Veduta lungo il percorso di cresta

L’alta via delle Alpi Biellesi è un bellissimo e vario trekking in quota che segue la linea di cresta delle cime che circondano Biella.
Ha uno sviluppo di circa 40 km, frazionabile in 5 tappe, e unisce idealmente i villaggi alpini di Piedicavallo e Bagneri.
Forse non è un’alta via particolarmente nota ma ha un fascino nostalgico.
Raggiungere la propria cima può essere la conclusione di una esperienza, ma anche l’inizio di nuovi progetti e paradossalmente
più facciamo più scopriamo che c’è altro da fare, tanto che spesso si ha la sensazione che il tempo sia troppo poco per fare tutto.
Così a nuovi orizzonti corrispondono nuovi luoghi da conoscere e quale modo migliore per scoprirli se non percorrere un’alta via?

L'Alta Via delle Alpi Biellesi si svolge su terreno sovente esposto con alcuni tratti attrezzati e altri di facile arrampicata. Per lunghi tratti i sentieri sono poco più che tracce, è necessario piede sicuro, buon allenamento e un buon senso dell’ orientamento.

L’Alta Via delle Alpi Biellesi si svolge su terreno sovente esposto con alcuni tratti attrezzati e altri di facile arrampicata. Per lunghi tratti i sentieri sono poco più che tracce, è necessario piede sicuro, buon allenamento e un buon senso dell’ orientamento.

—1° giorno
Mentre viaggio lungo l’A4 cerco di vedere dove sono le montagne verso cui sono diretto, ma l’orizzonte appare tristemente piatto e le cime nascoste dalla foschia. Solo in prossimità di Biella si comincia a intuire qualcosa ma sono già troppo vicino per cogliere una visione d’insieme. Non resta che seguire la strada che si addentra in Valle Cervo fino a Piedicavallo (1050 m). Qui lascio l’auto e comincio il cammino lungo il sentiero E60 che percorre interamente il Vallone della Mologna. Lungo una bella mulattiera lastricata procedo con passo tranquillo nel bosco, raggiungo le Baite della Monta, poi attraverso romantici alpeggi il sentiero si fa più ripido e faticoso mentre il rifugio appare ancora come un puntino lontano. Il cielo è fosco e il sole fa sudare, ma nonostante il passo rallenti procedo curioso e contento, infine raggiungo il Rifugio Rivetti (2150 m). Sento il peso del viaggio e della salita, le nuvole cominciano ad addensarsi sopra le cime e all’improvviso comincia a gocciolare, così ho la scusa per infilare le ciabatte e andare a fare un rigenerante pisolino. Dopo il breve riposo scendo nella sala da pranzo e mi siedo in un angolo ad ascoltare aneddoti e racconti. Le foto in bianco e nero appese alle pareti testimoniano momenti di vita passata, quando la gente animava con semplicità gli alpeggi seguendo i ritmi della natura, la pioggia alimentava le fonti, la nebbia saliva fitta e densa dalle risaie e la neve scendeva abbondante fino a valle. Aleggiano ricordi di gite tra i monti, momenti divertenti e altri difficili che si percepiscono anche senza essere narrati, creando un senso di nostalgia per il passato. L’atmosfera si riscalda quando ci sediamo tutti assieme in un’unica tavolata, con caraffe d’acqua e bottiglie di vino a consumare una lauta cena: gnocchi al ragù, formaggi d’alpeggio, frittata, pomodori, caffè e grappa… Ma chi sta meglio di noi? Dopo tanta ospitalità mi vado a coricare in attesa del sorgere del sole.

