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Immagina scattata al mio arrivo al Rifugio Tagliaferri, la sera stessa a cui si riferisce il racconto.

Immagina scattata al mio arrivo al Rifugio Tagliaferri, la sera stessa a cui si riferisce il racconto.

LA MERAVIGLIA DI PERDERSI

testo e foto di Alessandro Romelli (Vilminore, BG)
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Mi alzai presto e andai a vedere il cielo.
Completamente coperto, pioveva così rabbiosamente da farmi mettere da parte i propositi di una mattinata all’aperto. Più tardi però realizzai che quella pioggia avrebbe potuto regalarci una sera di cielo terso; fu così che crebbe in me l’idea di una camminata serale. Ho imparato che le ore migliori per incontrare la montagna sono le prime e le ultime, perché sono quelle in cui tutto è diverso e per certi versi più intimo, segreto.

Decisi che nel pomeriggio avrei chiuso casa e infilato il sentiero che passa per la Diga del Gleno e arriva al rifugio, per dormire lassù. E che all’indomani mi sarei alzato per andare a cercare l’alba su qualche cima là intorno. Sono un cacciatore di albe. Ovunque mi trovi mi piace assistere a questo miracolo. Sedermi e guardare.

Avevo deciso. Preparai le mie cose e verso le quattro del pomeriggio chiusi la porta, uscii e cominciai a salire. Superai Pianezza senza attraversarla. In breve mi trovai sul piano che conduce alla Diga. La pioggia aveva reso deserto questo sentiero che viceversa d’estate è così trafficato. Camminavo solo, come tante volte sento il bisogno di fare. Giunsi alla Diga. Ma lo sguardo fu sorpreso da pesanti nuvole nere su in alto, esattamente dove ero diretto. Dovevo rinunciare ad andare? Passai al chiosco, dal Nello, l’unica persona presente nei paraggi.

Gli chiesi un parere. Mi rispose che certo la “cera” (l’aspetto) del cielo non era buona, che se andavo dovevo essere pronto a rientrare. Ci pensai: era prudente salire, con le ore contate, da solo verso la montagna, andare addosso al temporale? Ma fu un attimo e i piedi già correvano, perché tutto quello che volevo era solo andare verso la montagna, entrarci dentro con tutto me stesso. Dietro di me il torrente entrava nel lago e il lago divenne piccolo fino a sparire. In alto schiariva e ‘scurava’ continuamente. Sentivo anche rumori di tuoni, ma non qui, non ancora. Ero solo. E mentre spingevo sulle gambe, la testa finalmente poteva correre fino a perdersi senza smarrirsi.

Sentivo intimamente che la montagna non è meta, non impresa, nemmeno uno sfondo. La montagna è qualcuno, qualcosa che diventa qualcuno. La montagna è dentro, è un dentro, ed entrandovi l’anima si allarga, respira. Al Belviso colsi gli ultimi raggi di una luce inattesa. Poi al rifugio, e lì seppi che solo un’ora prima aveva grandinato. Sorrisi: era la montagna che mi aveva permesso di arrivare a lei. E mentre di notte il vento batteva sul tetto, sorrisi di nuovo: non era altro che la natura che pulsa, che respira. Forse per questo non ho mai avuto un ombrello.

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alessandro-romelli_bc16_voltoAlessandro Romelli | Nato e cresciuto in Valle di Scalve (BG), vivo per nove mesi l’anno a Roma dove sono sposato e insegno. Appassionato di mountain bike e di camminare, ovunque. Devoto di Walter Bonatti.

Il mio blog | Non ho blog, solo una pagina FB a mio nome e da poco un profilo Instagram – http://www.facebook.com/alessandro.romelli.9

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