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Quando pochi giorni fa un quotidiano bellunese ha riportato l’ennesima dichiarazione riguardante l’urgente necessità del prolungamento dell’autostrada A27 Venezia-Belluno verso nord, fino a Monaco, ho pensato: “Ecco l’ennesimo errore di prospettiva”.
Questa volta si tratta del presidente della Regione Veneto Luca Zaia, ma ben ricordo anche le affermazioni di un altro noto politico, assessore regionale e ancor prima sindaco di Alleghe.
La Monaco–Venezia esiste già da diversi anni, è frequentata, apprezzata, sostiene l’economia locale ed è così poco impattante che nessuno si lamenta, anzi, quasi nessuno se ne accorge.
Mi ricordo ancora la foto di un depliant turistico: una donna e un uomo procedono lentamente, chini sotto i loro pesanti zaini, da Belluno in direzione sud. Di fronte a loro l’ultima asperità montuosa, il Col Visentin, da cui nelle giornate limpide si scorge chiaramente il luccichio del mare della laguna veneta. La fine dei dislivelli non segna la fine delle difficoltà, anzi, precede la parte più difficile del viaggio.
La densa urbanizzazione della pianura veneta, pianificata a misura dei mezzi motorizzati, è una barriera impermeabile per chi invece preferisce spostarsi a piedi o in bicicletta. Camion, auto, corriere e mezzi agricoli riescono ad interpretare efficacemente il reticolo stradale, a differenza di pedoni e ciclisti che si districano faticosamente nella selva urbana.
Difficile quantificare il reale contributo economico di questo flusso ancora invisibile che, una volta abbandonate le montagne, usa perfino le cunette laterali alla viabilità ordinaria per raggiungere la città lagunare.

Secondo i gestori dei rifugi alpini che hanno la fortuna di trovarsi lungo il tracciato delle Alte Vie delle Dolomiti, nei tre mesi di apertura dei rifugi fanno tappa almeno una decina di escursionisti al giorno. Zaino in spalla, occorre circa un mese, partendo da Marienplatz a Monaco di Baviera, Germania, per raggiungere Piazza San Marco a Venezia, Italia.
Le Dolomiti sono coinvolte in pieno da questo flusso, quasi esclusivamente tedesco, che decide di attraversare l’arco alpino da nord a sud, richiamato dal mito del mite clima mediterraneo, ripercorrendo una tradizione che dura da molti secoli.
Una volta attraversati la Baviera e il Tirolo, la Monaco-Venezia si innesta lungo il tracciato dell’Alta Via n.2 delle Dolomiti fino al Passo Pordoi, scende lungo il Cordevole fino ad Alleghe e quindi percorre l’Alta Via n.1 delle Dolomiti fino a Belluno.
Da qui per arrivare alla meta, mancano ancora un centinaio di chilometri, prima attraverso le dolci Prealpi, poi seguendo le morbide colline trevigiane e infine lungo la docile ed esanime Piave, fino a Jesolo, lo storico sbocco sull’Adriatico dei tedeschi italiofili.
Questo fenomeno, statisticamente minuscolo ma in crescita, capace di garantire vitalità economica ad almeno una dozzina di rifugi alpini dal Tirolo alle Dolomiti Bellunesi, potrebbe essere un caso di studio esemplare di buone pratiche di turismo sostenibile. Nella stessa misura si potrebbe argomentare sull’incapacità delle istituzioni di sostenere, promuovere e valorizzare fenomeni spontanei in grado di creare fertili prospettive di sviluppo economico e sociale ad investimento praticamente nullo.

Il cambio di prospettiva è lento, ma inevitabile. L’Unione Montana Belluno-Ponte nelle Alpi ha recentemente tabellato la parte dell’itinerario che coinvolge il proprio territorio. Una freccia rossa in campo giallo, puntata verso Venedig, aiuta spaesati trekker ad attraversare la piccola giungla della città di Belluno, dove paradossalmente è più difficile orientarsi rispetto ai tracciati in alta quota. La direzione è quella giusta, ma la strada è ancora lunga.
La Monaco – Venezia esiste e mentre ancora si litiga sulla scelta della montagna da forare, della valle da cementificare e del punto esatto in cui sfondare a nord il confine, un esercito pacifico, assecondando l’orografia increspata delle montagne, ci ha già preso alle spalle: post-moderna Caporetto che, nel mezzo del bellico centenario, evidentemente, non ci ha insegnato nulla.

info, in bicicletta: www.muenchen-venezia.info; a piedi: www.monacovenezia.it

Andrea Pasqualotto autore del post

Andrea Pasqualotto | Sono guida naturalistica, giornalista e viaggiatore, vivo a Belluno. Dopo gli studi di Scienze Ambientali presso l’Università di Venezia, di Reykjavik e di Roma, mi sono dedicato a progetti di conservazione della biodiversità coltivata e di sviluppo rurale. Attualmente mi occupo di educazione ambientale ed ecoturismo nelle Dolomiti Bellunesi e collaboro con alcuni giornali su tematiche ambientali ed agroalimentari.

2 commento/i dai lettori

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  1. paolo il27 maggio 2016

    Solito ambientalismo da strapazzo che non meriterebbe commenti se non per insultare chi lo propone; ma è di moda essere ambientalisti solo per denigrare il lavoro degli altri. In Italia abbiamo i NOTAV e in Svizzera il traforo del san Gottardo; dai, avanti così che riusciremo in poco tempo ad assimilarci al terzo mondo. La civiltà romana è stata la prima a capire l’ importanza delle strade e dopo oltre 2000 anni noi siamo pronti ad arretrare ad epoca pre-romana !!

    • Lorenzo Filipaz
      Lorenzo Filipaz il9 giugno 2016

      solito commento che meriterebbe solo di essere cancellato… insulti gratuiti e discorsi a priori senza la minima cognizione del caso di cui si sta parlando, chiunque proponga una strada o una ferrovia favorisce il progresso, certo come no. Avanti un altro

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