—2° giorno
Sveglia presto per partire con le prime luci. Risalgo il pendio erboso cosparso di massi, mentre la valle si sveglia illuminata dai raggi del sole. La luce dalle cime scende lungo le pareti, scalda le rocce, asciuga la rugiada sull’erba, arriva al sentiero e scende giù verso i boschi. Procedo con la curiosità di scoprire cosa c’è oltre la forcella: niente di eccezionale, nessuna grande impresa, nulla che altri non abbiano già visto, ma è una novità ai miei occhi e osservo con lo stesso stupore di chi vide questi luoghi per la prima volta. Di fronte a me un’altra valle e poi file di cime oltre le quali scorgo il Monte Rosa e il Cervino, nomi celebri, mitici. Alla mia sinistra la cresta lungo la quale prosegue la via, alla mia destra la Punta Tre Vescovi (2501 m) che decido di salire per vedere ancora un po’ più in là. Torno sui miei passi e comincio a seguire i sbiaditi segnavia azzurri tra le rocce, quasi con la sensazione di percorrere un vecchio cammino in disuso. La giornata è splendida e la vista spazia tra Piemonte e Valle d’Aosta, dalla pianura alle cime innevate, mentre mi diverto ad usare le mani tra rocce rotte e nei brevi tratti attrezzati. Dal Colle della Mologna Grande (2364 m) si giunge al Colle della Mologna Piccola (2205 m) passando per i Gemelli di Mologna (2473 m). Raggiungo il Colle Bosa (2150 m) e incomincio a risalire un tratto tanto breve sulla carta quanto a me sembra eterno: un susseguirsi di ondulazioni che ogni volta raggiungo con la sensazione di essere arrivato, ma inesorabilmente la meta viene spostata un po’ più in là. Risalgo aspri e ripidi pendii erbosi attraverso tracce spesso labili che, nonostante i segni di vernice, sembrano destinate presto a scomparire. Solo l’arrivo a Passo Ambruse (2280 m) pone termine a questa tortura e dà inizio alla discesa verso il Rifugio della Vecchia (1872 m). Vi arrivo verso ora di pranzo quando il rifugio è pieno di visitatori. La valle non ha una particolare propensione turistica, cosa che nel bene o nel male lascia a questi monti un’aura di selvaticità (eccetto i giorni festivi quando la valle è percorsa da numerosi escursionisti). Ancora una volta si addensano le nuvole e quando gli ultimi gitanti stanno ormai rincasando comincia a piovere. Mi fermo davanti alla porta a guardare le gocce cadere sul cortile deserto, con la speranza che per l’indomani le previsioni confermino la promessa di una giornata con sole e nuvole. Intanto mi raggiunge Valeria, la gestrice. Ha terminato il lavoro in cucina e ora si concede una meritata pausa. Scambiamo qualche parola prima di cena e conferma la sensazione che questa alta via sia decisamente poco frequentata, per quanto i percorsi di cresta siano tra i più remunerativi della zona.

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—3° giorno
Valeria mi saluta e prima di andarsene mi raccomanda di farle una telefonata appena arrivo a destinazione: una premura che apprezzo molto. Il cielo è scuro e fosco verso la pianura, ma sembra azzurro sulle cime e quindi parto con la speranza di avere un’altra bella giornata. Seguo la mulattiera verso il lago della Vecchia con le sue leggende, poi la mulattiera sale al Colle della Vecchia (2187 m) da dove devio per il sentiero verso il Passo delle Tote (2292 m). Da qui comincia la risalita della bella e panoramica cresta, o così dovrebbe essere se nel frattempo le nuvole non si fossero addensate rendendo l’aria umida e le rocce scivolose. Un percorso altrimenti divertente diventa un cimento di acrobatismi per non essere scrollato giù dalla montagna, mentre per attraversare alcune placche di granito mi devo esibire in ridicole progressioni in dulfer a gattoni. Più lentamente del previsto arrivo in cima al Monte Cresto (2546 m) da cui mi affretto a proseguire giacché la strada è ancora lunga. Il percorso procede lungo il crinale con un saliscendi che tocca il Monte Pietra Bianca (2491 m) e la Punta della Gragliasca (2397 m), mentre le nuvole si infrangono contro le pareti e risalgono spumeggianti verso il cielo. Arrivo al Colle della Gragliasca (2213 m) e qui temo che il temporale mi sorprenda lungo la cresta, decisamente pericolosa da percorrere con il brutto tempo (le nuvole potrebbero togliere visibilità dove già non c’è traccia e le rocce potrebbero diventare ancor più scivolose dov’è necessario arrampicare). Onde evitare di rimanere in balia degli eventi, senza possibilità di avanzare o retrocedere, decido di abbassarmi fino sul sentiero dell’Alta Via 1, certamente più sicuro. Appena comincio a scendere inizia a gocciolare. Spero in una nuvola passeggera ma la pioggia si fa più insistente. Accelero il passo e raggiungo un edificio diroccato dove mi riparo giusto il tempo per coprirmi e ripartire. Una volta sceso devo solo risalire il sentiero passando per il Lago della Barma fino al Colle della Barma (2261 m). La pioggia mi rende solitario testimone di quei momenti, mentre procedo a passo serrato senza pause. Purtroppo non ho il tempo di fermarmi a contemplare il paesaggio, si aggiungono tuoni e grandine, il sentiero si trasforma in un torrente e su ogni balza compare una cascata. Mi sento come un salmone che risale la corrente. Raggiungo la forcella e vedo a pochi chilometri il sole mentre qui ancora diluvia. Inizio a scendere lungo il sentiero D21 verso il Rifugio Rosazza (1813 m); mentre passo sotto la cabinovia che sale al Monte Camino e alla Capanna Renata (tappa dell’alta via, ma il rifugio è chiuso) la pioggia cessa, ma ormai l’acqua ha scovato ogni pertugio nei miei indumenti per darmi una bella lavata. Arrivo al rifugio e trovo la stufa accesa che sembra avere qualcosa di miracoloso. Mi ci piazzo davanti per asciugarmi e asciugare tutto quello che ho nello zaino. Intanto parlo con Claudia, la gestrice che si occupa da sola del rifugio assieme al suo cane Maya. Scopro che è salita appositamente per aprirlo, evidente dimostrazione della passione che la muove. Mi racconta della sua vita che si alterna tra le normali faccende di una mamma, le difficoltà di lavorare in quota e l’altra sua passione: le gare di scialpinismo. Mi illustra i possibili itinerari da percorre a piedi, suscitando in me la voglia di salire sul Monte Mucrone o sul Monte Tovo, oppure quelli da scendere con gli sci in neve fresca. Mi spiega che la cabinovia è chiusa per la mancanza dei fondi alla sua manutenzione e di conseguenza le difficoltà della vita del rifugista. Intanto arriva la sera e la luna sale nel cielo limpido ad illuminare i profili delle montagne. Sono dispiaciuto per le cime che non ho potuto salire a causa del maltempo, ma sono felice del tempo che ancora mi rimane da trascorrere su queste montagne.

