Goecha-La visto dal Tonghsiong Glacier (da dove è stata fatta la foto del capitolo 16). Perlustrazione del 2011 di Anindya Mukherjee

Goecha-La visto dal Tonghsiong Glacier (da dove è stata fatta la foto del capitolo 16). Perlustrazione del 2011 di Anindya Mukherjee

capitolo . 17

In una splendida giornata di sole, con una brezza che trascinava il profumo verso il centro della città, la spedizione Thanglha sbarcò all’aeroporto di Kathmandu. Il suo arrivo fu subito notato nella zona arrivi, e i portatori del posto si dissero: – Guarda! Guarda quel gruppo di persone. Chi sono? I famosi superstiti dal Tibet cinese, vero? Ma guarda!

Il gruppo della spedizione sembrava, infatti, aver servito da bersaglio mobile alle truppe di confine dell’esercito cinese. Uno scambio a fuoco con un manipolo di soldati non avrebbe potuto dare ai suoi componenti un aspetto più rotto, dilaniato e devastato: avevano tutti l’aria stanca e i corpi bendati d’una spedizione proveniente dagli estremi limiti del mondo – e con ragione invero, perché pur nella sua breve avventura era andata molto lontano: addirittura in vista dei confini del Grande Aldilà, donde nessuna spedizione torna mai a rendere alla polvere della città la propria squadra. Erano incrostati di sangue e bianchi di pomate fino alle radici dei capelli e alla punta dei piedi; pareva (come disse un tipo ameno di alpinista) che «quelli sani avessero tratto in salvo i superstiti da chissà quali profondità di ghiaccio e li portassero a casa per il premio di salvataggio». Ed eccitato dalla sua felice trovata, aggiunse che offriva cinquanta dollari «per chi gli avesse dimostrato il contrario».

Non era passata un quarto d’ora da che la spedizione si trovava alla riscossione bagagli, quando un ometto magro, col naso rubicondo e un’espressione rabbiosa dipinta sul volto, fu fatto allontanare con un proprio carrello dall’uscita riservata ai cittadini stranieri, e subito si volse indietro e agitò il pugno contro il gruppo della spedizione.

Uno spilungone, dalle gambe troppo sottili in confronto alla rotondità della sua pancia, e con gli occhi liquidi, si avvicinò lemme lemme osservando: – Appena atterrato, eh? Abbiamo fatto presto.

Indossava un pile rosso pieno di macchie e un paio di scarpe da trekking sgangherate; dal labbro gli pendeva un paio di baffi coloro grigio sporco, e tra la falda e la cupola del suo cappello in due punti si vedeva passare la luce del giorno.

– Ehilà! Che fai da queste parti? – chiese l’ex medico della spedizione Thanglha, stringendogli con foga la mano.

– Aspetto un posto, un’occasione che valga proprio la pena, ho avuto un’informazione confidenziale, – spiegò l’uomo dal cappello rotto, ansimando a scatti e in tono apatico.

Il medico agitò nuovamente il pugno verso la spedizione Thanglha. – C’è un individuo lì che non è capace di comandare neppure una gita turistica, – esclamò tremando dalla rabbia, mentre l’altro si guardava intorno con indifferenza.

– Davvero?

Ma scorse sul pavimento un pesante bidone da alpinista rimesso a nuovo, ricoperto di adesivi pubblicitari, e legato a croce con un corda di nylon pulita. L’adocchiò col più vivo interessamento.

– Potrei parlare e far nascere un pandemonio se non fosse per quella maledetta bandiera cinese. Nessuno cui rivolgersi – se no lo concerei per le feste. Razza d’impostore! Ha detto al responsabile dei materiali – altro impostore – che avevo perso la testa. Il più gran mucchio di imbecilli e ignoranti che sia andato per monti. No! Non puoi immaginare.

– Hai avuto tutti i soldi? – gli chiese di botto il suo conoscente male in arnese.

– Sì. M’hanno saldato durante il rientro, – inveì il medico. – Andate a far colazione in centro città?

