Il Lagorai dal punto di vista geografico viene raffigurato come una catena montuosa

lunga 50 km che rappresenta la spina dorsale del Trentino orientale, con la Val di Cembra a Ovest, la Val di Fiemme a Nord, la Val Cismon a Est e la Valsugana a Sud. Il Lagorai quale area culturale è però più ristretto e coincide con la Valsugana centrale e le profonde valli (Calamento e Campelle) che si spingono a Nord raggiungendo la cresta della catena.
La presenza di aree con connotati culturali molto diversi tra di loro giustifica sicuramente questa delimitazione. Pensiamo, ad esempio, alla Valle dei Mocheni nota per essere un’isola linguistica di origine nord europea e che è riuscita a conservare intatte tradizioni e usanze culturalmente molto distanti da quelle in uso nell’area del Tesino e del Vanoi che chiudono a est la catena del Lagorai. Non ci sono montagne spettacolari, ma boschi e laghi e soprattutto ciò che accomuna tutte le aree di questa catena montuosa, anche culturalmente diverse tra di loro, è quello di essere la zona del Trentino con la maggior presenza di malghe.
Oggi le malghe ristrutturate o recuperate sono solo una parte e quelle rimaste in attività sono ancora meno, le altre sono in rovina e molte, pur ristrutturate, sono abbandonate.
Stringe il cuore entrare in qualche diroccata malga e leggere le scritte dei pastori sulle travi o vedere appeso ad una parete, tra masserizie varie, vecchi vestiti e attrezzi per fare il formaggio, un ultimo calendario di 30 anni fa.

Il Montalon e in basso la malga

Il Montalon e in basso la malga

Stringe ancora di più il cuore vedere malghe

come quella del Montalon venire abbandonate e non essere più monticate perché i proprietari (i baroni Buffa, ora residenti a Padova) non ritengono economicamente conveniente recuperarla per l’alpeggio.
Anche se la maggior parte delle malghe sono al giorno d’oggi di proprietà comunale alcune appartengono ancora alla famiglia Buffa di Castell’Alto (Telve). I baroni Buffa dal XV secolo al XIX secolo sono stati i feudatari della zona. Rinunciarono alla giurisdizione nel 1825 ma conservarono i beni allodiali (di proprietà privata e, anticamente, direttamente alle dipendenze del castello). Storia e tradizioni secolari si stanno perdendo nell’indifferenza generale, e non solo politica. Basti pensare che le malghe associate alla “Libera Associazione Malghesi del Lagorai” che ha perso nel giro di pochi anni la metà dei propri associati, passando da 9 malghe monticate alle attuali 5.
E mentre la montagna si arricchisce di case e baite, graziosamente ristrutturate dai residenti nei paesi del fondovalle, finalizzate ad assaporare nei weekend un angolo di paradiso, malghe e baite in quota vengono sempre più abbandonate e con loro usanze e tradizioni di una cultura che rimane tale solamente nelle feste di paese, nei depliants turistici e nei siti web.
Così oggi una amministrazione provinciale arriva a spendere milioni di euro per rotatorie, nuove strade, tunnel, viadotti, capannoni, inutili centri polifunzionali e perfino per folli e demenziali progetti di nuovi impianti sciistici, senza che a nessuno degli amministratori venga il pur minimo pensiero di quante malghe potrebbero essere recuperate coi denari spesi, magari dotandole di adeguate strade di accesso per renderle economicamente funzionali e vantaggiose.

malga Mendana

malga Mendana

Bisogna sinceramente annotare come non tutte

le amministrazioni comunali si siano comportate in maniera ottusa e conservativa nella gestione del territorio e delle malghe di proprietà. Un buon esempio di gestione ci viene sicuramente dal comune di Bieno che ha recentemente terminato di recuperare le malghe di proprietà (Rava di Sopra e Fierollo di Sopra e di Sotto) con una ristrutturazione, tenendo conto di tutte le prescrizioni urbanistiche e d’impatto ambientale che necessitano tali strutture in contesti montani, che ha previsto per ogni malga anche un locale adibito a bivacco.
Se non prevarrà l’idiozia di coloro che alcuni anni fa hanno lanciato l’idea di un “Lagorai selvaggio” che un marketing turistico-territoriale ruffiano cerca ancora in tutti i modi di far decollare.
Se non vincerà il progetto di qualcuno che preferisce probabilmente che le ultime malghe vengano abbandonate in modo da spacciare questo territorio di millenaria cultura della malga per un’area wilderness, dove organizzare campi scuola e settimane di sopravvivenza dando in pasto ai visitatori i ruderi delle malghe abbandonate come trofeo di vittoria sulla antropizzazione del Lagorai.
Se si smetterà di pensare al Lagorai solo come al prossimo Parco da istituire. Allora e solo allora si potrà sperare di veder consolidata la consapevolezza tra gli addetti ai lavori, gli amministratori e le persone che frequentano la montagna, che le malghe del Lagorai, sono un patrimonio culturale prezioso che va difeso, qualche volta trasformato ma sempre mantenuto e finalizzato per una montagna vivibile e frequentabile.

baita ristrutturata presso località Trenca - Lagorai

baita ristrutturata presso località Trenca – Lagorai

Mario Testolin autore del post

Mario Testolin | Fisioterapista libero professionista, appassionato di montagna (escursioni, ciaspole), di libri e di cinema. Vivo a Breganze (VI).

5 commento/i dai lettori

Partecipa alla discussione
  1. Fausto Carlevaris il26 settembre 2013

    Abito in Valsugana, i Lagorai sono dietro casa. Sono stato contento di trovare citato il caso di Montalon ed anche il riferimento alle malghe di Bieno. Nel Lagorai, se uno ama andare a spasso fuori dal casino, c’è spazio e tempo per stufarsi, i posti dove dormire non sono più i due bivacchi (Aldo Moro e soprattutto Paolo e Nicola) di trent’anni fa, le malghe riadattate sono ormai parecchie, basta volerle cercare.
    PS: su Montalon ti consiglio di leggere il post di TerreAlte http://terrealte.blogspot.it/2012/11/dove-volavano-gli-angeli.html

  2. Paolo il21 settembre 2013

    Interessante questa presa di posizione. Mi apre controcorrente epperò ragionevole. La condivido

  3. Paolo il21 settembre 2013

    Interessante questa posizione. Più che ragionevole.

Rispondi a Fausto Carlevaris Annulla risposta