Sandro Filippini al IMS Walk Day 2014 (© ph. Teddy Soppelsa)

Sandro Filippini al IMS Walk Day 2014 (© ph. Teddy Soppelsa)

Alpinismo tra veleni e contravveleni. Quarantaquattro anni dopo un compressore fa ancora scandalo al Kiku.International Mountain Summit di Bressanone.

Si parlava di doping e il tono era pacato come si conviene tra gente ragionevole. A Bressanone, nel salotto dell’International Mountain Summit, sabato 18 ottobre esperti di diversi idiomi si chiedevano se esiste ancora, ammesso che sia mai esistito, un alpinismo onesto e pulito.
Veleni e contravveleni si alternavano, ma più i secondi dei primi. Come quando Vinicio Stefanello di Planet Mountain che moderava la discussione tra medici, atleti, alpinisti e giornalisti specializzati assicurava che nella sua luminosa carriera di cronista delle vette mai aveva ricevuto la confidenza di uno scalatore che avesse fatto uso di sostanze o procedure vietate dalle federazioni sportive, dai regolamenti nazionali o dall’Unione delle associazioni alpinistiche.
Parole condivise dall’uomo-simbolo degli ottomila in stile alpino e senza ossigeno, quell’onesto Silvio “Gnaro” Mondinelli che nel “fuori onda” ha confessato tuttavia di nutrire non poche riserve sull’ambiente dello sci alpino agonistico in cui suo figlio è entrato con buoni meriti.
Più scettico di Gnaro è apparso Hervé Barmasse nato e cresciuto all’ombra del Cervino. Si può concordare con Hervé. Quando ci sono di mezzo primati, vittorie, premi, record, onori e sponsor, tutti gli atleti ”professionisti” sono uguali. Alpinisti e sci alpinisti compresi.

E che cosa dire allora del compressore?
Da bravo giornalista, Sandro Filippini non ha esitato dopo tanto disquisire sul doping a gettare un sasso, anzi un compressore nello stagno. Peccato che di anni ne siano passati ben quarantaquattro dal giorno in cui Cesare Maestri, oggi ottantacinquenne, aggredì il Cerro Torre con un marchingegno in grado di praticare un foro nella roccia in circa venti secondi.
Più che una pietra, fu un macigno quello che tanto subbuglio provocò all’epoca tra alpinisti e benpensanti in genere. Pesava centocinquanta-centottanta chili quel suo compressore Atlas Copco, e questo del peso era il suo “solo piccolo difetto”, come racconta il Cesare in “Duemila metri della nostra vita” (Garzanti, 1972).
Indifferente alle critiche, al diavolo l’eticamente compatibile, Maestri piantò circa 350 chiodi a pressione su un tratto della via per avanzare sul granito liscio. Quella ferraglia se la trascinò con tenacia e qualche comprensibile problema, insieme con gli amici che si era portato in Patagonia, sullo spigolo sud est del Grido pietrificato ed è ancora lì in bella mostra.
Con quell’impresa Maestri volle dimostrare, per una ripicca contro chi negava la veridicità della sua salita con Tony Egger nel 1959, che non esistevano montagne impossibili da salire, “ma solo alpinisti non in grado di salirle”.
Da buon corifeo di Messner, Filippini non ha perso l’occasione a Bressanone di farsi interprete di Reinhold che nel 2011 scrisse per i tipi di Corbaccio un libro (“Grido di pietra. Cerro Torre la montagna impossibile” ) nelle cui pagine smonta metodicamente la figura di Maestri. Certo, se si prova gusto al tiro al piccione, qui c’è da discutere fino alla noia. Vero Filippini? Vero Messner?

Dubbio. Era il caso a Bressanone di tornare sull’argomento visto che il vecchio Ragno delle Dolomiti con le sue ottantacinque primavere non era nei paraggi per replicare?
Del resto, niente di nuovo sotto il sole: quella via del compressore è ormai diventata un feticcio contro cui accanirsi come hanno fatto nel gennaio del 2012 il canadese Jason Kruk e l’americano Hayden Kennedy prima scalando la cresta sud-est el Torre senza usare gli ancoraggi a pressione poi in discesa ripulendola dei chiodi.
Tre giorni dopo l’austriaco David Lama con il connazionale Peter Ortner superarono le difficoltà in arrampicata libera integrale. Per dimostrare, se non altro, che più o meno così si sarebbe potuto fare anche ai tempi di Maestri.
Ma un episodio in quel vortice di  colpi di scena ha dell’incredibile: di ritorno a El Chalten, gli schiodatori vennero assaliti da una folla inferocita che contestò la loro decisione e intervenne la polizia. Non era mai successo, che si sappia, nell’alpinismo. Al centro delle polemiche fu l’avere compiuto un’azione “di forza” su una montagna simbolo e su una via che da oltre 40 anni, nel bene e nel male, è diventata un simbolo.

