esperienza di black-out conseguente alla più che copiosa nevicata che nelle scorse settimane ha investito anche la Carnia mi ha fatto affiorare alla mente tanti ricordi e rivivere sensazioni piacevoli, ma anche drammatici momenti.
Premetto che, secondo la terminologia dei montanari d’Appennino, sono un “piangiano”, un cittadino, e come tale ho vissuto le esperienze di neve che si possono vivere in città dove, pochi centimetri di bianco gettano nel panico la collettività, ma ho anche una lunga pratica di montagna, anche invernale e la neve non mi spaventa.

Ricordo le battaglie a palle di neve nel cortile della scuola.

Ricordo quando ero bambino, allora vivevo in un grosso paese della pianura modenese, la gioia che mi pervadeva quando cominciavano a cadere i primi fiocchi, la sorpresa e la gioia erano poi ancor più grandi quando, di primo mattino scoprivo il cortile di casa già di bianco ammantato e il pensiero correva già alle battaglie a palle di neve nel cortile della scuola.
Ricordo il fragoroso passaggio della “poiana” quella gigantesca, almeno ai miei occhi, macchina che con le sue lame a cuneo apriva il passaggio sulla via Emilia.
Più avanti, si era a metà anni ’70, ricordo anche un forte nevicata novembrina, neve pesante che si era divertita con alberi ancora infogliati e tralicci dell’Enel facendone ecatombe, ma allora solo alcuni settori della città e del contado subirono, per un paio di giorni il black-out, esperienza che ho però drammaticamente vissuto da domenica 19 gennaio 2014, ma non a causa della neve.

La “Bassa”, quella parte della provincia posta più a nord, verso il Po.

Da Natale le forti perturbazioni che hanno investito anche il territorio modenese hanno contribuito al forte ingrossamento dei fiumi Secchia e Panaro, le ondate di piena si sono susseguite a più riprese facendo proclamare lo stato di allerta, maggiormente sentito nel paese dove attualmente risiedo (4500 abitanti su 1700 nuclei familiari ca.) che è posizionato quasi al centro di un importante nodo idraulico che coinvolge i fiumi Secchia e Panaro, il Canale Naviglio e altri due canali minori, i Cavi Argine e Minutara.
Dal paese inizia, geograficamente, la “Bassa”, quella parte della provincia posta più a nord, verso il Po, nella vasta depressione, dove al centro della cosiddetta “valle” si è a ben 28 metri al di sotto del livello del mare.
Anche nella notte tra il 18 e il 19 gennaio, dopo un’ennesima giornata di forti piogge, era in corso il passaggio dell’ondata di piena, preoccupante, ma non ancora ai livelli massimi di guardia… invece, alle 7.00, non c’è stata esondazione, ma il più drammatico cedimento di una vasta porzione dell’argine destro del Secchia (hanno poi riferito di 80 metri di lunghezza e 10 di profondità) che ha comportato la fuoriuscita di 15.000.000 di metri cubi d’acqua (c’è chi dice anche 45.000.000, come hanno poi fatto a misurare questa quantità?) che subito si è riversata sulle fiorenti campagne poste sotto l’argine, la borgata San Matteo, e velocemente verso Albareto, la frazione di Modena più vicina, allagandola in parte per poi dirigersi verso Bastiglia, il mio paese.

Alle 14.00 di acqua ce n’era dai 100 ai 200 cm. 