– Pezzo di mascalzone! – commentò lo spilungone in modo vago, e si passò la lingua sulle labbra. – Che ne diresti se andassimo a bere un goccetto?

– Mi ha messo le mani addosso, – sibilò il medico.

– No! Le mani addosso! Dici sul serio? – L’uomo in rosso cominciò ad agitarsi con interesse. – Qui è impossibile parlare. Voglio sapere tutti i particolari. Le mani addosso, eh? Prendiamo qualcuno che porti via il tuo bidone. Conosco un posto tranquillo dove c’è della birra sfusa…

Ettore, che osservava attentamente con la coda dell’occhio, quanto accadeva qualche centinaio di metri più in là, informò più tardi Charles Evans che – Il nostro ex medico non ci ha messo molto a trovare un amico. Un tipaccio che ha tutta l’aria d’un emerito fannullone. Li ho visto allontanarsi insieme dall’uscita.

Il rollio e il frastuono delle imminenti operazioni di scarico non disturbarono il capospedizione Bruno Brunelt. L’addetto alle comunicazioni satellitari trovò passi di così vivo interesse nella lettera che quello aveva scritto, che per due volte fu quasi colto sul fatto. Ma la signora Brunelt, nella sua casa a 400 dollari d’affitto, soffocò invece uno sbadiglio – forse soltanto per rispetto a se stessa – perché era sola.

Era distesa su di una poltrona a sdraio felpata e indorata accanto a un caminetto di mattoni con ventagli giapponesi alla cappa e un fuoco di carbone sulla grata. Alzando le mani, diede un’occhiata annoiata qua e là lungo le numerose pagine. Non era colpa sua se erano così prosaiche, così prive di interesse, dal «Carissima moglie» al «Tuo affezionatissimo marito» della fine. In realtà non si poteva chiederle di capire tutte quelle faccende alpinistiche. Certo era contenta di sentir sue nuove, ma non se n’era mai chiesta con precisione il perché.

«… Si chiamano bufere di neve ad alta tensione. SNOWSTORM… Ad Ettore pareva non andasse… Non si vedono nelle immagini del satellite… Non potevo permettere…»

La carta frusciò bruscamente. «… Una calma che durò più di venti minuti», lesse negligentemente; e le prime parole colte dallo sguardo superficiale in cima a un’altra pagina furono: «rivedere te e gli amici…».

Ebbe un moto di impazienza. Pensava sempre di tornare a casa quell’uomo. Non aveva mai avuto un così buon stipendio. Che gli pigliava ora?

Non le venne in mente di tornare indietro a guardare la pagina precedente. Vi avrebbe trovato scritto che, fra le 4 e le 6 antim. del 25 maggio, il capospedizione Bruno Brunelt s’era quasi convinto che egli e il figlio con quella bufera non avrebbero potuto resistere un altro giorno, e che non avrebbe più visto la moglie e gli amici. Nessuno mai avrebbe mai più saputo ciò (le sue lettere andavano immediatamente cestinate), nessuno tranne l’addetto alle comunicazioni, che era rimasto molto impressionato da quelle rivelazioni. Tanto che cercò di dare al suo compagno di tenda un’idea di come «l’abbiamo scampata bella tutti quanti» dicendo con gran pompa: – Se non saliva il vecchio chi avrebbe avuto il coraggio di ritornare.

– Come lo sai? – chiese sprezzante il compagno, un esperto alpinista. – Forse che è venuto a dirtelo?

– Proprio, mi ha fatto capire qualcosa in proposito – saltò su sfrontatamente l’addetto alle comunicazioni, celando la possibilità che aveva di accedere agli archivi informatici.

– Ma va’ là! La prossima volta lo verrà a dire a me – schernì l’esperto alpinista, guardando di traverso.