Oggi avere considerato il compressore una forma di doping o meglio il segno più evidente di una latente (?) disonestà alpinistica, al di là del tono provocatorio di cui bisogna dare atto a Filippini, potrebbe sembrare un nuovo gesto sacrilego. Anche se non è detto che la comunità degli scalatori intenda per questo scendere in piazza a favore del vecchio ragno delle Dolomiti. Che forse avrà cose più liete e magari più frivole a cui pensare. O, almeno, glielo auguriamo di cuore.
(Roberto Serafin, inviato di altitudini.it all’IMS)

Roberto Serafin autore del post

Roberto Serafin | Giornalista professionista, redattore per un quarto di secolo del notiziario del CAI Lo Scarpone. Ha curato a Milano la mostra “Alpi, spazi e memorie” e il relativo catalogo, ha partecipato con il Museo della Montagna “Duca degli Abruzzi” all’allestimento della mostra “Picchi, piccozze e altezze reali”. E’ autore di numerosi libri di montagna, tra cui l’ultimo “Walter Bonatti, l’uomo, il mito“. Con il figlio Matteo ha pubblicato il volume “Scarpone e moschetto”. Da alcuni anni di dedica quotidianamente alla sua creatura editoriale www.mountcity.it

3 commento/i dai lettori

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  1. Sandro Filippini il5 dicembre 2014

    Caro Roberto, Grazie per il “bravo”, che posso ricambiare. Tuttavia avrei preferito che il contenuto di quanto da me detto fosse riportato in modo completo e non distorto con intenti polemici.
    Io non ero fra i relatori del convegno. Sono intervenuto, alla fine, per contestarne il contenuto stesso. Ho infatti asserito che il doping nell’alpinismo NON PUÒ esistere. Perché nell’alpinismo non esistono regole: ognuno è libero di fare come crede. Anche di salire il Cerro Torre con un compressore (che è, mi pare incontestabile, la massima provocazione nella storia dell’alpinismo). Non c’era nelle mia parole alcuna polemica nei confronti di Maestri. Ho utilizzato la sua salita come massimo esempio di quanto intendevo sottolineare e ho ribadito che con quella scelta Cesare non aveva tradito o aggirato alcuna regola.
    Se non ci sono regole da rispettare,non esiste il doping.
    Nell’alpinismo non ci si deve rifare a un regolamento, ma a un’etica. E questa è cambiata negli anni.
    Permettimi infine di aggiungere una cosa: sono corifeo soltanto di me stesso.

  2. Alpine Sketches il29 ottobre 2014

    Signor Barbieri, non le sembra quanto meno singolare voler mettere una pietra sopra alle polemiche rilanciando subdole illazioni, addirittura vagheggiando la corda ‘tagliata’. Non lo fecero nemmeno i più grandi detrattori di Maestri e i primi ripetitori di parte della via del ’59 (Donini, Burke verso la Torre Egger nel 1975) di mettere in dubbio come morì Toni Egger. – http://alpinesketches.wordpress.com

  3. Bruno Barbieri il29 ottobre 2014

    Ho la fortuna di conoscere la persona che fornì a Maestri il famoso compressore (che venne costruito per realizzare la ferrata del Velo, sulle Pale di San Martino). L’ho accusato – bonariamente – di essere stato lo spacciatore di Maestri: ecco al sua risposta, che riporto integralmente:
    «Io, che ho usato per primo quel compressore (che pesava circa 50 kg e non 180!) potrei essere considerato non “lo spacciatore’ ma il medico che usa la droga a fini terapeutici. A me è servito come innovativo attrezzo di lavoro per “costruire” una via ferrata e non come ausilio per scalare una montagna. Che è una cosa completamente diversa. Sono d’accordo comunque che è ora di metterci una pietra sopra. Maestri ha sbagliato ad usarlo, ma forse ci sarebbe da dire che anche il primo disgraziato tentativo in cui perse la vita Egger induce a qualche brutto pensiero. Per esempio sul fatto che sembra che Maestri lo sostenne con la corda finché questa non si è “spezzata” ???? (O tagliata ???). Brutto interrogativo su cui è meglio forse non indagare (anche perché non possono ora più esserci prove). Insomma la storia resta brutta. Quella del Cerro Torre voglio dire. Non quella di una ferrata costruita a tempo di record con l’uso del compressore!» – http://www.brunobarbieri.eu

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