UN VAGABONDO IN GROENLANDIA
testo e foto di Marco Combi (Dolzago, LC)
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L’orizzonte è fonte di sogni di vagabondaggio, un richiamo ancestrale di nostalgia per qualcosa che non sappiamo nemmeno se ci sia mai stato.
Quando la linea dell’orizzonte è costituita dalle montagne, come per chi come me è cresciuto in qualche paesino circondato da cime, è naturale che queste assumano la stessa valenza.
L’esperienza reale della montagna, però, è generalmente diversa dalle fantasticherie di viandanti che vi bivaccano ai piedi, girovagando e scappando dalla realtà quotidiana. Percorsi da studiare, orari precisi e zaini da preparare attentamente esasperano quei meccanismi di controllo che attuiamo nella vita di tutti i giorni. Sebbene il fatto di accordarli alla natura piuttosto che ad inventate e superflue usanze umane le renda più accettabili e meno opprimenti, quando si è sognatori arriva un momento in cui questo accordo non basta più: è così che, appena laureato, decisi di partire con tenda e sacco a pelo a girare per tre mesi in Islanda.
Quando la stagione turistica cominciava a scemare, i mezzi pubblici diminuivano e raggiungere in autostop qualche posto non garantiva di trovare un passaggio per il ritorno in tempi ragionevoli, mi trovavo a Reykjiavik. Lo scopo del mio viaggio non era certo quello di starmene in città e così scelsi un vagabondaggio nel vagabondaggio: ero troppo vicino alla Groenlandia per non farci un salto. Arrivai a Tasilaaq e pensai che non fosse il caso di piantare la tenda su un terreno di roccia dura battuto da venti che soffiano a più di cento chilometri orari.
Cercai la Casa Rossa di Robert Peroni, un luogo che è diventato punto di ritrovo per la comunità locale Inuit e che serve anche come punto di appoggio per i turisti. Non mi trovavo lì in piena stagione turistica ed ero l’unico ospite della casa, quindi non c’era possibilità di tour guidati. Uscivo la mattina e iniziavo ad arrampicare su piccoli monti che c’erano lì intorno e verso sera tornavo a casa, mi fermavo e osservavo gli Inuit stare insieme a guardare l’orizzonte. Mi sedevo in disparte, mi mettevo a fare lo stesso e sentivo che in quel momento quell’orizzonte non mi chiamava da nessun’altra parte. Non si trattava certo di vagabondare sull’Everest, ma salire su quelle cime innevate e provare a scalare qualche parete scivolosa senza mappa, sentieri o orari è stata l’esperienza più vicina quella che avevo sempre sognato guardando delle montagne in lontananza.
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Marco Combi | Sono appassionato di viaggi, di natura e di wilderness. Il mio sogno è quello di vivere in una casa nel bosco.
Il mio blog | Al momento non ho un blog, mi affidi quindi a altitudini.it – http://old.altitudini.it
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