Noi siamo stati allertati attorno alle 10 con il suggerimento di portar le auto in luogo più sicuro, come il parcheggio del Camposanto che è in posizione sopraelevata rispetto al paese, lasciate le abituale incombenze domenicali, stavamo preparandoci per la S. Messa (dal 20/5/12 viene celebrata nel piccolo Oratorio stante l’inagibilità della Parrocchiale per effetto del terremoto), portate le auto al sicuro, abbiamo provato ad alzare da terra, il più e quanto possibile, del contenuto del garage. Dalle notizie ricevute si poteva supporre un’onda di piena di 20-25 centimetri al massimo.
Questo più o meno alle 11.00 di quella domenica indimenticabile, alle 13.30 la marea lambiva già le prime case del paese, alle 14.00, a seconda delle varie zone dell’abitato e del forese di acqua ce n’era dai 100 ai 200 centimetri. Alla faccia delle previsioni. Verso sera la marea ha raggiunto Bomporto ripetendo le stesse situazioni.
Ben presto ai mezzi terrestri di soccorsi (VV.FF., Esercito, Protezione Civile e Forze dell’Ordine) si sono sostituiti quelli nautici e le vie del paese, diventate canali di una immensa laguna, erano percorse da canotti e barche alla ricerca di sventurati che fossero ancora fuori casa o ad evacuare dalle abitazioni le persone in effettivo pericolo (l’evacuazione dell’intero fronte dell’alluvione ha coinvolto circa 1500 persone) e a dare frammentarie notizie e suggerimenti alla popolazione che si era rifugiata dal primo piano in su delle abitazioni.
L’arrivo dell’acqua ha subito mezzo fuori uso la rete elettrica e quella telefonica rendendo l’isolamento ancor più problematico, tra l’altro, non potendo prevedere alcun miglioramento a breve era consigliabile usare con parsimonia i telefoni cellulari stante l’impossibilità di rimetterli sotto carica.

ppg_alluvione_02Oberdan Salvioli, è stato travolto dalla forte corrente.

A parte le singole drammatiche avventure, la tragedia si è consumata a sera quando un generoso compaesano, Oberdan Salvioli, che, con il proprio gommone cercava di portare aiuto e soccorso ad altri abitanti, è caduto dall’imbarcazione ed è stato travolto dalla forte corrente (il suo corpo è stato poi trovato e recuperato in Naviglio il 5 febbraio).
Ma di questa tragedia ne abbiamo avuto notizia solamente all’indomani e in maniera frammentaria.
Con la palazzina di più piani (abito al primo piano) già circondata da un buon metro d’acqua, ci confortavamo, tra condomini, prendendoci in giro, per scaramanzia e per nascondere ansia e preoccupazioni e man mano l’acqua saliva, si discuteva sul da farsi, su cause, su un futuro al momento estremamente incerto.
Poi con l’imbrunire ognuno si è ritirato nel proprio nido ad affrontare l’incognita della sera e della notte.
Con l’elettricità se ne era andato anche il riscaldamento e l’interno dell’appartamento, complice anche la tanta umidità che saliva dai locali al pianterreno, completamente allagati, e dall’esterno, era piuttosto freddino (siamo arrivati a punte di 12°).
Fatto l’inventario di torce e candele, equamente divise per poter autonomamente affrontare i disagi del buio che si faceva sempre più opprimente e pronti (due zaini fatti su in fretta e furia) per una possibile evacuazione ci siamo organizzati per la sera e la notte con l’assordante rumore dei diesel dei mezzi anfibi dei VV.FF che per tutta la notte hanno pattugliato il paese.

Al lume di candela ci guardavamo negli occhi per dar coraggio l’un l’altra.