Alba dalla Colma di Mombarone

Alba dalla Colma di Mombarone

—4° giorno
Sveglia presto e colazione ricca. La mattinata sembra promettere bene e parto per il sentiero D23 verso il Colle Chardon (2220 m) dove mi ricongiungo con l’Alta Via. Visto che il celo è ancora limpido decido di seguire la ferrata Ciao Miki alla quale segue un sentiero che conduce alla vetta più alta del biellese, il Monte Mars (2600 m). Dopo la sosta per le foto di rito comincio a scendere per l’impervia cresta, mi fermo e vedo la cima appena raggiunta avvolta dalle nuvole. Continuo a scendere senza troppe pause fino al Rifugio Coda (2280 m). Qui purtroppo non posso fare tappa, il rifugio è al completo per via del Tor Des Giants, una gara ultra trail che si corre in questi giorni. Dopo aver fatto scorta d’acqua riprendo il cammino, incrocio alcuni atleti impegnati nella gara: alcuni sembrano disorientati, altri sfigurati e pochi hanno la faccia di chi si sta veramente divertendo. Cedo comunque il passo, riconoscendo l’impegno e la fatica della prova a cui si stanno sottoponendo (330 km, 24.000 m D+, tanto per dare due numeri). Mi sento inseguito dalle nebbie, le cime che ho davanti sono nelle nubi e, temendo un’altra lavata come ieri, decido di affrettarmi evitando di salire il Monte Bechit e il Monte Roux. Così seguo il sentiero che a mezza costa mi conduce direttamente al Colle della Lace (2121 m). Da qui riprendo il percorso di cresta che mi porta abbastanza facilmente alla Punta Tre Vescovi (2344 m) e alla Colma di Mombarone (2371 m) dove svetta l’alta statua del Redentore che avevo visto giocare a nascondino tra le nuvole. Poco sotto c’è il Rifugio Mombarone (2312 m), ma è chiuso e devo quindi ripiegare sul bivacco invernale. Finalmente sono arrivato e sebbene sia avvolto dalle nuvole, almeno oggi sono asciutto. Mi cambio e mi metto addosso qualcosa di più pesante, per cena mangio minestrina, salame e uova sode. Poi salgo verso la cima per godere della luce del tramonto, ma le nuvole non concedono molto. Gli ultimi raggi proiettano l’ombra delle cime verso la pianura dove di lì a poco si accenderanno le luci a disegnare una specie di stella che si diparte dal centro di Biella. Vado a letto sperando che l’alba possa regalarmi qualcosa di più. La notte trascorre sorprendentemente bene, sotto cinque coperte.