La signora Brunelt inquieta diede un’occhiata più avanti. «Faremo ciò che è giusto… Poveri portatori… Solo tre, mezzi sepolti, e uno… Ho pensato che fosse meglio abbandonarli al loro destino… spero d’aver fatto ciò che era giusto…»

Lasciò cadere le braccia. No: non faceva più cenno di tornare a casa. Aveva voluto soltanto esprimere un pio desiderio. La signora Brunelt si sentì sollevata, e un orologio meccanico di marmo nero, che il gioelliere del posto vendeva a 38 dollari e 99 cents, fece sentire il suo discreto e furtivo ticchettio.
Si spalancò una porta e una ragazza, in quell’età in cui le gambe sono troppo lunghe e le gonne troppe corte, si slanciò nella stanza. Sulle spalle aveva sparsa una folta chioma di capelli sbiaditi e piuttosto lisci. Scorgendo la madre, si fermò, e volse con aria di domanda gli occhi ardesia sulla lettera.

– E di papà, – mormorò la signora Brunelt. – Che ne hai fatto del nastro?

La ragazza si toccò la testa e fece il broncio.

– Sta bene, – continuò languida la signora Brunelt. – Almeno credo. Lui non dice mai niente –. E diede una risatina. Il volto della ragazza esprimeva una vaga indifferenza; la signora Brunelt la squadrò con orgoglioso affetto.

– Va’ a metterti il cappotto, – le disse dopo un istante. – Esco a far delle spese. C’è una liquidazione da Limon.

– Oh, che bellezza! – esclamo con foga la fanciulla in un tono di voce insolitamente profonda e vibrante, e corse fuori dalla stanza.

Era un bel pomeriggio, con un cielo grigio e marciapiedi asciutti. Davanti al negozio di tessuti la signora Brunelt sorrise a una donna con un soprabito nero di proporzioni piuttosto generose corazzato di lapislazzuli e con una corona di perle fine che adornavano il matronale volto bilioso. Le due donne si lanciarono in un vivace cicaleccio fatto di complimenti e di esclamazioni, scambiati così in fretta, quasi la strada fosse lì lì per spaccarsi e per inghiottire la loro gioia prima che avessero potuto esprimerla.

Dietro, gli alti battenti di vetro erano in continuo movimento. La gente non poteva passare, gli uomini si tenevano di lato aspettando pazientemente, e Lidia era tutta occupata a ficcare la punta dell’ombrello fra le lastre di pietra. La signora Brunelt parlava rapidamente.

– Tante grazie. No, non torna ancora. Naturalmente ci spiace molto di non averlo qui, ma è un gran conforto sapere che sta così bene. – La signora Brunelt tirò il fiato. – Il clima di laggiù gli dona tanto, – aggiunse raggiante, come se il povero Brunelt fosse andato in Himalaya per un viaggio turistico.

 

Neanche il responsabile dei materiali tornava ancora a casa. Il signor Evans sapeva troppo bene il valore di starsene in giro.

– Charles dice che i miracoli ci saranno sempre, – esclamava gioiosamente la signora Evans alla vecchia suocera seduta davanti al televisore; le mani avvizzite coperte da un golfo di lana erano abbandonate sul grembo.

Gli occhi della moglie del responsabile dei materiali saltavano allegramente su e giù per i fogli. – Il capo della spedizione con cui è partito – un uomo piuttosto semplice, vi ricordate mamma? – ha fatto una cosa abbastanza notevole, dice Charles.

– Sì, cara, – fece dolcemente la vecchia, che stava seduta con la testa d’argento reclinata, e con quell’aria di intima calma propria delle persone molto anziane che sembrano assorte nella contemplazione degli ultimi sussulti della loro esistenza. – Mi pare di ricordare.

Charles Evans, il Vecchio Charlie, il Capo, «quel brav’uomo di Evans» – il Signor Evans, l’amico, fraterno e compiacente dei giovani, era stato il pupattolo dei suo numerosi figli, ormai tutti morti. E lei lo ricordava meglio bambino di dieci anni, molto tempo prima che andasse a far tirocinio in un grande stabilimento meccanico del Nord. L’aveva visto così poco da allora, ed erano trascorsi tanti anni, che adesso doveva riandar molto indietro per ravvisarlo chiaramente nella nebbia del tempo. A volte sembrava che la nuora le parlasse d’un estraneo.