Ho detto disagi, ma forse non del buio, il buio mi affascina, non in quelle condizioni però.
Al lume di candela ci guardavamo negli occhi per dar coraggio l’un l’altra, ma le parole stentavano, travolti dai pensieri, dai dubbi, dalle incognite che ci aspettavano.
Una sera, nel pieno della luce e dei suoni, è veloce da passare, quasi in un soffio si fa notte e poi mattino, al lume di candela è tutto più lento, le ore sembrano raddoppiare i minuti, noi stessi siamo più lenti e riflessivi.
E’ ben vero che l’avere alcune torce elettriche ci dava un po’ di tranquillità, ma la fiammella della candela ci dava anche un po’ di calore, impercettibile nell’ambiente ormai gelido, ma percettibile nei cuori e nell’intimo anche se vedere il lento consumarsi di quel cilindretto di cera faceva pensare anche alla brevità e all’imponderabile dell’esistenza.
Un terremoto, un’alluvione e, per tanti, il frutto di una vita di lavoro e sacrificio andato a ramengo in pochi minuti.
Lunedì mattina eravamo ancora in mezzo all’acqua. La giornata è andata via lentamente fino a sera con l’acqua che continuava a scendere, unica nota positiva a calmare un po’ i nervi che cominciavano a dar segno di cedimento.
Poi l’accensione della candela, un’altra interminabile sera e notte ci aspettava. E così è stato fino al pomeriggio di mercoledì 22 gennaio, con l’acqua, attorno alla palazzina, scesa a una decina di centimetri quando abbiamo avuto avvisaglie del ritorno della corrente elettrica E’ stato il lento avvio al ritorno alla normalità.
Dai telegiornali locali abbiamo capito di che catastrofe fossimo stati attori nostro malgrado. Immagini di immense distese d’acqua giallastra dalla quale emergevano case ed edifici a noi più che conosciuti, le viti del “Sorbara” semisommerse e così i filari della gustosa pera “Abate” che qui hanno i maggiori centri di produzione e là sotto anche le distese di grano che solamente pochi giorni prima mostravano la loro verde distesa di foglioline. E in cielo continuava il frastuono degli elicotteri che incessantemente per tutto il lunedì, il martedì e il mercoledì hanno sorvolato il territorio e recuperato persone con il verricello, anche a pochi metri da casa.

Avrei voluto trovarmi in Carnia, al buio, isolato, con troppa neve, uscire il giorno dopo, pala in mano.

Oggi, a un mese da quella domenica mattina, tante cose sono cambiate, anche dentro di noi.
Nei giorni scorsi le vie del paese erano ingombre di ogni bendidio da avviare alla discarica, centinaia di elettrodomestici, mobili da cucina, sale da pranzo, letti, materassi, poltrone, divani, valigie piene di vestiti per non parlare poi delle centinaia di auto irrecuperabili. Negozi distrutti e non ancora riaperti, tante attività produttive ancora impegnate a cercare di recuperare macchinari e attrezzature dal mare di fanghiglia residua, non contiamo poi i problemi che potrà avere la fiorente agricoltura delle nostre zone. Esercito e volontari se ne sono tornati a casa.
A noi son rimasti problemi e tante promesse. Più o meno come quelle già sentite e rimaste tali venti mesi fa.
Sinceramente avrei voluto trovarmi in Carnia, al buio, isolato, con troppa neve, uscire il giorno dopo, pala in mano, un po’ di sana fatica, magari anche un bel pupazzo, ma…
Un caro saluto a tutti.

ppg_alluvione_03

Pier Giorgio Pellacani autore del post

Pier Giorgio Pellacani |Pensionato, modesto arrampicatore ma buon escursionista. Buon conoscitore dell’Appennino Modenese, Reggiano e Bolognese. Socio cinquantennale della Sezione CAI di Modena e aggregato alla Sezione SAT di Trento e alla Sezione CAI Fiume. Socio fondatore della Sezione di Modena della Giovane Montagna.

1 commento/i dai lettori

Partecipa alla discussione
  1. Emilio Da Deppo
    Emilio Da Deppo il3 marzo 2014

    Grazie Pier Giorgio per la tua testimonianza….
    Ti scrivo dalle Dolomiti bellunesi, dove la neve quest’anno è stata protagonista assoluta con dei livelli da record.
    Quanto tu affermi l’ ho già sentito da una signora della bassa veneta, alluvionata, la quale con una frase ha sintetizzato il tutto….
    “La neve sta ferma, mentre l’ acqua si muove”… Auguri Emilio Da Deppo

Rispondi a Emilio Da Deppo Annulla risposta