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Come croci di un calvario

Come croci di un calvario

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Sono nato a Parma, dove lavoro e vivo con la mia famiglia. Ho una laurea in Biologia e un dottorato di ricerca in Ecologia che tra tutte le discipline delle scienze naturali è a mio parere la più narrativa. Mi piace anche scrivere, infatti. Non sono un alpinista. Forse.

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SAN LORENZO

di Alessandro Carletti (Lesignano Bagni, PR)

“Lassù’, vedi? Segui il campanile verso il basso fin dove la fascia di roccia grigia lascia il posto a quella gialla. Appena sulla destra sugli strapiombi. Sono due.”
“Non riesco a vederli. Dammi il binocolo”
“Salgono decisi ora”

Acquattati dietro massi e cespugli li teniamo d’occhio, ogni tanto un sorso d’acqua dalla borraccia. Passiamo il testimone ai due che ci seguono e ripartiamo. Un sole furioso ci massacra, non è la fame oggi a darci tormento. La gola infuocata, le bottiglie vuote, la roccia spugna che inghiotte ogni promessa di un rivolo e ci sbeffeggia con un remoto gorgogliare.

“Se avete sete la tazza alla mano
che ci rinfresca la neve ci sarà.”

Penso ai mesi di neve. Il freddo che sbianca le dita. La pelle cotta e bruciata. L’abbacinante riverbero del sole di gennaio. Siamo partiti dal San Pellegrino, tra la Banca di Valfredda e Cima Uomo, alle spalle i tortuosi canali scavati da mani che raccolsero fuoco, fango e lacrime, le trincee di Juribrutto. Abbiamo risalito i ghiaioni fino alle Cime dell’Auta, lo sguardo spaziava verso la Regina e la città di ghiaccio, lontano le Tofane chiamavano, sirene nel mare di calcare in tempesta, con un cupo presagio di pioggia.
Riprendiamo la marcia di fronte al Col di Lana che, sotto un cielo di sangue, raduna centinaia di penne nere. Il filo spinato della memoria. Ragazzi bambini ascoltano storie tragiche di bambini soldati che cento anni prima arrancavano sulla Tofana con molto carico e scarse speranze, il cippo del generale Cantore colpito da fuoco amico separa vittime e carnefici, guerrieri e contadini.
Vento freddo e barattoli di latta arrugginita, voci lontane fanno eco tra le cime. Siamo entrati nel regno dei piedi. Terra di tracce da seguire, di fatica e di umile perseveranza. Scarpe di cartone contro suole scolpite. Sotto la pioggia che il giorno dopo ci prende come un fiume spazientito nel naufragio del Nuvolau rivediamo il terribile inverno del ’17, metri e metri di neve e trenta gradi sotto zero.

“Di che reggimento siete, fratelli?”

Il Settsass ci regala un silenzio insolito d’agosto, croci e lapidi tra casematte e feritoie, come un sacrario della memoria. Dalla cima si scorge, lontano, un ghiacciaio austriaco.
San Lorenzo.

“Mi pare di vederli ancora, lassù?”

Silenzio nel mare di gente. Le Lavaredo, come croci di un calvario, ascoltano dalla Cima Grande salire al cielo una preghiera di pace.


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1 commento/i dai lettori

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  1. derspina il30 agosto 2015

    SONO croci di un calvario, testimonianza della Storia e della Memoria.
    Ho conosciuto l’arrampicata esattamente così, su un masso di fronte alle Tre Cime, con il binocolo in mano, sperando che i due che seguivo prima o poi ne sarebbero usciti. Mai avrei pensato che io ci stavo entrando con tutta l’irruenza della passione e mai avrei pensato che ci sarebbe stata anche una donna a compiere l’impresa di una prima su quelle cime (Mary Varale nel 1933).
    Purtroppo i percorsi della memoria sono scritti indelebilmente, possiamo sono duplicarli orma su orma, non lasciandoli mai precipitare nel vuoto. – http://ormeenuvole.blogspot.it/

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