La signora Evans junior era delusa. – Ehm. Ehm –. Faceva girare la pagina. – Com’è irritante! Non dice che cos’è. Dice che tanto non potrei capire di cosa si tratta. Che idea! Che cosa può essere di così straordinario? Che birbante a non dirci niente.

Continuò la lettura seriamente senza altri commenti e alla fine si mise a fissare il fuoco. Il responsabile dei materiali scriveva soltanto una parola o due della bufera; ma qualcosa lo aveva spinto a esprimer l’ardente desiderio d’aver vicino la sua gaia donna. «Se non fosse stato per la mamma alla quale bisogna star dietro, oggi ti avrei mandato il denaro per il viaggio. Potremo stabilirci qui a Kathmandu. Così avrei modo di vederti ogni tanto. Qui c’è lavoro. Il tempo non ci fa diventar certo più giovani…»

– Di salute sta bene, mamma, – sospirò la signora Evans scuotendosi.

– È stato sempre un ragazzo forte e robusto, – disse tranquilla la vecchia.

Il racconto di Ettore fu invece molto vivo ed esauriente. Il suo amico del Corso Istruttori ne fece generosamente partecipe la sua compagna di cordata e di vita. – Un tale che io conosco molto bene mi scrive in confidenza una cosa straordinaria capitatagli al Campo Base della sua spedizione durante quella bufera, sai, quella di cui s’è letto nei giornali due settimane fa. È una cosa proprio macabra! Guarda tu stessa quello che dice. Ti faccio vedere la lettera. (continua…)

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SNOWSTORM — Reportage di un’assenza dalla rete — Spedizione k2014.it (clicca per aprire)

K2014.it | East HimalayaTeam | Intervista ad Alberto Peruffo |

SNOWSTORM // L’ULTIMA SPEDIZIONE DI BRUNO BRUNELT
Un romanzo di situazione scritto da Joseph Conrad, Ugo Mursia e Alberto Peruffo
1000 e più variazioni sopra un manoscritto di Joseph Conrad, egregiamente tradotto da Ugo Mursia, ri–situazionato da Alberto Peruffo

Joseph-Conrad_01Joseph Conrad (1857-1924), nato in Ucraina, ma rimasto ben presto orfano di entrambi i genitori, fu affidato alla tutela di uno zio e, appena diciassettenne, partí per Marsiglia spinto da un’irresistibile vocazione per la navigazione. Per vent’anni viaggiò in quasi tutti i mari. L’attenzione suscitata dal suo primo romanzo lo indusse a lasciare la Marina e a stabilirsi in Inghilterra (aveva ottenuto nel frattempo la cittadinanza inglese) per dedicarsi all’attività letteraria. Della sua opera, Einaudi ha pubblicato: Heart of Darkness. Cuore di tenebra («ET Classici»); The Shadow-Line. La Linea d’ombra (serie bilingue); Vittoria; Typhoon. Typhon. Tifone (serie trilingue ed «Einaudi Tascabili»). Racconti di mare e di costa, La freccia d’oro e Vittoria. Un racconto delle isole.

