Parete nordovest del Civetta

Quello che non si può vedere e sentire nelle foto… si può raccontare…

turbinio di ricordi… pezzi di vita e di sentimento… siamo ai Tabià de Ciamp, ampio pianoro con un bellissimo prato, dove sparsi troviamo dei vecchi tabià, un rifugio, bella gente, gente valenta, si dice da queste parti, che il fine settimana si ritrova a sorridere al cospetto di questa immensa e sorprendente parete che è al Zuita.
C’è un po’ di confusione perché è domenica all’ora di pranzo e dalla cucina arriva il profumo del pastin sulla piastra, di formaggio fuso e funghi. Qualcuno ha dormito qui stanotte perché i balconi sono aperti e le coperte stese sul poggiolo del terrazzo a prendere aria. Qualche panno steso su di uno stendino improvvisato. Il sole è caldo. Gruppetti di zaini sul prato. La gente si saluta con calore, se la ride bevendo una grappa al mugo. Un gruppo di bambini che non sembrano affatto stanchi si rincorrono tra l’erba, urlano felici.

C’è un’esplosione di fiori impressionante.

E’ primavera inoltrata e l’erba è ancora alta, nessuno è ancora passato a falciare e allora ci sono colori bellissimi, dai botton d’oro ai gigli bianchi, alle campanule e il profumo dell’erba… un turbinio di essenze… senti… Sul colle a qualche decina di metri, non di più, piuttosto curiosa si affaccia di quando in quando una marmotta che non sembra per niente spaventata da tutta questa confusione domenicale.
Attraverso il prato, alla spicciolata continuano ad arrivare gli avventori, con passo lento e stanco, perché la salita è stata davvero faticosa, lunga. La salita… sì… inizia con una strada sterrata dal piccolo paesino di case bianche e tabià di legno scuro dove si lascia l’auto, Piaia, e immediatamente senza farti respirare la mulattiera si inerpica dritta dentro al bosco. Il primo pensiero è di rinunciare e tornare indietro, sembra che la salita non finisca mai, ma la curiosità ha il sopravvento e tu vuoi vedere dove ti porterà questa strada e vuoi anche un po’ sfidare te stesso, e quindi sperando che prima o poi la pendenza si faccia più dolce… procedi… passo dopo passo.

Giglio e rifugio Sasso Bianco

Giglio e rifugio Sasso Bianco

Lunghe salite che non mollano mai, qualche

tornante, dei tabià e il silenzio, interrotto solo dal campanile della piazza con i suoi rintocchi. Uno squarcio tra la vegetazione e lo vedi, campanile, chiesetta e la piazza grande e ti chiedi cos’altro potresti desiderare e pensi che non vorresti essere da nessun’altra parte. Lentamente e senza fretta raggiungi la teleferica e ti pervade un senso di gioia, da lì in poi tutto è più semplice. Un filo diretto che ti collega ormai al tuo agognato arrivo. Segui le palline rosse e bianche che indicano la presenza del cavo sospeso e sai che lassù dove finiscono, sei arrivato alla meta. Non ti perdi d’animo e prosegui allegro e quasi rinvigorito.
La strada si fa sentiero, finalmente più dolce, ma non è ancora finita, devi attraversare il ruscello, costeggiare il torrente, salire tra gli alberi e riposarti sulla panchina di legno. E’ proprio lei la regina del sentiero, non puoi non fermarti e approfittare del piacere che ti offre. Sarà la posizione, o la consapevolezza di essere quasi arrivato, che con piacere ti togli lo zaino. Da questo punto si apre una piacevolissima panoramica sulla valle e ritrovi di nuovo, ancora, la chiesetta, il suo campanile e la tranquilla piazza di San Tomaso e i borghi vicini, Pianezze, Costoia e Canacede, la frazione più alta.

Manca davvero poco per arrivare

e non si ricorda quasi più la fatica della salita, si pensa solo alla meta così vicina e si viene attratti da quel rifugio che segna la fine delle fatiche. Quasi non ci si rende conto e ci sei, Meraviglioso! Qualcosa richiama fortemente la tua attenzione. Prendi fiato, ti giri e finalmente lo sguardo si posa su di essa e riaffiora la voglia di cercare in quella parete immensa, silenziosa, le sue guglie, le fessure, gli strapiombi, di segnare il suo profilo con un dito.

Parete nordovest del Civetta

Parete nordovest del Civetta

Eccola, esposizione nord ovest con più di mille

metri di parete verticale. Se osservi attentamente tra quelle crepe sicuramente ci trovi un paio di alpinisti che non più grandi di due piccoli puntini colorati stanno tentando di risalire una bellissima linea immaginaria. Le possiamo vedere su quella parete le tantissime vie e linee che con il tempo sono state ideate, fortemente cercate e infine realizzate da generazioni di alpinisti. Le più famose corrono vicino al triangolo di ghiaccio che non si scioglie mai. Mentre scruti ogni singola guglia, diedro e sperone i pensieri si affollano e ti affiorano alla mente i ricordi… legati a quella splendida vista. Le tante sere passate a veder calare la notte, aspettando se e come sarebbe stato il tramonto visto da lassù, perché mai uguale a se stesso. Esso ti sorprende sempre. A volte lo senti nell’aria che lo spettacolo sta per arrivare e allora il tramonto diventerà un momento al quale non ti potrai sottrarre perché ci sarà l’Enrosadira. Una manciata di minuti che portano una gioia infinita, che ti ricordano che la vita è un miracolo, in ogni sua forma.
Sarebbe ora di scendere, ma chi ne ha voglia… non si può rimanere per sempre quassù? Questo il pensiero, ogni volta che ce ne andiamo, stanchi, felici ma già con un filo di nostalgia…

Enrosadira

Enrosadira

Paola Marcon autore del post

Paola Marcon | Laureata in design, disegnatore tecnico presso uno studio, appassionata di montagna. Ho praticato alpinismo, arrampicata ed escursionismo. Vivo a Orsago (TV).

1 commento/i dai lettori

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  1. GIORDANO il19 novembre 2014

    Grazie per le emozioni che mi ha lasciato questo racconto.. grazie

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