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Casa cantoniera presso Passo Rest (1050 m). Foto di Silvano Titolo; elaborazione grafica di Orsetto.

Casa cantoniera presso Passo Rest (1050 m). Foto di Silvano Titolo; elaborazione grafica di Orsetto.

SALVÀN

testo di Giorgio Madinelli (Azzano Decimo, PN)
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Se Messner era partito alla ricerca dello Yeti, perché lui, Paolo il fotografo, non poteva documentare l’esistenza del Salvàn?

Per giorni s’inoltrò tra le montagne. La sua meta la decideva di volta in volta dall’alto dei crinali. Disdegnava le valli punteggiate di case e scendeva invece in quelle selvose. A volte capitava in antichi pascoli dove le vecchie malghe costituivano rifugio per gli escursionisti. Qui trovava sempre qualcosa da mangiare: quelli furono i viveri, insieme ai prodotti del bosco, che gli permisero una lunga permanenza tra le montagne.

Quando pioveva si riparava sotto qualche strapiombo e restava in attesa del bel tempo. A volte, però, usciva e camminava sotto la pioggia, fidando che il rumore di questa tra le fronde del bosco, potesse nascondere quello dei suoi passi e portarlo a sorprendere il Salvàn. Per lo stesso motivo s’infilava nei capelli e tra i vestiti frasche e foglie di felci e si sfregava la pelle con muschio e funghi per camuffare il suo odore.

Senza meta, capitò su di una mulattiera dalla quale si vedevano alcune case. Nascosto dalla vegetazione si fermò incuriosito ad osservare dei bimbi che giocavano saltellando su di una gamba sola. Quella scena gli ricordava qualcosa.

All’improvviso, sul sentiero comparve una donna. I loro sguardi s’incrociarono. La vide spalancare occhi e bocca, portarsi le mani tra i capelli e mentre si girava e fuggiva la sentì gridare:

«Il Salvàn! Il Salvàn!»

Paolo non capiva. Il Salvàn? Dove? I bimbi guardavano nella sua direzione. Alcuni adulti erano usciti dalle abitazioni gridando. Senza aspettare altro si tuffò di corsa nel bosco per mettere più distanza possibile tra sé e quel trambusto.

Nell’attraversare un ruscello si fermò. Aveva la bocca impastata per la corsa e si chinò a una pozza per dissetarsi. Dentro, nell’acqua, lo vide! Il Salvàn era in quella pozza, forse alle sue spalle, ma non capiva come potesse essere lì e non farsi vedere! Era come nelle sue fantasie di bambino, sotto le lenzuola, quando immaginava il Salvàn che l’inseguiva con le terribili pupille di bragia. Paure che allora spezzava con una parola magica. Riprese a fuggire Paolo, guardandosi le spalle, terrorizzato. Dal profondo del suo passato ricordò quella parola e nell’ansimare della corsa farfugliò:

«Mamma!»

Ma perché non veniva ora quella carezza fresca sulla sua fronte, di quella mano morbida e rassicurante?

Percepiva soltanto il fastidio di qualcosa che gli batteva ripetutamente sull’anca. Si fermò togliendosi di spalla la macchina fotografica, osservò quell’oggetto fastidioso senza ricordare cosa fosse. Lo lasciò cadere tra i cespugli e, lanciando preoccupate occhiate intorno, scomparve nel profondo del bosco.

Note: L’uomo selvaggio (Wildman, o “Wildman dei boschi”, arcaicamente Woodwose o wodewose; om selvàrech nel bellunese; om pelos in Trentino; salvàn in friulano) è una figura mitica che appare in opere d’arte e nella letteratura dell’Europa medievale, paragonabile al satiro o al fauno nella mitologia classica e a Silvano il dio romano dei boschi. La caratteristica distintiva della figura è la sua natura selvaggia, coperto da peli e molti capelli.

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giorgio madinelli_bc2016_voltoGiorgio Madinelli | Esploratore dei greppi.

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7 commento/i dai lettori

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  1. Paola Secco il3 agosto 2016

    Ciao. Come sempre un testo divertente ma…sostanzioso. Anche in questo caso, leggendo, mi viene in mente la sceneggiatura per un fumetto e questo, dal mio punto di vista, è un complimento.
    Paola

  2. Massimo Bursi il2 agosto 2016

    Anche questo racconto di Giorgio è criptico e fuori dagli schemi: mi piace! -http://flashdialpinismo.wordpress.com

    • Giorgio Madinelli
      Giorgio il3 agosto 2016

      Ciao Massimo, provo a decriptare: ho estremizzato il prodotto di un vagabondaggio privo di scopi e limiti, dove la razionalità umana ne risulta soggiogata e favorisce l’istintualità animale con conseguente insorgenza di malattia mentale. Potrebbe risultare una bestemmia per chi invece s’impegna a vivere (e descrivere come nel caso dei partecipanti a questo contest) il lato romantico del vagabondaggio. Ma, in un istinto vagabondo vi è sempre un limite razionale che frena e riporta alla realtà, se non altro i pericoli e il desiderio di sopravvivenza. Ho provato dunque a riflettere su una situazione che va oltre il razionale per vederne il risultato: solo un folle può essere un vagabondo inveterato!

  3. Dorino Bon il26 luglio 2016

    Questa volta mi lascio tentare. Buona Montagna e Felice Vita a Tutti Voi.- http://www.ilblogdellamontagna.it

    • Giorgio Madinelli
      Giorgio il27 luglio 2016

      Non ho capito bene da cosa ti fai tentare; se dal diventare un “salvadi” sei già sulla buona strada :)
      se invece sei tentato di partecipare al contest, ahinoi non abbiamo più speranze di vittoria!

  4. omarut il26 luglio 2016

    Molto bella Giorgio! :-) http://omarut.wordpress.com

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