Ugo_Mursia_01Ugo Mursia (1916-1982) è stato uno dei maggiori editori italiani, uomo di lettere e impegno civile, fondatore dell’omonima casa editrice. La sua personale passione per il mare e la navigazione lo spinge verso Joseph Conrad. Sin dagli anni giovanili colleziona edizioni originali e di letteratura critica sull’autore, ma soprattutto intraprende traduzioni e studi. I suoi articoli, pubblicati principalmente su riviste scientifiche e letterarie, italiane e straniere, sono stati raccolti in Ugo Mursia, Scritti conradiani, a cura di Mario Curreli, Mursia, Milano, 1983. Oltre alle traduzioni di Typhoon (1959), Le sorelle. Romanzo incompiuto (1968) e Cuore di tenebra (1978), l’attività di Mursia come esperto conradiano culmina nell’edizione critica dell’intera opera del romanziere anglo-polacco, uscita in cinque volumi tra il 1967 e il 1982 per i tipi della sua stessa casa editrice. A Mursia si deve anche la traduzione italiana della biografia di Joseph Conrad scritta da Jocelyn Baines (1960) e la pubblicazione dell’edizione italiana della rivista statunitense Conradiana. A journal of Joseph Conrad studies, fondata nel 1968. La passione per Conrad lo porta a raccogliere cimeli, documenti, prime edizioni e a finanziare una spedizione in Tasmania per recuperare la prua dell’Otago, il brigantino comandato dallo scrittore che era affondato in quelle acque.

alberto_peruffo_01

Alberto Peruffo (1967), fondatore nel 1999 del progetto culturale Intraisass – Rivista di letteratura, alpinismo e arti visive, il più antico progetto di letteratura di alpinismo comparso in Rete, è il capospedizione di K2014 CAI-150, spedizione esplorativa nell’area Zemu del Kanchenzonga per i 150 anni del Club Alpino Italiano. Per scelta personale ha deciso di “uscire dalla Rete attiva” nel 2012 in preparazione della nuova spedizione e di architettare per l’occasione un “Reportage di un’assenza dalla Rete” come progetto di comunicazione. A causa del divieto dell’uso di apparecchiature satellitari nell’area esplorativa del Kanchenzonga, sotto giurisdizione indiana, saranno inviati come aggiornamento dei “dispacci” tramite staffette (amici e gente del luogo al seguito della spedizione), senza la certezza che arriveranno a destinazione. Se arriveranno, saranno pubblicati prontamente da altitudini.it nel corso della pubblicazione del Romanzo di Situazione, provocatorio sostituto del diario classico di spedizione e della moltitudine di messaggi e di informazioni che caretterizzano l’epoca dei social network. Ricordiamo che Alberto fu tra i primi sperimentatori in assoluto delle comunicazioni satellitari dai campi base, tra cui la memorabile Spedizione Chiantar 2000 nell’Hindu Kusk pakistano, Premio Paolo Consiglio CAAI 2001. Leggi qui l’intervista che introduce l’esperimento. Storyboard visuale dei più importanti progetti e interventi culturali di Alberto.

ABSTRACT
Himalaya orientale. Un uragano di neve e valanghe mai visto prima da occhi umani si scaraventa sul Campo Base e sui fianchi della montagna più alta del mondo ancora da scalare, meta di un’ambiziosa spedizione internazionale. Gli strumenti digitali moderni si scontrano con l’esperienza del vecchio capospedizione. Su ai campi alti gli scalatori non hanno vie di fuga. Al Campo Base accade l’impensabile: alpinisti e portatori sono travolti dalla calamità naturale e dall’impasse sociale che ne consegue, fatti inimmaginabili anche al più esperto degli esploratori. Sarà l’ultima avventura del mitico capospedizione Bruno Brunelt e del figlio Ettore?
Niente di meglio di un cambio radicale di situazione dimostra l’efficacia e la maestria delle parole di un grandissimo scrittore e del suo traduttore. Un romanzo insuperato – «Il più alto esempio di letteratura di mare» scriveva André Gidé subito dopo aver letto Tifone di Joseph Conrad – sulla soglia della più straordinaria prova, accattivante anche per il più insensibile dei lettori: il cambio di situazione.

Dal mare alla montagna una delle più audaci prove di letteratura per noi concepibile.
Tra i personaggi alcuni dei grandi protagonisti poco conosciuti della storia dell’alpinismo mondiale.

«… Si chiamano bufere di neve ad alta tensione. SNOWSTORM… Ad Ettore pareva non andasse… Non si vedono nelle immagini del satellite… Non potevo permettere…»

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