“Altitudini. Storie da condividere” l’evento che ha aperto l’Winter Film 2016 (rassegna cinematografica che si è svolta a Feltre e Pedavena tra gennaio e febbraio) è riuscito a sorprendere gran parte del pubblico che ha letteralmente riempito l’Officinema di Feltre. La prima volta di un appuntamento che non ti aspetti e che forse ha spiazzato più di qualcuno.
Nella affollata serata, condotta da Teddy Soppelsa e Andrea Benesso, cinque narratori sono saliti sul palco, ognuno con una storia, con la propria storia, per confrontarsi sul tema “meno è meglio”. Racconti esemplari da condividere che conducono verso le montagne. Storie emozionanti, coinvolgenti che fanno pensare quanto diverse possono essere le montagne della nostra vita da scalare.
A narrare le loro storie c’erano: Giovanni Spitale (filosofo e scalatore); Luca Pisoni (archeologo ed etnografo); Vinicio Stefanello (editor di planetmountain.com e regista); Daniela Zangrando (curatore); Emilio Previtali (esploratore e sci-alpinista).
Tutte le narrazioni sono state raccolte in 5 video e verranno pubblicate nelle prossime settimane a partire da questa storia, davvero bella e potente, di Giovanni Spitale.

Guarda gli altri video di “altitudini. storie da condividere”
#1 | Aspettare | Giovanni Spitale
#2 | Cosa ti porti in Europa?| Luca Pisoni
#3 | Meno pregiudizi| Vinicio Stefanello
#4 | Big babol – any fucking thing you love | Daniela Zangrando
#5 | L’avventura è | Emilio Previtali

#1 | Aspettare | Giovanni Spitale | altitudini. storie da condividere

Giovanni Spitale / filosofo e scalatore
Sono uno che con l’attesa ci sa fare; si potrebbe dire che aspettare è una delle mie qualità migliori, sviluppata a forza, controvoglia e tramite un sacco di stratagemmi. Sei anni fa un medico, guardandomi attraverso i suoi spessi occhiali posati sul naso, mi ha informato che il mio midollo osseo aveva smesso di funzionare per via di una malattia che si chiama aplasia midollare idiopatica. Probabilità di decesso in sei mesi…

Giovanni Spitale (Castelfranco Veneto, TV, 1987), vive, lavora e scala tra le montagne della Valbrenta. Per vocazione da sempre attento e curioso cacciatore di risposte ultime, ha incanalato questa sorta di ossessione nella sua formazione universitaria, laureandosi in Filosofia e in Scienze Filosofiche. Nel 2009 scopre di essere affetto da una grave malattia ematologica, la quale riduce drasticamente la sua aspettativa di vita. È un momento cruciale, che definisce un prima ed un dopo: la curiosità e l’interesse intellettuale si focalizzano sull’etica e sulla bioetica, campi in cui la filosofia può rendersi utile, mutando da attività speculativa fine a se stessa a strumento in grado di rendere il mondo un posto migliore. Da questa svolta nascono numerose attività e collaborazioni mirate a costruire e diffondere una filosofia ben costruita ed al contempo comunicabile ad un pubblico generalista, che abbia il suo cuore nel dono come gesto al contempo possibile e indispensabile dell’esperienza umana. Tra tutti: “Qualcosa da Donare”, progetto rivolto alle scuole superiori; “Climb for Life”, destinato agli scalatori; “Bassano Città del Dono”, implementazione dell’etica (e della pratica) del dono nel comune di Bassano del Grappa. Ha collaborato e collabora con ADMO – Associazione Donatori di Midollo Osseo; AVIS – Associazione Volontari Italiani del Sangue; FBOV – Fondazione Banca degli Occhi del Veneto. Nel 2012 ha preso parte alla realizzazione del libro – film “Il turno di notte lo fanno le stelle”, scritto da Erri de Luca e diretto da Edoardo Ponti. Nel 2015 pubblica il saggio “Il dono nelle donazioni. Una prospettiva bioetica” (Il Poligrafo), dedicato alle donazioni anatomiche. Ad oggi disoccupato (ma ben organizzato), è alla ricerca di un’occupazione – se esiste – che gli permetta di occuparsi professionalmente ed utilmente di etica e bioetica. www.giovannispitale.net

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2 commento/i dai lettori

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  1. Andrea Perini
    Andrea Perini il11 marzo 2016

    Commentare una simile testimonianza non è facile e bisogna farlo “in punta di piedi” … ma ci provo. Mi piace questa scarpetta d’arrampicata come simbolo che assurge a segno di speranza e sfida, una promessa a lottare senza arrendersi. Personalmente penso che quando si ha a che fare quotidianamente con la malattia e la morte vista negli occhi degli altri o vissuta direttamente sulla propria pelle (e non solo come frutto di riflessioni filosofiche), la montagna possa essere vissuta come un luogo dove “esercitare la vita”: ritrovare il fiatone e la fatica, raggiungere un obiettivo seppure piccolo e insignificante, gustare luci, colori e odori che a volte ci vengono negati, possono essere stimolo per andare avanti, farci sentire ancora padroni del nostro corpo e dimostrare che la nostra volontà è ancora forte. Auguro a Giovanni Spitale di poter consumare quelle sue scarpette, con tutto ciò che questo significa.

  2. Giorgio Madinelli
    Giorgio il9 marzo 2016

    Troppo stupido commentare che lo avevo già detto anch’io, ciò che Giovanni trae come succo dal suo racconto? http://old.altitudini.it/educare-alla-morte-in-montagna/
    Se insieme siamo giunti all’identica soluzione, per caso, per puro caso, sarà che il motivo ispiratore di cotale filosofia è simile?
    Bravo Giovanni!

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