—5° giorno
Sveglia presto per salire sulla cima a vedere l’alba mentre mangio cioccolata per colazione. Una leggera foschia copre le valli e sopra quella esile linea bianca si posano le cime sonnacchiose, incorniciate da una flebile luce rosa, sotto un cielo pallido azzurro. Il sole sorge lentamente e attimo dopo attimo posso vedere il Monte Rosa prendere colore, fino a che il sole arriva a scaldarmi. Dopo questo spettacolo recupero lo zaino al bivacco e comincio la discesa lungo il sentiero B7 fino a Graglia (603 m): prima incontro una bella cresta panoramica e poi degli assolati alpeggi. Mentre scendo penso che a volte è difficile vivere il presente, perché siamo troppo condizionati dal passato o troppo proiettati ai programmi del futuro. Sono importanti sia i ricordi che i sogni, ma non dobbiamo scordarci di vivere la vita. Così durante questa discesa cerco di mordere l’aria che mi circonda, lasciando che i colori e gli odori di inizio autunno mi facciano assaporare questi istanti, senza pregiudizi e senza previsioni, solo con la gioia di essere qui, ora. Dopo 1800 metri di discesa mi sento più leggero, nonostante la pesantezza delle gambe. Mi sembra di vedere un po’ più chiaramente, anche se le nuvole sempre più scure avvolgono le cime. Da Graglia l’autobus mi riporta a Biella e poi dalla stazione a Piedicavallo per recuperare l’auto. Lascio il sole alle mie spalle e vado verso un cielo sempre più cupo. Il vento muove le foglie, poco dopo diluvia e mi lancio in una breve corsa sotto la pioggia che mi lascia (ancora una volta!) zuppo. Butto lo zaino sul sedile e mi infilo in auto, l’alta via delle Alpi Biellesi è terminata!


Bibliografia: “Passeggiate delle montagne del biellese – Alta Via e 52 itinerari”, Corrado Martiner Testa, Blu Edizioni (Introduzione all’Alta Via delle Alpi Biellesi: “…vario e remunerativo trekking parzialmente alpinistico che percorre gran parte del cerchio di montagne sovrastanti Biella… Il percorso è stato tracciato dalle guide alpine della Tike Saab con la collaborazione della Provincia di Biella all’inizio degli anni 2000 ed è segnalato con cartelli indicatori e segni blu, nonché attrezzato con corde fisse nei tratti più impegnativi…”).
Cartografia: carta dei sentieri biellese nord-occidentale – Foglio 2 – 1:25.000 (per richiedere gratuitamente la carta dei sentieri del Biellese).

Rifugio Rivetti, Rifugio Della Vecchia, Rifugio Rosazza e Bivacco del Mombarone

Rifugio Rivetti, Rifugio Della Vecchia, Rifugio Rosazza e Bivacco del Mombarone

 

Andrea Perini autore del post

Andrea Perini | Sono nato a Venezia il 02/02/1984, lavoro come fisioterapista a Mestre, semplicemente appassionato di montagna. Da piccolo ho frequentato la montagna trascorrendo i mesi di vacanza estivi coi nonni nella casa di Col di Rocca Pietore (BL), percorrendo facili passeggiate ai rifugi della zona coi genitori e poi sperimentando l’escursionismo solitario che poco a poco mi ha portato a percorrere tutte e otto le Alte Vie delle Dolomiti. Da qui ho cominciato una esplorazione sistematica soprattutto della zona dolomitica, spingendomi poi anche in altre regioni per affrontare alcuni trekking di più giorni; la quantità di progetti sulla scrivania è ancora numerosa. Appassionato di foto, pratico discretamente l’arrampicata sportiva e frequento la montagna in ogni stagione d’estate con gli scarponi e d’inverno con gli sci.

3 commento/i dai lettori

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  1. Luigino il1 novembre 2016

    Bravo Andrea…in un pomeriggio un po’ uggioso mi hai fatto sognare la montagna piu’ vera e leale…per un po’ sono stato la’ anche io…

  2. luciano cipolato il28 ottobre 2016

    Disgraziato come sempre da solo. “Mentre scendo penso che a volte è difficile vivere il presente, perché siamo troppo condizionati dal passato o troppo proiettati ai programmi del futuro”. Il tuo è un pensiero profondo ma nebuloso se mi permetti; per noi esiste solo il futuro, il passato è PASSATO E LO ABBIAMO SUPERATO SOLO PERCHE’ ABBIAMO PENSATO AL FUTURO. Deve essere stato un bel giro, sono zone che non ho mai visto. Come sempre ti invidio. Un grande abbraccio.

    • Andrea Perini
      Andrea Perini Autore il30 ottobre 2016

      Indubbiamente quanto dici è giusto. Il passato è importante perché è quello che ci ha reso quello che siamo e il futuro lo è altrettanto perché ci permette di andare avanti. Ma sento il pericolo di essere talmente condizionati dal passato e talmente proiettati nel futuro da lasciarci scappare il presente. Riuscire a vivere più profondamente il presente forse ci aiuterà ad avere ricordi più vividi e godere maggiormente l’attesa per i nostri sogni. In quanto al resto … beh, un po’ mi conosci, che ci vuoi fare :-) Però mi fa piacere se almeno con qualche parola e qualche foto ti ho fatto vivere un pizzico di questa esperienza.

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