Ci sono luoghi che invitano al sogno. Vuoi perché emanano un fascino silenzioso e potentissimo,
solo per il fatto di parartisi davanti all’improvviso, allo sbocco del sentiero, vuoi perché, quando li si raggiunge, e se li si raggiunge dalla parte faticosa, ti accolgono dentro.
Così, Adelmo Corniolet, dopo essere partito nel primo pomeriggio dal rifugio che chiude la Valle del Pesciolino, al termine della lunga salita, si sedette sulla gradinata di dolomia, platea di teatro su una scena tra le più amate e suggestive, che replica continuamente senza mai stancare o annoiare. Tolto lo zaino, ascoltò l’eco del suo respiro un po’ affannato, che il silenzio delle crode gli rimandava.
Poco lontano, il rifugio, ma non gli interessava. Fissava rapito le pareti, nell’ombra incombente della sera. Uno si sfianca per mille metri di dislivello, e poi… eccone lì davanti quasi altri mille, ma per lui infinitamente più difficili da superare, impossibili. In realtà non era proprio contrariato o deluso, lo sapeva, che non era un alpinista da roccia. Scarpinatore. Al massimo scarponatore.
Tilla Galauvergne, sua moglie, gli si fece vicino e gli strinse una mano.
Adelmo accarezzò la roccia fredda
su cui si era seduto. Campi solcati. Uguale allo scoglio, giù in riva al mare. Stesse pieghe, stesse fessure scavate dall’acqua. Chiuse gli occhi, e sognò di nuotare lassù, come il Pesciolino della Valle.
Come si può nuotare in montagna? Fra i tanti modi, ovviamente ce n’è uno solo adatto alla salita:
non il dorso, mai dare le spalle alla roccia,
non la rana, la roccia non offre sempre appigli sicuri,
non il crawl, non si può strisciare o rotolare sulle pietre aguzze,
l’unico modo è volare, come una farfalla.
Tilla guardò Adelmo, assopito, e continuando a tenergli le dita tra le sue, lo svegliò sussurrando: «Non ci crederai mai, ma per un attimo, lassù, al passetto, credo di aver visto…»
Decisero di dormire al rifugio. A cena fecero la conoscenza con Emerenziana Trumer, vecchissima campionessa di ski di cuoio e betulla, che raccontò loro i cento fotogrammi in bianco e nero delle sue cento vittorie.
Alle dieci la luce si spense. Tra cigolii di brandine e colpi di tosse, pian piano fu silenzio.
Emerenziana si addormentò subito, sognando
di vedere dall’alto se stessa sciare su un manto di neve vergine, polverosa (ma non vecchia), che virava dal rosa all’indaco al variare del raggio delle curve eseguite al ritmo dolce di un giro di accordi in armonia con l’ampio respiro del panorama che le si faceva incontro veloce. Pfftttt… Fu una discesa veloce, di pochi minuti, al termine della quale Emerenziana, come sempre, si svegliò per non riaddormentarsi più. Fissò dalla finestrella, con occhi spalancati, il quarto di luna che alto sulle crode scandiva lento i sogni degli alpinisti.
Finalmente il cielo rischiara. Emerenziana guarda la luce che avanza, esausta dopo una notte praticamente insonne.
Lassù, da dietro il crinale, il Vecchio emerge
dal buio, sulle spalle pesa lo zaino pieno di sogni che ha racimolato vagando nel buio tutta la notte. La maggior parte della gente è contenta di lasciarglieli, il più delle volte sono incubi, alcuni dormienti si lasciano sfilare serenamente sogni anche belli, perché i sogni belli, si sa, si possono, anzi si vogliono rifare. Solo qualcuno se lo tiene stretto, il suo sogno bizzarro, e l’indomani cerca di raccontarlo, ricostruendolo con arditissime toppe, per dare un qualche senso ai passaggi del sogno che, da svegli, appaiono più slabbrati.
Il Vecchio, forse, qualcuno di quei sogni riuscirà a barattarlo, o addirittura a venderlo, più tardi, alle bancarelle del mercatino di Frau Holle, chissà.
Si sdraia per riposare, chinandosi sulla luce gelida che accende il cespuglio di ghiaccio, fuocherello trasparente che arde nell’alba.
Dopo tanto girovagare, si può finalmente fermare. Emerenziana lo osserva da lontano, dalla finestra. Lei il suo sogno ce l’ha lì, leggero leggero, sotto la coperta, appena accennato, reso diafano dalla veglia insonne. Vorrebbe consegnarlo al Vecchio, gli fa un cenno, ma è troppo stanca. Dopo, pensa per un attimo Emerenziana, dopo. Ma dopo il Vecchio se ne sarà già andato, non farà in tempo a raggiungerlo. Fra poco il sole lo renderà roccia immobile e irriconoscibile. I camosci leccheranno i licheni sui suoi fianchi, le marmotte ruberanno le sassifraghe e le sileni dei suoi anfratti per abbellire l’entrata delle loro tane.
Emerenziana lo sa. E finalmente si assopisce.